Kodachrome Kastelorizo
di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
Arrivare a Kastelorizo a distanza di 24 anni dalla prima volta è un po' come prendere una fotografia degli anni '70 dall'album di famiglia e passarla al fotoritocco, restituendole quei colori che c'erano nella realtà ma che quella polaroid non ha mai avuto.
L'impatto è stupefacente. Le casette sul lungomare a ferro di cavallo del porticciolo, uno dei porti naturali più sicuri del mediterraneo orientale, sono cresciute di poco quantitativamente ma sono nettamente più rifinite di prima.
Kastelorizo
La fatiscenza e i colori sbiaditi hanno lasciato spazio ad un restauro tanto perfetto quanto sospetto. Tanti colori diversi, insegne discrete. Convivono in perfetto equilibrio le due facce, greca e ottomana, dell'isola. Definite e distinte tra loro, quasi fossero due luoghi diversi al confine, un confine pacifico e di reciproca tolleranza.
Non me lo aspettavo. Pensavo di trovarla più compromessa dal turismo e da quel successo dovuto non tanto al film di Salvatores quanto all'Oscar che si guadagnò e che trasformò una piccola gradevole pellicola italiana in un successo internazionale.
È un gioiello ben conservato, Kastelorizo. Così sembra e così penserei se non mi ci fossi fermata un po'.
A farfalla verso Kastelorizo
Arriviamo e ci sentiamo a casa. La rotta che ci ha portato qui da Rodi è stata una facile e piacevole veleggiata con vento medio in poppa piena che ci ha consentito buone velocità.
Il primo stop lo facciamo nell'isoletta di Ro, 3 miglia a Ovest di Kastelorizo. La bella e chiusa cala a sud è tutta per noi, gettiamo l'ancora e mi tuffo a mettere due cime a terra. L'acqua ha raggiunto i 28° e per la prima volta proviamo in Egeo quella sensazione di bagno che può durare una giornata intera, quando puoi restare fermo nell'acqua come fossi seduto su una chaise longue, senza dover necessariamente nuotare per mettere un po' di calore in corpo.
Arrivando all'isola di Ro
Giovanni scende a terra a fare qualche foto e io mi metto a scrivere sotto coperta. In alto, sulla roccia, un rudere. Mi chiedo se fosse lì che Despina Achladioti, passata alla storia come la "kyra tis Ro", la Signora di Ro, issava la sua grande bandiera greca per far capire ai Turchi che questa non è casa loro. Lo fece per tanti anni, ogni giorno.
Despina, la signora di Ro |
Despina era nata a Kastellorizo nel 1890 e prima della II Guerra Mondiale si trasferì sulla vicina e disabitata isoletta con il marito e la madre.
Lì vissero con un pugno di capre, polli e un orto.
Seppellì marito e madre e continuò il suo gesto patriottico dell'alzabandiera sia nei tempi dell'occupazione italiana, sia durante le fasi più difficili del confronto con la Turchia negli anni 70.
Questa eroina, una sorta di Giovanna d'Arco greca, morì sull'isola nel 1982 all'età di 92 anni.
Mentre penso a Despina, nel silenzio immoto della cala sento irrompere un vociare umano lontano, più urla che vociare, mi affaccio ma non noto nulla.
Immagino si tratti di un caicco turco, ormeggiato sull'altro versante dell'isola, che ha vomitato a terra un piccolo sciame di maleducati charteristi i quali, ascesi al rudere, urlano al mondo la loro conquista della vetta, ignari del fatto che il mondo continuerebbe a ignorare volentieri la loro impresa.
Ancoraggio con cime a terra nel paradiso di Ro
Mi concentro nello scrivere e tento di dimenticarli, quando sento aumentare l'urlo. Mi affaccio di nuovo al tambuccio, butto un occhio e vedo un tipo a torso nudo che individuo come il proprietario dei polmoni artefici dell'urlo.
Gli faccio un saluto con la mano, sperando che sentendosi notato si metta tranquillo e magari si dedichi a nuove imprese, magari facendo ritorno in terra turca, togliendo così a me il piacere della sua compagnia.
Al terzo urlo mi viene il sospetto di qualcosa che si chiarisce quando Giovanni torna in barca dicendo "Ce ne dobbiamo andare mi sa, almeno così sembra dire quel militare". Un militare a torso nudo? Secondo Giovanni, forte dell'ausilio del binocolo, è in mimetica e con tanto di mitra tra le braccia.
