Al di là delle colonne d’Ercole
di Fabrizio Fattori
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di Fabrizio Fattori
Malgrado fosse stato considerato a lungo il limite invalicabile di quanto conosciuto dagli antichi, fonti storiche confermano che, sulla spinta di intrepidi navigatori sempre orientati a lucrosi commerci, questo veniva sistematicamente violato.
Risalire le coste della penisola Iberica alla ricerca di stagno o della preziosa ambra, o verso le coste africane meridionali alla ricerca di oro e altre merci esotiche, furono attività accertate da fonti storiche ed archeologiche.
Tali attività pongono, ancora oggi, l’interrogativo se gli intraprendenti navigatori dell’antichità classica si fossero mai spinti, intenzionalmente o casualmente, oltre la navigazione costiera e si fossero inoltrati nel profondo Atlantico financo alle coste americane migliaia di anni prima di Colombo. Falsi documenti o ritrovamenti di monete greche e romane recuperate sul territorio americano, hanno, ad attente indagini, dimostrato la loro innattendibilità avallando, per tanto, Colombo come lo scopritore ufficiale del continente americano pur riconoscendo certa la presenza vichinga sulle coste di Terranova intorno all’anno mille.
Alcune narrazioni tratte da un testo pseudoaristotelico del III° secolo a.C. da per certo che alcuni navigatori fenici raggiunsero, dopo alcuni giorni di navigazione, un tratto di oceano fortemente caratterizzato dalla presenza di ammassi di alghe e altro materiale vegetale, dove trovavano ricca pastura tonni di enorme dimensione, definiti successivamente “porci di mare”, che pescati e conservati sotto sale, rientravano a Cartagine per un abituale commercio. Tale descrizione rimanda al mar dei sargassi, così come descritto dal diario di bordo di Colombo circa duemila anni dopo.
Precedentemente Festo Avieno, scrittore latino del IV° secolo d.C., nella sua opera “Ora maritima” narra del cartaginese Imilcone (V° secolo a.C.), che descrisse una massa oceanica paludosa ed innavigabile assimilabile al mar dei Sargassi... E se questo pare plausibile perché non ipotizzare una navigazione ulteriore in prossimità delle terre caraibiche? Fonti antiche danno spazio a questa ipotesi. Stazio Seboso (I° secolo a.C.) narra che dalle isole Gorgadi (di capo Verde) con una navigazione di circa quaranta giorni era possibile arrivare alle isole Esperidi.
Pausania (170 d.C.) citando Eufemo di Caria (II° secolo d.C.), certifica la presenza di isole atlantiche, chiamate Satiridi, meta di marinai romani e greci. Ma dove localizzare queste isole. Incrociando gli scarsi ed inattendibili resoconti storici pervenuti direttamente od indirettamente con le ipotesi più realistiche appare plausibile identificare le isole Esperidi e/o Satiridi con le isole delle odierne Antille o delle Bahamas.
Queste ipotesi di contatto tra il mondo classico e le terre oltre oceano appaiono verosimilmente confermate da reperti archeologici riscontrati in Europa: un mosaico romano riporta, tra vari frutti mediterranei, un ananas, frutto presente anche in un mosaico pompeiano e nelle mani di una stauetta di fanciullo conservata in Svizzera. E’ certo comunque che questi contatti siano stati sporadici e totalmente casuali e comunque limitati alle arretrate propagini insulari del continente americano, al punto che malgrado l’animo commerciale degli antichi non vennero stabilite relazioni economiche con le popolazioni locali.
Fabrizio Fattori
In copertina Foto di Vlad Man da Pixabay
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