Il Leviatano
di Fabrizio Fattori

di Fabrizio Fattori
Il mare ha prodotto, da sempre, nell’animo umano sentimenti contrastanti dove il terrore dell’abisso si accompagna ancora oggi a fortissime e non sempre inconsce emozioni.
E’ ormai accertato che la vita proviene dal mare, il legame con il quale consente il permanere di ancestrali timori, fortemente caratterizzati dalla paura dell’incognito, impersonificata da mostri di ogni tipo.
Nell' “Enuma Elis”, poema babilonese del XVIII secolo a.c. che raccoglie per altro tradizioni sumere precedenti, si narra che Tiamat, personificazione delle acque, si avvale di orribili mostri marini nella sua battaglia contro altre divinità. Anche fonti egizie ( Il papiro di Leningrado XV sec. a.c.) ne parlano.
Si afferma, così, nei secoli l’idea di mostri legati alle acque simboli del caos originario, che nella tradizione ebraica si concretizzeranno nella figura del Leviathan, come dimostrano le ripetute citazione nella Bibbia.
Distruzione del Leviatano, incisione del 1865 di Gustave Doré
Il termine Leviatan rimanda alla radice cananea “lvt” che sta per “attorcigliarsi”, così come il termine greco “drakon” che indica il serpente. Si configura così l’aspetto di un mostro marino in forma di serpente, dalla enorme forza e dalla inesauribile resistenza. Si susseguono nel tempo gli avvistamenti di una grande creatura marina di questo tipo presente nelle acque di tutti i continenti. Aristotele (IV sec. A.c.), Claudio Eliano ( II sec, d.c.) e Olaus Magnus (XVI sec, d.c.), vescovo scandinavo, descrivono, più o meno precisamente serpenti marini capaci di assalire navigli e divorare uomini.
Alla fine dell’ottocento lo zoologo olandese Anton Oudemans raccolse tutte le testimonianze conosciute sull’argomento, attribuendo a molte di esse una buona attendibilità, che gli consentì di tratteggiarne una fisionomia definitiva: Lunghezza complessiva circa venti metri; testa piccola, simile ad un cane od una otaria, di lunghezza di circa quattro metri compreso il collo; bocca larga ricca di denti, con sensibili vibrisse sul labbro superiore; occhi grandi, lucenti e neri; narici all’apice del muso attraverso le quali avviene il respiro anche in semi immersione, producendo getti di vapore acqueo; corpo largo e possente; ventre piatto con due zampe anteriori strutturate come pinne; coda di circa 10 metri terminante a punta; pelle coriacea di colore bruno con piccole macchie gialle, più chiara sul ventre, coperta di peli che diventano vera e propria criniera in prossimità del collo e del dorso; andatura ondulante verticalmente, che lo distingue da altri serpenti marini, propulsione derivante dalla flessuosità del corpo, con pinne usate nelle andature più lente; comportamento timido e non aggressivo, habitat pelagico.
Che conclusioni trarre dunque? Probabilmente avvistamenti di grandi cefalopodi abissali della famiglia degli Architeutidi, capaci di raggiungere lunghezze di oltre 20 metri, o il Regaleco pesce della famiglia dei Lampridiformi di certa conformazione serpentiforme, in qualche modo si adattano alle descrizioni più fantasiose, riuscendo ad appagare il lato razionale della vicenda. Rimane inalterato il mistero di cui inevitabilmente il genere umano dimostra di aver bisogno e che ancora alimenta, al di la di ogni razionalità, con fantasie dell’orrido generando presenze antidiluviane, supportate anche da prove parascientifiche, figure di sirenidi semi umane, otarie dal collo lungo, al quale il mare fa da perfetto palcoscenico.
Fabrizio Fattori
Foto di copertina da https://ladimoradelmistero.altervista.org
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