Il Palombaro Lungo di Matera
di Fabrizio Fattori
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di Fabrizio Fattori
I grandi fiumi hanno costituito, come noto, vie di comunicazione e scambio culturale alla base delle sviluppo delle maggiori civiltà. Disporre di acqua più o meno pulita è sempre stato per l’uomo una necessità irrinunciabile per se e per le attività agricole e pastorali.
Quelle popolazioni che si sono insediate in ambienti con meno disponibilità idrica, hanno dovuto affrontare tale necessità dando luogo, nel tempo, ad opere di grande ingegneria idraulica.
Molte di queste risalgono ai secoli passati e rappresentano casi di particolare eccezionalità sia per la loro dimensione, sia, come per i “Cisternoni di Albano” per il fatto di essere ancora in attività. Matera conserva oggi quella che, a detta di alcuni, è una delle cisterne più grandi in assoluto: il così detto “Palombaro lungo” che deriva il suo nome dal latino plumbarius, che con i suoi 5 milioni di litri rappresenta un contenitore di eccezionale capacità.
Costruito nei primi anni dell’ottocento ed ampliato nel corso degli anni successivi per adeguarsi all’incremento demografico, risulta prevalentemente scavato nel piano roccioso della parte alta della città che ha permesso attraverso la graduale annessione di ambienti ipogei come cantine, nevai ed altro di portare il “palombaro” alle attuali dimensioni.
In esso confluivano sorgenti naturali ma soprattutto acque piovane, cui la popolazione attingeva da appositi pozzi collettivi.
Il sistema idrico della città con le sue innumerevoli ingegnose canalizzazioni le sue numerosissime cisterne di uso familiare o collettivo presenti capillarmente nel tessuto dei “Sassi” hanno permesso, insieme alla particolarità, al lungo percorso storico dei luoghi e alle suggestioni di un ambiente unico al mondo non solo di essere riconosciuta dall’Unesco come luogo appartenente alla “cultura del mondo” ma anche di divenire capitale della cultura europea nel 2019.
Visitare oggi i sassi dal Barisano al Caveoso , in parte recuperati ad una normalità urbana ed al tempo stesso divenuti museo diffuso, è apprendere direttamente dalle “case-grotta” come l’adattabilità umana possa raggiungere dei livelli di tolleranza elevatissima rispetto alle condizioni imposte da primordiali civiltà agropastorali che non permettevano niente di più che cisterne di acqua piovana il cui controllo batterico era affidato a volenterose anguille o il cui riscaldamento proveniva dalla condivisione degli spazi abitativi con i propri animali ed i loro escrementi.
Fabrizio Fattori
In copertina Matera foto di Gianni Crestani da Pixabay
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