Naxos. D'oro e di(vino)
di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
Vengo accusata, sempre più spesso e da più persone, di amare troppo la Grecia, di averne una visione idilliaca, poco oggettiva e esageratamente faziosa. Di vedere solo il bello senza accorgermi del brutto. Di trasferire, attraverso questo blog, un'immagine romanzata e incantata di questo mare e di questa gente. Vero, o almeno probabile.
Devo ancora capire come mai, nell'era moderna, tutto ciò sia considerato peccato e come il famoso bicchiere mezzo pieno abbia assunto una connotazione sinistra lasciando il podio al - per me, insopportabile - bicchiere mezzo vuoto. È l'era in cui il pessimismo è segno di intelligenza, l'ottimismo di esagerata ingenuità. La critica è osannata, la soddisfazione condannata; l'infelicità sublimata, la contentezza disprezzata.
Al lavoro alla chiesa di Stavros Karamotis
La crisi economica e il degrado politico e civile della società sono usati come avallo per un atteggiamento che definirei autolesionista. Io preferisco pensarla (solo su questo) alla maniera di George Bernanos: l'ottimista è un imbecille felice, il pessimista un imbecille infelice. Ma soprattutto alla mia: è molto meglio amare il luogo in cui sei e le persone che incontri che detestarli.
Detto questo, però, oggi sono felice di rendere un piccolo omaggio ai miei detrattori.
Naxos non mi ha entusiasmato. Intendiamoci, è una bellissima isola piena di significato storico e mitologico, ricca di sabbia abbondante del colore dell'oro, così rara nelle isole greche.
Terra fertile e produttiva, costellata di vigne e oliveti. Popolo di agricoltori più che di pescatori, cosa che penso derivi dalla forma ovaloide di quest'isola, priva di golfi profondi e ripari sicuri. E' un'isola montuosa con la vetta più alta che si chiama Monte di Zeus, il primo tra gli dei. E Naxos, la più grande delle Cicladi. Eppure c'è qualcosa in lei che mi tiene distante.
A cominciare dal "Marina", una definizione altisonante per un porto che non ha nulla di meglio dei porti demaniali. L'ormeggiatore, unico addetto di questo cosiddetto marina, ti accoglie al molo con sufficienza. L'atteggiamento, notato con noi e successivamente in maniera ancora più grave nei confronti di altri, è ben oltre i limiti dell'indifferenza.
La Chora di Naxos
Ti fa gettare l'ancora per sicurezza anche se ci sono i corpi morti. Fin qui potrebbe aver ragione, i corpi morti sono corti e per un 45 piedi sono al minimo. Oggi non getterei l'àncora ma allora era meglio fidarsi di quest'uomo. Lui è al telefono, l'altra mano in tasca. Lui è perennemente al telefono, per due giorni non l'ho mai visto senza il telefono all'orecchio, sembra radiocomandato, è un'unica interminabile telefonata mai interrotta.
Prende la cima di ormeggio con una mano sola, ci mette decisamente troppo tempo per passarla nella bitta e ridarti il capo, incurante del vento a 30 nodi che ci impiega molto meno di lui a traversarti.
La spiaggia dei surfisti Lagoona beach.
A noi va bene, altri che arrivano dopo di noi, con vento più forte e esperienza minore, si ritrovano a rifare l'ormeggio 3 volte con il serio rischio di far danni alla barca. Lui è imperturbabile, gli lega la cima alla bitta ma non tenta di aiutarli a serrarla. Con la sola mano destra, ovviamente, la sinistra è impegnata col telefono. Meno male che non fuma, altrimenti sarebbe stato peggio. Al terzo tentativo di manovra, mentre l'equipaggio è in preda al panico, comunica loro che non può passare la giornata ad assisterli. Assisterli, strano modo di definire la sua specifica attività.
Sul parabrezza della sua auto, qualcuno ha scritto con il dito "Nikos, the best Harbour Master in the world". Deve essere stato quello all'altro capo del filo. O un diportista con buon senso dell'umorismo.
Ci fermiamo un paio di giorni a Naxos, visto che fuori il Meltemi ha improvvisato uno show di fine estate. Prendiamo una macchina e giriamo alla ricerca di inquadrature (Giovanni) e di qualcosa da amare (io).
L'immagine cartolina di Naxos è proprio lì a Hora, su una collinetta a due passi dal porto. È Portara, l'immenso portale (e tutto ciò che rimane) del tempio di Apollo. Doveva essere un grande Tempio e un'opera importante ma qualcosa successe, perché non venne mai terminato e nel corso degli anni la maggior parte dei blocchi di marmo furono rimossi e utilizzati per la costruzione del Kastro veneziano del 13° secolo che oggi è il cuore della città.
L'effetto scenografico è grandioso: questo grande portale alto sul mare che si staglia contro il cielo azzurro. Quando arrivi in barca, lo vedi da lontano.
