Gli specchi di Archimede e l'assedio di Siracusa
I congegni bellici del grande scienziato

I congegni bellici del grande scienziato
Nell'immaginario collettivo gli specchi ustori sono indissolubilmente legati all'assedio di Siracusa, durante il quale Archimede li avrebbe usati per bruciare le navi romane. L'episodio non è ricordato da Polibio (che è la fonte più attendibile sui congegni bellici ideati da Archimede durante l'assedio), né da Livio né da Plutarco, ma è riferito da varie fonti tarde.
Ne parla per primo Galeno e poi Cassio Dione Cocceiano e vari altri autori, tra i quali i bizantini Giovanni Zonara e Giovanni Tzetzes, ma anche il barone von Riedesel. Essi aggiungono particolari ai racconti più antichi, descrivendo gli specchi ustori come composti da una serie di specchi piani opportunamente orientati. I raggi del Sole concentrati dagli specchi in un unico punto sarebbero stati in grado di bruciare il legno delle navi romane.
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Ipotesi sugli specchi |
La struttura è costituita da almeno 24 grandi specchi piani, disposti in una figura esagonale su un graticcio ruotante su un palo fissato al terreno: lo specchio centrale serviva a dirigere il raggio solare riflesso sull'obiettivo, mentre gli specchi laterali venivano fatti convergere con un sistema di cinghie.
La struttura descritta da Zonara e Tzetzes viene rappresentata in una scena del film storico Cabiria, e attraverso questo film ha contribuito alla credenza nell'immaginario collettivo. Altre fonti, non accreditate, riportano la descrizione di specchi in bronzo da toilette in uso all'epoca: un migliaio di donne sugli spalti del porto ciascuna manovrando un singolo specchio con la mano, potevano dirigere il riflesso del sole sulle vele delle navi nemiche di passaggio nello stretto a sud di Siracusa, concentrando in un punto il riflesso di mille specchi dei raggi del sole.
L'antico uso bellico degli specchi ustori potrebbe essere poco credibile per vari motivi. In primo luogo il fatto che ne parlino solo autori tardi rende l'episodio molto sospetto. Alcuni hanno poi ritenuto impossibile ottenere con specchi temperature sufficientemente elevate (il legno ha una temperatura di autoignizione superiore ai 300 °C). Altri hanno sottolineato la difficoltà di costruire uno specchio parabolico con un fuoco così distante come dovevano essere le navi dalle mura di Siracusa.
Poiché Archimede riuscì realmente a bruciare navi romane perfezionando armi da getto in grado di lanciare sostanze incendiarie, si è sostenuto che alla base della leggenda vi sia un'errata traduzione di una voce greca, che si sarebbe riferita a "sostanze incendiarie" e sarebbe stata interpretata erroneamente come "specchi ustori".
L'esistenza, tuttavia, di antichi trattati sugli specchi ustori e le testimonianze riportate sopra su Dositeo e Archimede suggeriscono la possibilità che la leggenda sia nata sovrapponendo il ricordo delle navi romane incendiate alla reale progettazione di specchi ustori destinati ad usi più pacifici.
Negli anni novanta del XX secolo è stato compiuto un esperimento per valutare la sua effettiva capacità, dirigendo verso una replica di una nave romana (con gli stessi materiali che venivano usati all'epoca) 24 pannelli metallici lucidati in materiale simile a quelli utilizzati dai siracusani come scudi. Dopo pochi secondi il legno cominciò ad emettere fumo, per poi bruciare.
In copertina: Specchi ustori di Giulio Parigi del 1600 presso lo stanzino delle matematiche, Galleria degli Uffizi a Firenze
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