America's Cup. Thomas Lipton, il più grande e instancabile perdente
di Mario Scialoja
di Mario Scialoja
Shamrock III, di nuovo progettato da Fife, ha un’ottima velocità. Ma il consorzio americano, capitanato da personaggi del calbro di Cornelius Vanderbilt e William Rockefeller, ha fatto costruire Reliance, una delle più belle barche di tutti i tempi, con i suoi 43 metri è una delle più lunghe di tutta la storia della Coppa e, naturalmente, disegnata da Herreshoff, che vince alla grande.
Questa volta con grande dolore di Sir Tea: “Credevo di farcela”, dichiara amareggiato Lipton in un’affollata conferenza stampa, “è stata la peggiore delusione della mia vita, ho impegnato tutte le mie forze in questa sfida”.
Shamrock IV prima della partenza
E si capisce che Sir Thomas è sincero. Ormai la Coppa gli è entrata nel sangue e comincia ad essere per lui più importante dei suoi commerci.
Anche perché, poco dopo la morte del suo grande amico re Edoardo, nel 1910, alcuni scandali investono la società Lipton (tangenti per ottenere forniture alle forze armate) che amareggiano molto il tycoon del tè.
Venne la guerra e le regate furono interrotte. Lipton mise il suo Erin a disposizione della Royal Navy e il grande yacht fu affondato mentre svolgeva opera di pattugliamento. Un altro dolore per il suo generoso proprietario.
A guerra finita, il nostro si ritrovò ancora assai ricco, ma sempre più solo e isolato in una società che andava cambiando rapidamente. Gli rimaneva l’America’s Cup. Alla quale tornò nel 1920 col suo quarto Shamrock, disegnato dall’astro nascente Charles Nicholson.
Barca dalle linee assai innovative, giudicata da molti brutta (”un incrocio tra una tartaruga e una torpediniera”), ma che portò per la prima volta Sir Thomas vicino all’agognatissima vittoria. Nelle prime due regate lo Shamrock di Nichoson arrivò davanti all’assai più tradizionale defender Resolute. L’ormai anziano droghiere dichiarò allora alla stampa: ”non sono mai stato così felice”.
Shamrock IV
Purtroppo per lui, le successive tre regate vennero vinte dal defender americano. Grazie a molta fortuna e, soprattutto grazie al fatto, dal sapore di beffa poco pulita, che in un giorno di vento forte (condizione in cui Shamrock IV dava notoriamente il meglio di se) la quinta regata, quando si era sul due pari, venne annullata dalla giuria. Decisione che venne criticata da più parti, anche tra gli americani.
La regata si svolse poi in una giornata di brezza leggera, condizione che favoriva Resolute, che infatti andò a vincere facilmente. Sir Thomas, con una buona dose di ragione, gridò all’imbroglio. Ma non potè che ingoiare il rospo. E si depresse.
Tanto più che negli anni successivi la società Lipton cominciò a perdere colpi. Molti dettero la colpa al patron ultrasettantenne. Che, nel 1927, vendette il suo pacchetto azionario e si ritirò dagli affari. Ma non dalla Coppa. Che era diventata la sua vera ragione di vita.
La sua quita sfida, nel 1930, coincise con l’arrivo dei primi J Class, barche di formula più moderna, lunghe circa 37 metri. Shamrock V, ancora disegnato da Nicholson, era costruito con ossatura in acciaio e fasciame in mogano. Belo, veloce, ma troppo pesante.
Il defender Reliance
New York, l’ottantenne Lipton venne accolto con l’entusiasmo di sempre. Ed era ciò che lui cercava e che lo scaldava.
In mare, però, l’ultimo degli Shamrock venne surclassato dal rivoluzionario Enterprise, progettato dal grande innovatore Starling Burgess con tecniche e materiali presi dall’aeronautica. Quando capì che non c’era niente da fare, Lipton radunò i giornalisti, ma, commosso e stravolto, non riuscì che a dire con voce strozzata: “Non riesco a vincere…Non ci riesco.” Ci fu un’ovazione.
Poco dopo, a un Sir Tea affranto e omai debole gli americani offrirono, nel corso di una grandiosa cerimonia, una preziosa coppa di consolazione in oro, fatta da Tiffany. Ma non era la Coppa America.
Il vecchio sfidante ringraziò, piangendo. E mormorò tre volte:“Ci proverò ancora”.Ma quasi tutti capirono che non l’avrebbero rivisto.
Prepartenza tra Resoluteb (a destra ) e Shamrock IV
Tornato in Inghilterra, venne ammesso nel Royal Yacht Squadron, l’esclusivissimo yacht club che lo aveva respinto tanti anni prima. Fu, forse, un’ultima piccola soddisfazione. Quella grande, sapeva ormai che non l’avrebbe mai avuta.
All’inzio di ottobre 1931, morì per un collasso improvviso.
Sulla coppa d’oro, che non era la Coppa America, i suoi eterni avversari americani avevano fatto incidere: “Al grande sfidante, che fu il più allegro e instancabile incassatore”.
Articolo tratto da scialoja.blogautore.espresso.repubblica.it
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