Aral il lago che non c’è più
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
I cambiamenti climatici dispensano da qualche tempo disastri in giro per il mondo. Malgrado ciò ancora molti negano il contributo umano a queste sistematiche catastrofi, osannando liberismo, pil e profitti. Tra i molti esempi che potrebbero essere citati forse quello del lago d’Aral testimonia maggiormente la folle sinergia tra azioni umane e natura.
Una vasta superficie lacustre (68.000 kmq nel 1960) tra le non facili terre dell’Uzbekistan e del Kazakistan è, di fatto, quasi totalmente scomparsa oggi a causa delle scelte del governo sovietico nei primi anni sessanta. La politica agricola del cotone venne intensificata al massimo arrivando a mettere in produzione milioni di ettari irrigati, con opportune canalizzazioni, dalle acque dei due fiumi immissari del lago (Syr Darya e Amu Darya). Canalizzazioni per altro poco efficienti perche nel transito disperdevano una parte consistente della risorsa.
Foto da DEPOSITPHOTOS
La coltivazione della monocoltura del cotone, oltre a soppiantare una biodiversità che aveva caratterizzato per secoli quelle aree, basata su cereali e frutta, venne sostenuta da ingenti quantitativi di diserbanti e concimi chimici che si sono concentrati, anno dopo anno, nelle acque residue del lago e nei territori circostanti avvelenando l’area per centinaia di kilometri quadrati.
Con un ulteriore contributo di quanto abbandonato nei magazzini di una base militare operativa su una delle tante isole dove vennero condotti esperimenti su sostanze tossiche (antrace). Il risultato è stato un incremento esponenziale di malattie oncologiche, malformazioni ed un aumento della mortalità infantile ampiamente sopra la media. Prezzo altissimo pagato dalla popolazione in decrescita esponenziale. Ma anche la diffusa sterilità dell’ambiente circostante dovuta alle frequenti tempeste di sabbia che diffondono una miscela di veleni e rendono inutilizzabili vaste superfici.
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Oltre a ciò risulta alterato il microclima che il lago originario assicurava a tutta l’area innescando una sinergia deleteria che ha innalzato le temperature contribuendo ad accellerare l’evaporazione della poca acqua rimasta. Oggi una residua parte del lago originario (circa il 10% dell’origine) è alimentata da una sorgente sotterranea di qualche km3, protetta da una diga (Kokaral) e da nuove canalizzazioni che in parte tentano di ricostituire quanto perduto.
Anche se la stragrande superficie è caratterizzata da un desolante aspetto desertico dove troneggiano isolate le carcasse arrugginite degli ultimi pescherecci. Ancora oggi la cittadina di Moynaq, una volta prospero porto con una attiva industria della lavorazione del pesce, si trova a più di cinquanta km dalle rive del residuo lago.
Fabrizio Fattori
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