Christophe Papillon, a 51 anni 3.000 miglia a remi sull'Atlantico. Lo abbiamo intervistato
Di Berta Corvi e Vittorio Pedrotti

Di Berta Corvi e Vittorio Pedrotti
Il 9 dicembre 2018 a El Hierro (Isole Canarie) inizia l'avventura per Christophe Papillon, francese originario di Tolosa. Gli è bastata una scommessa per decidere di percorrere, a bordo della sua barca lunga 8 metri, 3.000 miglia nautiche remando ad una media di 10/12 ore al giorno per raggiungere, domenica 10 febbraio 2019 alle ore 17, la Baia di Robert in Martinica.
Con tutta la sua energia e in soli 64 giorni, l'ex paracadutista di cinquanta anni ha conquistato da solo l’Atlantico. Ognuno dei suoi colpi di remo, più di un milione, gli hanno permesso di incassare una notevole somma su Internet a favore delle vedove e degli orfani dei soldati uccisi in guerra. "Mi impegno a destinare alle associazioni di ex combattenti il denaro versato dai miei sponsor per aiutare gli orfani e le famiglie dei soldati morti per la Francia", ha ribadito Christophe Papillon.
I contributi del principe Alberto di Monaco, dell'ex capitano della squadra francese di rugby, del Generale Collet comandante l’11° Brigata Paracadutisti, della navigatrice Peggy Bouchet e del navigatore Gérard d'Aboville hanno permesso a Christophe Papillon di vincere questa insolita sfida e di raccogliere 71.000 euro che saranno donati a queste famiglie.
Christophe Papillon è convinto che tutto accada più nella testa che nelle braccia. Gli ultimi giorni sono stati i più difficili. Pur avendo patito fortemente l'isolamento e la stanchezza ha potuto raggiungere il suo obiettivo grazie ad un lavoro mentale.
Il tempo durante la traversata non è stato mite per il navigatore solitario che ha dovuto dimostrare tutta la sua determinazione. Una traversata dell'Atlantico a remi è più di una tredicesima fatica di Ercole, ma “Un viaggio in solitaria", afferma il "lupo di mare" - è possibile solo grazie ad un'avventura collettiva che ti aiuta a superare te stesso".
Malgrado abbia perso 15 chili, ma con una carnagione abbronzata ed uno splendido aspetto, sta già pensando ad un’altra traversata e ad una nuova prodezza, questa volta sulla banchisa: "Sto valutando di intraprendere una nuova sfida, sarà molto probabilmente in un ambiente bianco, una traversata dell'Artico, il raggiungimento del Polo Nord a piedi, qualcosa in questo spirito”.
Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo:
Christophe parlaci di Te
C.P. Ho 52 anni. Sono stato un soldato per 21 anni. Ho avuto la fortuna di fare molti viaggi e di scoprire il mondo in tutte le sue sfaccettature. Ho due figli e anche dei nipoti.
Hai detto di aver viaggiato molto. Erano viaggi sull'acqua o sulla terra ferma?
C.P. Ho viaggiato in diverse maniere. Ho esplorato 90 paesi facendo trekking e escursioni. Navigo da dieci anni.
Hai sempre avuto la passione per il mare?
C.P. Ho sempre vissuto vicino all'acqua. Mio padre era un istruttore subacqueo. Ho iniziato a fare immersioni molto giovane, a 4 anni.
Raccontaci della traversata dell'Oceano Atlantico
C.P. Attraversando l'Atlantico a colpi di remo, sono riuscito a percorrere 3.000 miglia senza sosta o assistenza, collegando le Isole Canarie alla Martinica. Questo viaggio è sempre stato animato da una sola motivazione. Volevo associare a questa avventura i miei compagni e i fratelli militari scomparsi mentre erano in servizio e, attraverso di loro, tutti i soldati morti per la Francia così da onorare la loro memoria.
Ciò che mi ha spinto è stato il rapporto esistente con la mia carriera militare. Dovevo aiutare i bambini, fare qualcosa per loro, raccogliere fondi. Per me, ci sono due tipi di avventura: l'Atlantico, tutto ciò che attiene alla conquista del mare e l’Artico o l’Antartico, un viaggio che vorrei intraprendere nel 2020.
Quindi inizialmente, mi sono informato. Ho visto che c'erano molte gare in corso, ma non ero interessato. Volevo assolutamente fare una traversata, però da solo, senza alcuna assistenza.
Quindi hai deciso di partire da solo?
C.P. Sì, ho deciso di navigare da solo. Per limitare le spese, sono partito dalle Isole Canarie dato che si trovano in Europa. Ho evitato le spese doganali e, avendo una famiglia in Martinica, ho deciso di unire le Canarie alla Martinica.
Quanto è durata la traversata?
C.P. L'ho fatto in 64 giorni. Mentre mi stavo preparando per la partenza avevo programmato di farlo in minimo 70 e massimo 90 giorni.
Quanto tempo è stato necessario per la preparazione?