Portara in notturna
Al tramonto, come a Capo Sounion, una fila di turisti sale al tempio a immortalare questo spettacolo di storia che incontra la natura e che, grazie a questo, non è mai uguale a se stesso. Ed è di per sé opera d'arte quella fila di omini di tutte le nazionalità, tutti armati di macchina fotografica - oggi immagine sublimata nel paradossale dall'iPad - tutti nella stessa posizione che converge in un unico punto: l'angolo di ripresa migliore.
E il tramonto, vanesio, non delude mai.
Il Kouros di Apollonas
Il Kouros di Apollonas, detto anche Colosso di Dioniso, è una statua di 10 metri d'altezza costruita direttamente nella roccia. E lì lasciata, incompiuta, per gli errori occorsi durante la lavorazione. E' sdraiata sulla schiena, appena accennata. Non si tratta, come di consueto per i kouroi, di un giovine ma di un uomo anziano con barba.
Per questo motivo fu ricondotto a Dioniso, dio del vino e dell'estasi. Location, posizione e illuminazione naturale, in effetti, penalizzano decisamente il reperto.
Costa occidentale di Naxos
Dopo di noi, arriva una famiglia di turisti del Nord Italia, forse veneti (lo so, lo so….. ma non è colpa mia se sono sempre del nord….). Il padre guarda e dice "Tutta questa camminata per vedere praticamente nulla, lo poteva fare Marcolino col Das quella cosa lì" e poi "Be' due foto facciamole, almeno possiamo dire che ci siamo stati".
Fa riflettere questa affermazione. Mi chiedo se sia dovuta al fatto che debbano dimostrare a qualcuno (un finanziatore dei loro viaggi, un assicuratore, un commissario di polizia o che so) di essere stati in quel luogo oppure se il tipo faccia riferimento alla scarsa memoria familiare che cancella tutto ciò che non è rigorosamente documentato. Bel problema, comunque. Il Kouros mi diventa immediatamente più simpatico.
Il mare ad Apollonas
Ma mi piace decisamente di più il piccolo paesino di Apollonas affacciato sulla costa nord di un giorno di mare arrabbiato. Una fila di case, due taverne e due caffè. E un'ottima torta all'arancia. Il mare in burrasca è bellissimo, visto da terra. E quando sai che la tua barca è ben ormeggiata al sicuro.
C'è qualcosa di sadico in noi che viviamo sul mare. L'apoteosi del mare in burrasca visto da terra è osservare una barca attraversarlo. E' una perversa emozione fatta di curiosità, partecipazione, sofferenza e goduria che ci si vergogna quasi a confessare. Ma sappiamo che invade ciascuno di noi alla stessa maniera. Purtroppo non c'è una barca sul mare. Purtroppo e per fortuna.
Alla taverna di Yannis a Halki
Il giro di Naxos prosegue con la visita ad Halki, un antico villaggio al centro dell'isola. Descritta dalla guida come un'esperienza imperdibile, la trovo invece abbastanza perdibile. Ma forse sono io, semplicemente con Naxos non è scattata quella scintilla che nasce sempre. Magari è solidarietà nei confronti di Arianna, donna d'amore, intelligenza e coraggio che tutto sacrificò per il vile Teseo e fu poi da lui qui piantata in asso (in Nasso, appunto).
Halki è piacevole, comunque. Ma nulla di più. Pranziamo molto bene nella bella piazzetta centrale alla taverna di Yannis, sotto gli alberi che fanno ombra. Ricorda da lontano una delle piazzette di Folegandros ma l'atmosfera è meno vera, meno speciale.
La Panagìa Drosiani, vicino Moni
Ultima tappa, sulla via del ritorno, la Panagìa Drosiani una delle chiese più antiche e più importanti di tutta la Grecia. A vederla, non si direbbe. Insomma, troppi superlativi a Naxos, sarà che a me piacciono i diminutivi, sarà sempre che nel meno c'è il più ma Naxos non mi entra nel cuore.
Il giorno dopo, mentre aspetto al bar che la bakery sforni il pane fresco, fantastico sul proseguimento della rotta. Non mi succede mai: gli ultimi momenti prima di lasciare un'isola sono dedicati a lei e a quella piccola lancinante fitta che sento nel lasciarli, stavolta invece guardo avanti. Iraklia, Ios, Sikinos, Folégandros, Milos. Tutte isole già viste, tutta una strada di certezze da andare a ritrovare.
Ma torno in barca e Naxos mi fa l'ultimo dispetto.
Giovanni sentenzia "Si cambia rotta. Abbiamo bisogno di Manolis…."Abbiamo-bisogno-di-Manolis: 4 parole che seminano il terrore in me e Paquita…..
Di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
Tratto dal blog di Francesca Carignani P'aca' y P'alla'
Francesca è autrice del libro: ROTTA VERSO L'EGEO Edizioni Il Frangente
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