Leros: un’inedita navigazione terrestre, fra spiagge e memorie
di Paola Dal Molin
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di Paola Dal Molin
"Lo avevo conosciuto in un pomeriggio di metà febbraio, nel rifugio dove lavoravo come cameriera stagionale, quota 2.126 mt sul livello del mare (Egeo incluso)."
Mentre pulivo il bancone, sentivo che chiacchierava con il suo amico in uno strano gergo fatto di rande, garrocci, parabordi. Avevo drizzato le antenne. Nel giro di pochi minuti, la sala si era riempita di profumi mediterranei e lunghi tramonti sull’Egeo. Impossibile resistere alla tentazione di attaccare bottone per saperne di più: era da anni che sognavo di fare un’esperienza in barca a vela; in passato avevo anche provato ad informarmi sui siti di tour operator specializzati, ma alla fine avevo sempre scartato l’idea, un po’ per la mancanza di un aggancio, un po’ per i costi troppo elevati.
Adesso - immersa nel cuore delle Dolomiti - fiutavo che paradossalmente poteva essere arrivata l’occasione giusta. E così, avevo scoperto che si chiamava Giovanni: chef in Alto Adige in inverno, velista in Grecia durante l’estate. Terminata la stagione invernale in rifugio, la mia primavera era trascorsa sui passi di Santiago, mentre l’estate si stava arrampicando fra Dolomiti, Orobie e Monte Rosa. Ma fra un cammino e una ferrata, il sogno della mia prima navigazione mediterranea non si era perso lungo i sentieri, tutt’altro.
Panorama di Leros
Giovanni però mi aveva consigliato di aspettare e scendere a metà settembre: il tempo migliore per godersi la Grecia, finalmente svuotata dalla ressa ferragostana e più mite nelle temperature. Ma a poche settimane dalla partenza, mi era arrivata un’autentica doccia fredda. Mi dispiace Paola, non si può proprio riparare in questo momento, dobbiamo rimanere fermi..
Non potevo crederci. Libertad - è questo il nome della maledetta carretta - mi aveva ignobilmente tradito. Un guasto al motore. Non si poteva uscire in navigazione. Mi attendevano dieci giorni in barca a vela... ferma in marina! La barca di Giovanni era ormeggiata nell’isola di Leros, nel Dodecaneso, ed è lì che lo avrei raggiunto. Nella guida acquistata prima della partenza, veniva presentata come un posto scarsamente turistico e dal passato poco lusinghiero: ex colonia fascista e base militare italiana, poi occupata dai nazisti e bersaglio di pesanti bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale; dagli Anni ’60 prigione per dissidenti politici e lager psichiatrico, oggi centro di accoglienza per migranti. Diciamo che fra tutte le isole e isolette della Grecia, non era esattamente quella che avrei scelto per trascorrere una vacanza..
Lakki
Dopo 18 ore di viaggio fra treni, bus, aereo e traghetto, finalmente approdo a Lakki, la cittadina principale dell’isola. Mi incammino per strade inverosimilmente larghe e dritte, come se qualcuno avesse cucito addosso al paese un vestito troppo grande, in fiduciosa attesa che cresca e lo riempia. Ed in effetti, gli italiani arrivati nel 1912 avevamo in mente grandi cose per Lakki, o – come era stata ribattezzata - Portolago: volevano farne una città in grado di accogliere 20.000 persone, fra militari e civili. Il culmine dell’italianizzazione di Leros - e in generale di tutto il Dodecaneso - si toccò durante il Ventennio, epoca in cui Lakki venne letteralmente riprogettata al tecnigrafo dagli urbanisti del Duce.
