I settecento anni dalla sua morte rilanciano la figura di questo mercante, navigatore, geografo, scrittore, capace di suscitare, ancora oggi, stupore per la sua vita avventurosa, descritta e condivisa con tutti noi e con altrettanta meraviglia nel “Milione”, che rimane uno dei più singolari racconti di viaggio di tutti i tempi.
Spinto dalla cultura del “mercatare”, che aveva fatto della Venezia del XIII secolo una splendida, opulenta realtà, affiancò a questa vocazione familiare la curiosità del viaggiatore rendicontando quanto visto e vissuto nell’estremo oriente (Catai) nel corso di ventiquattro anni e nel peregrinare per quelle terre allora quasi completamente sconosciute.
Era rimasto a lungo alla corte del “Gran Cane” (Qubilay) con cui era entrato in profonda sintonia al punto da diventarne ambasciatore e consigliere.
Solo dopo parecchi anni ottenne il permesso di lasciare la corte ed ottenere i relativi necessari lasciapassare, grazie ad una nuova delicata missione diplomatica: accompagnare la futura sposa, principessa “Celeste”, dal sovrano di Persia ad Hormuz (1290).
Viaggio per mare, oltremodo avventuroso, che solo l’abilità dei Polo (Marco, Matteo e Niccolò) permise di portare a termine. Il ritorno a Venezia, così come raccontato secoli dopo da Giovan Battista Ramusio è ricco di aneddoti.
Il viaggio di Marco Polo
Si narra che al termine di un estenuate viaggio, per mare e per terra, i Polo, mal ridotti e profondamente cambiati nell’aspetto non vennero riconosciuti e quasi trattati come poveri stranieri. Fu solo al termine di un banchetto familiare che permise loro di mostrare le grandi ed innumerevoli ricchezze, abilmente nascoste negli orli e nei risvolti dei loro poveri e logori abiti che vennero riconosciuti e di nuovo accolti con grande entusiasmo da tutta la comunità veneziana, anche se, al di la di quanto scritto dal Ramusio, mancano altre fonti ufficiali a conferma, anzi sembra che l’impresa lasciò abbastanza indifferenti le alte gerarchie veneziane.
Come noto quanto vissuto da Marco Polo prese forma anni dopo nel “Milione” termine che sembra derivare da un soprannome datogli in relazione al frequente utilizzo del termine per indicare l’abbondanza, la ricchezza e la “numerosità” incontrata in quelle terre (altri lo rimandano ad un avo dei Polo, tale Emilione).
E’ certo che venne scritto in francese sotto dettatura da Rustichello da Pisa, durante la cattività nelle prigioni genovesi. Ancora oggi si disputa se tale prigionia toccò a Marco dopo la tragica battaglia navale di Curzola (1298) dove i genovesi, comunque malridotti, vinsero lo scontro, o piuttosto dopo una più modesta scaramuccia navale a Laiazzo (1296) sulle coste della Turchia, sempre contro gli odiati navigli genovesi.
Tenendo presente che tornato libero dopo la pace di Milano del 1299, in questa seconda ipotesi, Marco avrebbe avuto a disposizione più tempo per riordinare i suoi racconti e trasmetterli a Rustichello e non i soli pochi mesi se fosse stato imprigionato dopo la Battaglia di Curzola. L’opera venne accolta con curiosità e stupore sollevando incredulità fino al lazzo irriverente, a dispetto del successo internazionale e alle molte traduzioni effettuate.
Di nuovo a Venezia Marco si dedicò alla promozione del suo libro incontrando i dotti del suo tempo, ma non tralasciò i commerci gestiti ora dallo splendido palazzo familiare acquistato con parte delle ricchezze del Catai e andato distrutto da un incendio anni dopo, si disinteressò della vita pubblica, confortato dai suoi familiari e dalla sana gestione dei suoi denari, che accrebbe, nel tempo, considerevolmente. La sua tomba e le sue ossa andarono disperse con l’intero complesso monastico di San Lorenzo, dalla furia napoleonica all’inizio del XIX secolo.
Fabrizio Fattori
In copertina Niccolò e Matteo Polo ricevuti da papa Gregorio X immagine dalla biblioteca digitale Gallica con il numero identificativo di btv1b52000858n/f16
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