La ''HMS Royal George'' e l'arte del recupero subacqueo
di Fabrizio Fattori
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di Fabrizio Fattori
Recuperare relitti immersi o i loro carichi è una delle attività più rischiose tra le molteplici attività marinare.
E’ uso far risalire al 1839 e al recupero di quanto possibile della “Royal George” la nascita di tali attività, rese più sicure da tecniche e strumenti innovativi ampiamente replicati e perfezionati in simili circostanze negli anni successivi.
La “HMS Royal George”, era considerata all’epoca del suo varo (1756) la nave più grande del mondo. Armata di 108 cannoni divisi su tre ponti; si distinse in diversi scontri al margine della guerra dei sette anni, come ammiraglia della “Channel Fleet”.
Nell’agosto del 1782 si trovava nella base navale di Spithead nel Solent (UK) per banale manutenzione, al punto che vennero accolti in visita donne e bambini che oltre all’usuale equipaggio portò il numero degli imbarcati ad un totale di circa 1300 persone.
Sinking of Royal George - Ackermann & Co (publishers); Horsey, S, Jnr (publisher), Public domain, via Wikimedia Commons
Per raggiungere una piccola falla poco al di sotto della linea di galleggiamento si decise l’ inclinazione della nave spostando i cannoni da un solo lato.
Questo, insieme ad altre fortuite circostanze, determinò il rapido allagamento dello scafo ed il suo inevitabile affondamento. Solo poche centinaia di persone si salvarono.
L’ammiraglio comandante Richard Kempenfelt morì miseramente prigioniero nella sua cabina. Il relitto si adagiò su un fondale di venti metri con buona parte dell’alberatura fuori dall’acqua, creando intralcio al traffico della base.
Tutti i tentativi di recupero, dall’imbracatura con gomene alla distruzione con cariche esplosive non ebbero successo e si dovette aspettare il 1839 per un programma di recupero razionale e se pur nell’entusiasmo pioneristico, affidabile.
Foto di Fabrizio Fattori
Tali attività non spettarono, come immaginabile, alla marina, ma furono gli “zappatori” a farsene carico. Questo corpo godeva, in ambiente militare, di buon credito per le sue capacità di risolvere problemi, per l’elevato spirito di sacrificio oltre ad un ampia collaborazione trasversale nelle gerarchie.
Questi “zappatori”, alcuni provenienti dalla “Compagnia delle Indie Orientali” diedero luogo al primo recupero industriale, imparando e perfezionando le tecniche di immersione con il casco e conseguentemente a dar vita ad una vera e propria scuola di sommozzatori della marina.
I primi tentativi di immersione con casco privilegiarono quanto messo a punto da Augustus Siebe che prevedeva un casco saldato ad una tuta impermeabile gonfiabile alimentato d’ aria attraverso pompe a mano. Dopo 57 anni dal naufragio lo scafo della “Royal George”, malgrado fosse mal ridotto coperto da alghe e sabbia, era ancora imponente e necessitò il suo smembramento con apposite cariche esplosive costituite da barili di quercia foderati di piombo e pieni di polvere nera, portati a detonare da una primitiva miccia voltaica.
Furono recuperati i cannoni in ferro e bronzo e altri affascinanti reperti, il tutto sotto l’attenzione della stampa nazionale, che contribuì a generare lo stupore per l’eccezionalità dell’impresa nell’opinione pubblica del paese, e non solo, entusiasticamente capace di valutare gli enormi rischi cui gli eroici “zappatori” si erano sottoposti aprendo così una nuova era di esplorazioni sottomarine.
Fabrizio Fattori
In copertina A fictitious combination of two events set in Deptford Dockyard in southeast London, England, UK: the launch of the H.M.S. Cambridge (left) in Deptford on 21 October 1755, and the H.M.S. Royal George (right) which was actually launched at Woolwich Dockyard the following year.
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