Arrivederci Ro
A parte lui, c'è una quiete stupenda, abbiamo 65 miglia alle spalle e abbiamo fatto un ormeggio laborioso. È l'ora del tramonto e di salpare non mi va proprio per niente.
Guardo il bicchiere mezzo pieno e penso che forse non vuole che ce ne andiamo, forse ci sta solo chiedendo come stiamo o magari ci sta invitando su al rudere a bere qualcosa, o chissà, vuole un passaggio.
L'isolamento di Kastellorizo,chiusa nell'abbraccio turco, impone un certo presidio militare
La distanza è grande, i suoni si perdono lungo la roccia, o meglio i suoni aumentano ma le frasi si perdono. Difficile comunicare, meglio essere essenziali. Vado a prua e gli urlo"Hello sir, can we stay here for the night?"……."NO, YOU HAVE TO GO!!!!!!"
Desisto. Niente mi convince di più della sintesi perfetta data dalla determinazione.
Mi tuffo, tolgo le cime a terra e si va. Con il grande rimpianto di quando trovi un tuo piccolo paradiso e ti dicono "No, Eva, hai mangiato la mela? E mo' pedala"
Giorni dopo, su un'opuscolo trovo una piccola nota sui presidi militari di Ro e Strongilo che recita "Le isolette sono in un punto strategico difensivo importante, i militari stanno svolgendo un compito delicato, è carino non distrarli dalle loro mansioni".
La moschea e il quartiere ottomano del paesino di Kastelorizo.
Ci consola, come dicevo, l'arrivo a Kastelorizo e la delicatezza perfetta del suo abitato.
Ci vorranno giorni per scoprire il rovescio della medaglia. La perfezione nasconde sempre qualche pecca: laddove l'isola ha trovato bellezza ha perso in termini di anima.
La presenza turca si sente, si respira sul lungomare. Il DNA greco, alla faccia di Despina, è andato via via scemando, succube degli ottomani anche in era moderna, sconfitto a suo modo dal red carpet del Cinema, tradito proprio perché restaurato dagli abitanti di un tempo ora emigrati e arricchiti in Australia che hanno riportato lustro, tolto polvere e con essa anche quel certo non so che.
Il lungomare di Kastellorizo
Passeggiando per il lungomare percepisco meglio la sottile e infida linea della crescita turistica. Tanti locali, caffé e taverne, uno dopo l'altro. Tavolini e sedie a coprire ogni centimetro del molo. A servire ai tavoli, rumeni, turchi, bulgari. Quasi nessun greco.
Dove sono i vecchi? Che ne hanno fatto?
Mi aspetto, come nel film Mediterraneo, di passare oltre un lenzuolo bianco steso al sole e sentire la musica tipica, vedere bambini che corrono e vecchi vestiti di nero sorseggiare il loro caffè ai tavolini sotto i platani. Ma non accade. La fatiscenza ha lasciato posto al technicolor, la quiete ellenica alla frenesia garbata di un turismo per lo più raffinato.
La taverna To Platania
La sorpresa peggiore è scoprire che quello che era il centro vitale dell'isola 24 anni fa, la taverna to platani, è ora periferia.
Tutto è esattamente come allora, anche il tovagliato a quadri bianchi e rossi ma la vita non è più là. Questa taverna vera e autentica nelle retrovie ombrose del paese è stata sconfitta da un lungomare caratteristico dove si è sviluppata l'attività turistica.
Da qui, passano ormai solo quelli che salgono i 400 scalini per andare a visitare il monastero che poi non si può visitare perché è in restauro.
La scalinata per il monastero, a quota 350° scalino
Torniamo anche noi al monastero. E conto. Quando ti dicono che sono 400 gradini, banalmente li conti. Ognuno a modo suo, ma li contiamo tutti. Io scelgo di considerarli piani di palazzo: 400 gradini = 20 piani da 20 gradini.
Countdown alla rovescia, quando dico "mancano 14 piani" l'impresa mi appare ardua ma poi piano piano sfilano via e si arriva in cima. Ed è sempre bello guardare le cose dall'alto, soprattutto quando sotto di te vedi una sfilza di tetti rossi e la tua barca da sola al centro della baia, come fosse una cantante lirica sul palcoscenico della Scala.
Ormeggi in banchina a Kastellorizo
Decisamente meglio lì, alla ruota, che ormeggiati in banchina, una roba per chi non soffre il caldo quella. E infatti i pochi posti in banchina non sono particolarmente contesi, quasi che i comandanti facciano i complimenti.