Oggi la cittadina si presenta come un agglomerato urbano fuori dal tempo e dallo spazio, in cui vige un’atmosfera sospesa, lontana dal rassicurante stereotipo greco bianco e azzurro. Passeggiando lungo le vie, si può osservare un continuo armonico sovrapporsi di linee dritte e forme circolari: qui l’architettura Razionalista italiana è riuscita ad esprimere il meglio di sé. Oggi palazzine decadenti si alternano ad edifici ristrutturati, ma troppo spesso lasciati incompiuti e inutilizzati. Ci sono la sede del Comando della Marina, il Cinema, la Scuola, il Mercato coperto, la Chiesa: l’archetipo della cittadella fascista ideale.. ma sulla riva dell’Egeo.
Panorama dal Kastro
Il porto di Lakki è situato lungo un’insenatura profonda 3 km, considerata una dei porti naturali più belli della Grecia. Ed è proprio qui che finalmente faccio la conoscenza di Libertad. Pozzetto, cabina, dinette, wc a pompa: inizio a prendere confidenza con i nuovi spazi, così ristretti rispetto ad una normale abitazione, eppure così perfettamente organizzati da darti la sensazione che non manchi davvero nulla. La marina sembra una specie di campeggio sull’acqua, dove tutti si salutano passando con disinvoltura dal Good morning al Bonjour, dal Guten Abend al Kalispèra.
Per raggiungere l’edificio che ospita i bagni, si deve attraversare un grande piazzale in terra battuta dove sono letteralmente puntellate a 2 – 3 metri di altezza le imbarcazioni tirate fuori dall’acqua per manutenzioni, riparazioni o semplicemente per trascorrere la stagione invernale all’asciutto.
Le barche in rimessaggio
Giovanni mi spiega che l’operazione per tirare in secca le barche si dice alaggio, e in effetti da sotto sembrano enormi creature volanti, addormentate a mezz’aria, in paziente attesa di un risveglio acquatico. Si passa sotto a gonfie pance di drago in vetroresina, lucide, immacolate, silenti. Sotto, le chiglia si mostrano nude, sbeffeggiate dalla polvere. In alto, il sibilo irrequieto delle sartie si intrufola fra i pensieri.
L’entroterra di Leros è incapace di attirare attenzioni morbosamente turistiche, ma sa regalare il gusto della scoperta a chi non ha paura di addentrarsi nella sua atmosfera decadente. Trascorriamo le giornate con una gamba allungata in spiaggia e l’altra a zonzo per esplorare l’isola: saliamo al Kastro, con la sua vista mozzafiato, e alla Chiesa di Panagìa sto Paleokastro, edificata su antichissime mura ellenistiche, le cui pietre perfettamente squadrate sono ancora ben visibili nel basamento.
Agios Isidoros
Varchiamo le porte delle pittoresche cappelle sul mare di Panagìa Kavouràdena - dedicata ad un’originale Madonna del Gambero – e Agios Isidoros, abbarbicata su un isolotto roccioso raggiungibile con una passerella a pelo d’acqua. E poi, allineati come un filo di perle sul crinale della collina, i mulini a vento di Plàtanos.
Scopriamo i misteriosi affreschi in stile espressionista di Agia Matròna Kiourà - dove gli sguardi cupi e rassegnati dei santi sono gli stessi dei detenuti politici che li hanno dipinti nel 1968 – e i colorati disegni dei tedeschi nella caserma abbandonata di Diapori. Sono pareti che parlano, e raccontano di una storia logora, scrostata, ma ancora viva.
A sinistra Reperti bellici sulla spiaggia di Blefoutis e a destra la Caserma di Diapori
Doveva essere la mia prima vacanza in barca a vela, solcando l’Egeo. E’ diventata una navigazione terrestre, attraverso le ondate burrascose della Storia. Camminando nel vento, ho sentito il dialetto dei mercanti veneziani e gli ordini dei soldati tedeschi, le urla dei turchi e il vociare dei gerarchi fascisti.
Ora - seduta sulla poltrona del traghetto - osservo gli ultimi lembi di un’isola che vorrebbe correre verso un orizzonte di turismo e benessere, ma incespica ancora fra i suoi pesanti ricordi. Ha riposto la divisa militare, si è tolta la camicia di forza, Leros. Ma spero non si spogli mai della sua Memoria.
Paola Dal Molin
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