Quella del maestro d’ascia è una professione che affonda le sue radici nell’antichità, ma che oggi è ormai in via d’estinzione. Una figura a metà tra l’artigiano e l’artista, dalle sfumature vagamente romantiche ma che nasconde anni di fatica per costruire uno scafo preciso al millimetro. Amore per le barche, esperienza, perizia e competenza sono tutti elementi che maturano nel corso del tempo, sotto la guida di maestri d’ascia più esperti, spesso nonni e padri che tramandano l’abilità nell’adoperare l’ascia da una generazione all’altra.
La costruzione e il restauro artigianale delle barche segue tecniche antiche, che permettono di plasmare le imbarcazioni, ciascuna unica e particolare nel suo genere, al contrario delle barche prodotte in serie. I maestri d’ascia più abili venivano assoldati anche all’estero, erano raggruppati in consorterie e corporazioni. Molti erano specializzati solamente nella costruzione di particolari tipi di imbarcazione, mentre altri erano più versatili e spesso amavano anche ornare le navi da loro costruite con artistiche decorazioni. Grande cura era posta nella progettazione e nella costruzione dei loro attrezzi che normalmente realizzavano autonomamente e segretamente.
I giovani che volevano a loro volta diventare maestri d’ascia, dovevano necessariamente frequentare la bottega per un periodo minimo di cinque anni, superato un esame finale, ricevevano in omaggio dal maestro di bottega i ferri del mestiere, pagavano una tassa ed entravano nella corporazione. Il maestro d’ascia era una professione attiva soprattutto nei vecchi cantieri navali, quando le imbarcazioni venivano costruite prevalentemente in legno, il suo lavoro si svolgeva negli scali, nei bacini o semplicemente sulla spiaggia, e la sua esperienza consisteva nel realizzare incastri speciali come: biette, spine, chiodi e grappe per tenere uniti l’ossatura e il fasciame dello scafo, cioè collegare la chiglia e i paramezzali ai madieri, alle costole, ai bagli. Il maestro d’ascia era anche esperto dei vari tipi di legname e ne riconosceva l’uso e la locazione all’interno del’imbarcazione. Normalmente i tipi di legno utilizzati erano la quercia, l’olmo e il pino, e in epoca più recente pitchpine e teack.
La sua bravura consisteva nel sagomare e adattare il ceppo di legno a quella che poi sarebbe stata la sua definitiva funzione con un attrezzo chiamato ascia. L’ascia veniva utilizzata dove era prevista la lavorazione e la sagomatura di parti di imbarcazioni medio grandi, permetteva di sgrossare velocemente anche i legni più duri, e se usata con maestria lo rifiniva. Veniva usata sia su parti curve come le ossature, i madieri, le ruote di prua e poppa, sia su parti rettilinee come gli alberi delle navi, per renderne la sezione da rotonda a ovale. Si potevano effettuare diverse lavorazioni: palelle, incastri, squadrature, livellature, sagomature a profilo variabile di legni di notevole dimensione.
Era l’ordine del committente al direttore di cantiere che dava il via alla prima fase della costruzione di un’imbarcazione in legno, era necessario prefissare la stazza, la lunghezza e il tipo di alberatura in funzione sia del carico da trasportare che della velocità da mantenere. Spesso il committente forniva il legname al calafato, col quale redigeva un regolare contratto. I calafati avevano il compito di sigillare le fessure che inevitabilmente si formavano tra le assi di legno del fasciame della barca con pece calda e stoppa. Anche loro erano raggruppati in consorterie e il loro apprendistato poteva durare fino a otto anni. Eseguiti i primi disegni del progetto in scala ridotta delle varie parti, si passava al disegno in scala reale dei singoli pezzi da costruire, su un pavimento in legno lisciato ed imbiancato.
Era a questo punto che i maestri d’ascia iniziavano a lavorare. Già nel 1400 i genovesi erano considerati maestri esperti nella costruzione di imbarcazioni tipicamente mediterranee con forma allungata, spinte a remi e a vela e in quelle di origine nordica con forma arrotondata, a pescaggio profondo e a propulsione velica.
Tra le migliori imbarcazioni costruite nei cantieri genovesi, sono da ricordare:
Bucci: navi di media grandezza adatte sia alla guerra che al commercio, che però si destinavano più spesso a trasportare sale e grano sugli scali del Mediterraneo
Taride: bastimento a vela e a remi pesante, usata per il trasporto di merci varie
Saettia: nave più piccola della Galea, dapprima a remi e più tardi a vele latine, con attrezzature da corsa e da imboscata
Panfilo: bastimento a vela e a remi, di uso commerciale e militare
Gatti: navi a remi armate di sperone, più grandi delle Galere, aventi almeno cento remi ciascuna, e con due uomini per ogni remo
Cetee: navi molto più grandi delle Galee
Caravella: nave veloce con una grossa vela centrale ed altre ai lati
Gollabilii: barche equivalenti alle odierne scialuppe e canotti
Brulotti: imbarcazioni utilizzate anche come navi incendiarie
Galea: una nave veloce e maneggevole, adatta agli sbarchi in piccole insenature con bassi fondali, e utilizzata sia come natante da trasporto che da guerra
Galea sottile: nave più snella della Galea, lunga circa 40m, larga 5m, alta tra la coperta e la chiglia 2m
Galeazza: nave grossa mercantile, lunga circa 40m, , larga 6m, alta tra la coperta e la chiglia 3,5m
Caracca: nave mercantile derivante dall’adattamento del modello nordico della Cocca all’esperienza mediterranea
Cocca: nave con scafo molto alto e di forma tondeggiante, aveva due o più ponti sovrapposti, con castello sia a prua e che a poppa, tre alberi e vele miste, grande era la capacità delle stive per carichi molto pesanti, da 500 a 1000 tonnellate
Brigantini, Sciabecchi, Corvette, Golette e Fregate: imbarcazioni utilizzate fin quasi ai giorni nostri.
Tratto da: www.ottante.it
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