Pirateria: schiavi con destini diversi
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
La pirateria, nel corso dei secoli, ha mutato la propria immagine divenendo, via via, sempre più pragmatica. Ma in passato (XVI - XVII secolo) tale attività, praticata trasversalmente da tutte le nazioni sia cristiane che mussulmane, mirava prevalentemente a catturare schiavi, con razzie costiere e abbordaggio di navi di mercanti o di pellegrini, anche al di fuori di guerre più o meno dichiarate.
Per coloro che subivano questo destino, e nell’impossibilità di riscattarsi o essere scambiati con altri prigionieri, iniziava un’esistenza abbastanza impegnativa, fatta di lavoro forzato sulle navi, nella costruzione di difese o, nella peggiore delle ipotesi, di stenti nelle prigioni.
Ma alcune significative differenze esistevano se si era fatti schiavi da nazioni cristiane o mussulmane. Per i primi il destino era segnato, rimanere al servizio fisico di qualcuno sino alla inevitabile consunzione. Nemmeno la conversione al cristianesimo era sollecitata poiché questo avrebbe comportato la inevitabile liberazione e il conseguente danno economico.
Il romano Collegio dei Neofiti, istituito virtuosamente da Papa Paolo III nel 1543 per dare assistenza ad ebrei e mussulmani convertiti, rimase marginalmente utilizzato per mancanza di “vocazioni”, anche in relazione al fatto che l’apostasia dell’Islam prevedeva una inevitabile condanna a morte.
Divenire schiavi mussulmani, consentiva, almeno per i più fortunati ed intraprendenti, di poter accedere a un sistema sociale in grado di riconoscere, su base meritocratica, un percorso che avrebbe potuto condurre a vere carriere paritarie nel complesso sistema amministrativo ottomano. La loro società era improntata ad un dinamismo, ben diverso della stratificazione sociale presente in Europa, fortemente tollerante in tema religioso ed accogliente.
Basti pensare che il cristianesimo puniva spesso con il rogo la non ortodossia religiosa, mentre nell’impero ottomano era sufficiente pagare un tributo specifico per essere accettati pur nella diversità di credo. Questo sistema, definibile di “piena eguaglianza”, era testimoniato anche dalla pratica della “raccolta” (Devsirme), ovvero una tassa pagabile con giovani provenienti dai territori occupati, che una volta convertiti, formati e fidelizzati, potevano accedere anche alle più alte cariche amministrative o militari.
Queste opportunità erano ben viste dalle popolazioni assoggettate che spesso brigavano per facilitare la cessione dei loro figli all’amministrazione. Ma anche tra le popolazioni cristiane più disperate si guardava al mondo mussulmano come ad una auspicabile realizzazione, sola in grado di concedere opportunità di miglioramento esistenziale.
Molti sono gli scritti e le narrazioni su esperienze di schiavismo felicemente concluso, e sicuramente ben più ampie sono quelle andate perdute. Una tra tutte, immortalata in alcuni capitoli del “Don Chisciotte”, c’è stata trasmessa da Miguel de Cervantes, catturato dai pirati barbareschi nel 1575 e rilasciato dopo un non trascurabile lasso di tempo (1580), nel quale ebbe modo di apprezzare la benevolenza dei suoi carcerieri con i quali entrò in tale empatia da doversi difendere, in patria, dall’accusa di connivenza.
Fabrizio fattori
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