La sola parola “Surf” rimanda a isole hawaiane, onde oceaniche, abbigliamenti floreali, gioventù abbronzata ed in splendida forma e allo stereotipo più scontato del “Made in Usa” ma non è proprio così.
Le popolazioni africane di paesi che si affacciano sull’Atlantico per migliaia di chilometri, erano in grado di controllare il flusso oceanico, le ondate e la risacca, con le loro piroghe scavate nei tronchi d’albero “Ceiba” della costa, già da parecchi secoli prima che il surf si diffondesse in occidente.
Cronache di viaggiatori europei dei secoli scorsi, narrano con meraviglia questa loro capacità, messa prevalentemente al servizio dei commerci costieri, in grado, cioè, di trasportare merci e persone tra le navi alla fonda e le spiagge dei loro villaggi.
Attività del tutto preclusa ai marinai occidentali che vedevano le loro scialuppe naufragare pericolosamente tra le onde. L’uso delle tavole, spesso non più lunghe di un metro e mezzo, era un ulteriore mezzo per apprezzare questa capacità che oltre ad un piacere squisitamente ludico, specialmente per la popolazione più giovane, consentiva facili spostamenti tra le insenature limitrofe magari anche con l’uso di una lunga pagaia.
Forse la testimonianza più brillante di queste attività si deve ad Horatio Bridge, ufficiale americano che nel suo “Journal of an african cruiser” pubblicato nel 1853, descrive le forti emozioni provate dagli europei che si affidavano alle piroghe dei nativi di “Cape Coast” per trasbordare a terra le loro persone e i loro beni e che per non poco lasso di tempo rimanevano prigionieri della loro sapiente abilità resa volutamente incerta al fine di incrementare il compenso pattuito.
Nel lago Bosumtwi nel Ghana motivi religiosi impediscono agli Hashanti l’uso di qualsiasi imbarcazione ad eccezione di tavole piatte spinte da pagaie. La presenza di tavole è quindi testimoniata, a queste latitudini, da parecchi secoli, la cui conoscenza viene trasmessa, ancora oggi, di generazione in generazione.
Si presume che tale attività sia approdata negli stati meridionali degli Stati Uniti a seguito dei commerci di schiavi dove alcune testimonianze del XVIII° secolo attestano tale pratiche dal Sud Carolina sino al Brasile.
Senegal, Angola Ghana, Costa d’Avorio, Congo, Camerun, Liberia, hanno grandi tradizioni legate alle acque degli oceani cui viene riconosciuta una natura divina. “Mami Wata” (Madre Acqua) è forse la divinità principale in questi ambiti, capace di proteggere dai pericoli della navigazione e al tempo stesso rivelare segreti e conoscenze che consentano, agli adepti, di avere la migliore sintonia con le acque dei loro oceani.
Fabrizio Fattori
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