Il declino Moghul
di Fabrizio Fattori
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di Fabrizio Fattori
La Compagnia inglese delle Indie Orientali è stata, certamente, l’istituzione commerciale più intraprendente del protocapitalismo occidentale e la più eticamente discutibile all’esame della storia più recente.
Un gruppetto di investitori inglesi, smaniosi di intervenire negli affari che si andavano realizzando ad opera di altre nazioni nei nuovi territori via via scoperti o colonizzati, si strinse in un accordo con scarsi mezzi e scarsa convinzione (1600). Dopo incerti tentativi di rafforzare il proprio ruolo nel commercio delle spezie, conteso agli olandesi, si rivolse al continente indiano (1608) con il progetto di stabilire delle “officine” ovvero delle basi commerciali costiere.
L’incontro ufficiale tra Thomas Roe, ambasciatore di Re Giacomo I° e Jahangir, Gran Moghul dell’impero e figlio di Akbar figura carismatica della dinastia Moghul, avvenne alla luce di una palese indifferenza. Jahangir, che si trovava all’epoca dell’incontro (1615) a governare, dalla splendida capitale Agra, su un territorio vastissimo e su un’ operosa popolazione di oltre centocinquanta milioni di persone, guardava a questi visitatori con un misto di curiosità e disprezzo forte delle proprie immense ricchezze e dello sterminato potere esercitato con divina autorità e reso solido da un numeroso esercito di circa quattro milioni di armati.
Compagnia delle Indie Orientali
I loro aspetti stridevano inesorabilmente: gli inglesi vestiti di rozzo panno bigio reso impresentabile dalla lunga navigazione, veniva mortificato dalle sete, dai tessuti preziosi e dalla munificenza dei gioielli. (Ancora oggi nella lingua inglese il termine “mogul” indica il magnate, la persona ricca e potente). I doni inglesi, cani, carrozze, un virginale ed un gran numero di botti di vino rosso, stemperarano leggermente l’atmosfera diffidende dell’incontro, ma non sufficientemente ad aprire un tavolo di autorizzazioni commerciali. Solo dopo tre anni Roe ebbe l’autorizzazione ad aprire a Surat sulla costa noroccidentale dell’India, un’officina e fù il principio della fine.
Nei numerosi anni successivi (due secoli circa) la Compagnia delle Indie Orientali si assicurò, con arti diplomatiche, sapienti corruzioni ed inaudite violenze, il predominio assoluto, avendo estromesso le mire di francesi, portoghesi ed olandesi, nello sfruttamento delle risorse e della forza lavoro di quel continente. A questo opinabile successo contribuì la forza delle autorizzazioni reali e parlamentari, il disfacimento dell’impero Moghul frammentatao in staterelli in lotta tra loro, ma soprattutto la capacità organizzativa di tale impresa, configuratasi, nel tempo, come un subdolo colpo di stato, dove uno sparuto gruppo dirigenziale, con sede a Londra, controllava estesi territori con ricche risorse e schiavizzate popolazioni.
Nel tempo la Compagnia vide la propria autonomia amministrativa e commerciale ridimensionarsi per i maggiori interventi del governo inglese, e dalla metà del XIX secolo, dai movimenti indipendentisti indiani, fino a perdere il suo ruolo.
Fabrizio Fattori
In copertina un membro della prima dinastia Moghul
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