C.P. È durata un anno e mezzo, ma la maggior parte del tempo è servito per rimettere la barca a nuovo. Lo scafo era già stato utilizzato per quattro traversate: da Jean François Tardiveau nel 2006, da Bertrand De Gauiller Des Bordes nel 2009, da Christophe Dupuy nel 2012, da Catherine Barroy nel 2014 e io sono stato il quinto ad usufruirne. La barca era abbastanza danneggiata. Doveva essere rifatta completamente. Per un anno e mezzo ho provato a sistemarla. Ci è voluto molto tempo. Parallelamente, ho cercato di trovare fondi e sponsor per poter vivere l'avventura.
Hai avuto momenti difficili durante il viaggio?
C.P. Due volte mi sono arreso a causa delle correnti e dei venti. Quando il GPS nautico segnala che si sta andando alla deriva, ci si perde d’animo. Bisogna quindi cercare nel profondo di sé stessi.
Ci sono stati dei momenti di difficoltà, ma di panico no. Questa esperienza mi ha insegnato a gestire la paura. È controproducente farsi prendere dal panico quando c'è un momento critico. Col senno di poi ho capito che c'è stata una fase pericolosa. Dovevo analizzarla nel modo più sereno possibile. Per esempio, un giorno stavo remando. C'erano onde di 2,5 metri sul lato. Non mi ero attaccato perché mi ero imposto un limite di 3 metri per fissarmi alla barca. L’imbragatura mi bruciava un po' la pelle. Ad un certo punto ho deciso di entrare nella cabina e di legare i remi per non perderli. Ero girato di tre quarti, non ho visto un'onda arrivare. Era più alta delle altre. Mi ha colpito alla schiena e quasi buttato fuori bordo. Sono stato fortunato perché ho potuto afferrarmi alle sporgenze sulle quali stavo aggiustando il remo e evitare la caduta.
Sei mai caduto in acqua?
C.P. No, non mi è mai successo. Invece ho spesso fatto il bagno. Avevo una corda della lunghezza di trenta metri circa. Nel caso fossi caduto in acqua, avrei potuto recuperare la corda.
Ho comunque cercato di essere prudente, di stare attento quando facevo qualcosa di insolito. Ad esempio, quando pulivo i pannelli fotovoltaici nella parte anteriore o quando raschiavo il fondo della barca. In questi casi mi fissavo alla barca e programmavo mentalmente l'azione.
Hai vissuto momenti di solitudine?
C.P. Ho imparato a definire questi momenti con un'altra parola. In questo caso si trattava di isolamento. La solitudine è quando apriamo le nostre finestre, andiamo al supermercato, vediamo gente, ma nonostante tutto ci sentiamo soli. Mentre l'isolamento è quando vuoi vedere qualcuno e non c’è nessuno. Non ho mai avuto dubbi sull’obiettivo da raggiungere dal momento che volevo difendere una causa per i bambini, aiutare le vedove e gli orfani dei nostri compagni caduti per la Francia e rendere loro omaggio. Ecco cosa mi ha animato e mi ha fatto andare avanti. Sapevo che c’era gente disposta a sostenere questa causa. Questo pensiero mi ha aiutato nei momenti più difficili e mi ha permesso di essere più forte. Rispetto ad uno sportivo che gareggia per sé stesso, io stavo combattendo per altre persone. Non potevo immaginare di tornare indietro e dire ai bambini: “Non ci sono riuscito perché ho abbandonato”. Sarebbe stato inaccettabile per me.
Come Ti sei nutrito?
C.P. Se la traversata non è stata facile, né mentalmente né fisicamente, devo ammettere che i miei sforzi sono stati ripagati. Ho fatto la scelta di essere da solo per minimizzare i costi e per potere rimborsare gran parte del denaro raccolto. Considerate le mie motivazioni, avevo chiesto all’esercito di darmi delle razioni militari. Non volevo gravare molto.
Quale è stato il Tuo incontro più bello?
C.P. Il cinquantesimo giorno ho incrociato una nave mercantile che batteva bandiera di Panama. È stata una grande sorpresa vederla avvicinarsi. Il capitano del cargo era danese. Mi hanno fatto una foto e dato un piatto caldo e del cioccolato. Non dimenticherò questo gesto. Erano 50 giorni che non vedevo gente. È stato davvero bello.
Poi ho potuto ammirare delle balene e dei delfini che mi hanno accompagnato per un po’. Felicità allo stato puro!
Cosa hai provato la sera prima di partire?
C.P. Molta pressione nel senso che non vedevo l'ora di andarmene. Invece nel momento in cui ho lasciato l'ormeggio che mi legava alla barca ho provato un senso di solitudine. Ma ripetevo: "Devo andare, devo farcela".
Sei così coraggioso anche nella vita di tutti i giorni?
C.P. La nozione di coraggio è relativa. La carriera militare mi ha aiutato molto. Facevo parte delle forze speciali. Sono venuto in Italia per prendere un brevetto di paracadutista vicino a Pisa.
Rifaresti in viaggio così impegnativo?
C.P In questo momento sto presentando un cortometraggio per i bambini delle scuole in Francia. L’ho realizzato per dimostrare loro che tutti possono essere un supporto per gli altri. Il messaggio che voglio trasmettere è che chiunque può compiere buone azioni ed essere solidale. Bisogna trovare una buona causa da difendere.
Merci Cristophe et bon vent
Berta Corvi e Vittorio Pedrotti
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