Londra 1665, barche e navi nell'anno della peste
di Manuela Revello
di Manuela Revello
Di Daniel Defoe tutti conoscono il personaggio di Robinson Crusoe, molti altri quello di Moll Flanders, mentre meno noto al grande pubblico è il suo A Journal of the Plague Year, il romanzo in forma di diario che racconta la peste che si diffuse a Londra tra il 1664 e il 1665 e che falcidiò circa 100.000 persone, un quinto della popolazione. Imitando lo stile giornalistico, l'autore incrociò i suoi ricordi d'infanzia con una vasta documentazione, studiando cronache dell’epoca, annuari, atti legislativi e intervistando i sopravvissuti.
''Si spera di fare cosa gradita ai nostri lettori, sintetizzando quelle informazioni emergenti qua e là dalla narrazione di Defoe riguardanti barche e navi tra il Tamigi e il mare mentre la città veniva devastata dalla peste.''
L'infezione fu portata dalle navi cariche di merci dall'Olanda, dove vi era giunta allo stesso modo dall'Oriente, manifestandosi dapprima nella casa in cui quelle merci erano state introdotte, per poi passare alle abitazioni vicine e così espandersi, un quartiere dopo l'altro. Quando, nel giro di pochi mesi, fu chiara tutta la forza distruttrice del morbo, cessò ogni attività commerciale e industriale, eccettuato il solo settore alimentare.
The Lord Mayor's Water-Procession on the Thames c. 1683
Numerosissimi lavoratori rimasero senza occupazione, soprattutto quelli che dovevano la loro sopravvivenza al traffico di merci e dunque anche i barcaioli, dato che pochi battelli da carico si avventuravano a risalire il Tamigi. Gli stessi marinai vennero mandati a casa, e insieme a loro restarono disoccupati gli impiegati nella cantieristica: carpentieri, incatramatori, operai specializzati nel calafataggio, fabbricanti di cime e cordame nautico, velai, forgiatori di ancore, maestri d'ascia, fanalisti, e poi i rematori, i timonieri e tutti i poveri diavoli che si guadagnavano da vivere grazie al porto e alla navigazione. Alcuni velai si improvvisarono costruttori di tende, utilizzando vele ormai inservibili per realizzare ciò che divenne in breve tempo molto utile come riparo per sopravvivere durante la fuga nelle campagne per sfuggire al contagio.
Le barche, per chi non aveva avuto la possibilità di lasciare la città e scappare lontano, divennero un luogo in cui abitare: un rimedio adottato dagli stessi barcaioli, che le usavano di giorno per lavorare e di notte per dormirci. Il loro lavoro consisteva principalmente nel procurare generi alimentari – reperiti a Greenwich o a Woolwoch o altra località lungo il Tamigi dove si trovavano prodotti freschi - e nello sbrigare piccole incombenze per quelle famiglie a loro volta asserragliate all'interno di barche alla fonda, in modo tale che nessuno dei membri fosse costretto a scendere a terra.
Dal canto loro i barcaioli, per paura dell'infezione, non salivano a bordo di quelle barche: legavano di volta in volta la loro barca a quella della famiglia cui prestavano servizio restandone a distanza, limitandosi a posare la roba senza che nessuno scendesse dalla propria. All'inizio dell'epidemia, alcune di queste famiglie avevano fatto provviste, e si trovavano a non aver bisogno di nulla e al sicuro dal contagio. Ma altre si erano imbarcate quando ormai la peste si era diffusa e procurarsi provviste in grande quantità era diventato troppo rischioso. Alcune di esse avevano a bordo soltanto birra e gallette, e i barcaioli portavano loro altri alimenti.
Londra nel 1780 opera di Francesco Ambrosi
Lungo il Tamigi era possibile assistere a un suggestivo scenario in cui da Greenwich a Lime-house e Redriff si vedevano barche insolitamente allineate e ancorate in coppia in mezzo al fiume, con a bordo le famiglie dei capitani o degli armatori, e fra cui le più grandi potevano ospitare fino a tre nuclei famigliari. Nel porto, invece, c'erano moltissime imbarcazioni che magari si erano trovate in navigazione da tempo e non avevano saputo nulla della peste. Esse erano costrette dunque ad attendere ancorate nella cosiddetta Pool, all'altezza del fiume Medway o a Hope, sotto Gravesend. Ad un certo punto, si ritrovò davanti a Londra un numero inaudito di navi in attesa di poter ormeggiare.
Dal punto di vista commerciale, fu il disastro: gli Olandesi spietatamente approfittavano del fatto che tutti i porti erano stati preclusi alle navi salpate da Londra per il fondato timore che uomini e merci a bordo fossero infetti. Quando, eccezionalmente, veniva consentito l'attracco in un porto estero ad altra imbarcazione inglese, le merci venivano tolte dall'imballo e lasciate all'aria per alcuni giorni. Ma l'ostracismo verso le navi londinesi rimase severissimo in tutta Europa, e specialmente in Spagna e in Portogallo, in cui tanta era la paura del contagio, che accadde anche che l'intero equipaggio di una goletta londinese venisse passato a fil di spada e tutto il carico dato alle fiamme.
Solo i turchi e, in parte, i mercanti italiani mostrarono sempre una certa elasticità. Ma gli effetti della peste e specialmente dell'interruzione della produzione e della conseguente concorrenza da parte di altri Paesi ebbero effetti disastrosi sull'economia londinese ancora per molti anni a venire.
Fonti:
- La prima edizione italiana del romanzo di Defoe, con il titolo La peste di Londra, risale al 1940 ed è di Elio Vittorini per la Bompiani. Da allora il 'diario' è stato riproposto da varie case editrici.
- Daniel Defoe, A Journal of the Plague Year, 1722, London (testo originale gratuitamente scaricabile in pdf su
https://scholarsbank.uoregon.edu/xmlui/handle/1794/5597)
- Il miglior resoconto di sempre resta il diario di Samuel Pepys, Memoirs of the Navy, 1690
- Per altri approfondimenti, un buon punto di partenza è in
https://slate.com/human-interest/2014/01/bill-of-mortality-document-shows-death-toll-during-the-great-plague-of-london.html
Manuela Revello è dottore di ricerca in Filologia greca e archeologa specializzata in Archeologia Orientale. Insegna lingue classiche e ama il mare e la vela.
Di Manuela leggi anche:
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- Occhio e malocchio nel 'porto di Torlonia'
In copertina ''The Pool of London'' by John Wilson Carmichael dipinto ottocentesco
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