La verità è che ormeggiarsi lì significa soffocare tra i tavolini dei locali che quasi ti salgono in pozzetto. Per non parlare poi del motor yacht di 20 metri che si ormeggia a fianco sopravvento e ti toglie ogni filo d'aria residuo, dandoti in cambio il rumore e il calore del suo potente generatore e motore dell'aria condizionata.
P'acá y p'allá alla ruota, al centro della baia
Roba che non fa per noi. Lì al centro, alla ruota, siamo più lontani dal caldo, il sottile tradimento della Kastelorizo che era si percepisce meno, resta solo il bello visibile del restauro.
Noi e le due tartarughe ormai addomesticate ci teniamo compagnia, un po' distanti, ugualmente snob.
La rada tra Mandraki e l'isoletta di Aghios Georghios
Ci impigriamo qui in questa piccola isola che ci cuciamo addosso, vivendo più il lato mare che quello della terra, timorosi di vedere ancora segni di questo nuovo fascino che toglie il fascino originale, come un intervento di chirurgia plastica sulla Gioconda.
Ci spostiamo tra il porto e la rada di Aghios Georghios, l'isoletta cui nel 90 arrivammo con un passaggio di un pescatore e dove oggi approdano a un ritmo insopportabile i taxi boat.
L'isoletta di Aghios Georghios, oggi Sant George Beach
Dove c'erano solo sassi e una piccola chiesa in calce bianca, ora si è aggiunta una taverna e uno stabilimento con ombrelloni e lettini. E Aghios Georghios è diventato un'insegna "Sant George beach".
Basta non pensare a quel che era e la situazione è comunque gradevole. La taverna è ben ombreggiata e si mangia bene. I turisti da terra non sono moltissimi e si spalmano nella zona lettini che è ben nascosta dietro la taverna.
La chiesetta di San Giorgio riacquista solennità col sole basso
Ma ripensare ad allora, a quando sedevamo sul gradone della chiesa nel silenzio e nella quiete più assoluta, chiedendoci se il pescatore si sarebbe ricordato di venirci a riprendere, è una cosa che fa il consueto male di quando ti accorgi che il tempo che passa non migliora mai nulla.
Una bella scoperta è stata la Grotta Azzurra, un'emozione entrarci col tender dopo aver ormeggiato la barca mezzo miglio più a est in una cala profonda.
Galazia Spilia, la grotta blu, sulla costa sud
Trovare la via d'entrata non è facilissimo, una bassa fessura nella roccia dove il nostro Zodiac di 2 metri passa giusto giusto e gli umani per non sbattere la testa devono sdraiarsi dentro.
Poi, dopo lo stretto passaggio, l'immenso della cavità sotterranea. E tutto diventa azzurro, quasi cobalto, grazie ai giochi di rifrazione della luce.
Con cime a terra sull'isoletta di Aghios Georghios
Testardi, ci andiamo a cercare un ancoraggio solitario anche nella baia di Strongilo, altra isola presidio militare. Il tempo di un bagno e arriva un militare a chiederci di andare via. Stavolta senza strilli, stavolta da vicino e con un gentile saluto.
Ci assuefiamo a Kastelorizo, prendiamo i suoi ritmi lenti e la consuetudine di spostamenti: dalla rada al porto, due passi a terra e di nuovo in barca a goderci il distacco.
La tomba licia, proprio sotto il castello
La rotta di esodo è lunga, per noi che non vogliamo entrare in Turchia: 80 miglia, probabilmente controvento e controcorrente, per arrivare a Simi. Ci allunghiamo nei giorni puntando a arrivare al 1° agosto, giorno della festa di Aghios Stefanos.
Ma quando a terra chiediamo informazioni su questa manifestazione popolare di cui non vediamo traccia alcuna, ci sentiamo rispondere sempre "Non so, io non sono di qui" e allora decidiamo di ripartire per non aver la delusione di veder tradito anche questo santo, nel sospetto che anche lui come la polvere e i vecchi vestiti di nero sia stato sacrificato alla nuova anima internazionale di questa Kodachrome Kastelorizo.
Le case colorate di Kastelorizo
Il mio amico Luigi mi chiede un riscontro, ha il sospetto che non sia più l'isola dove ha passato mesi respirando l'autenticità del remoto.
Caro Luigi, vediamola così: l'hardware di Kastelorizo è sicuramente migliorato, è il software che è stato apparentemente compromesso. Ci resta però una sottile speranza: il tempo, se è vero che quasi mai migliora, a volte restituisce.
Di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
Tratto dal blog di Francesca Carignani P'aca' y P'alla'
Francesca è autrice del libro: ROTTA VERSO L'EGEO Edizioni Il Frangente
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