Dopo la seguitissima lettura dell’intervista dedicata alla formazione nautica e ai sinistri marittimi, fatta a due mani dal nostro Perito Navale Daniele Motta e dal Prof. Antonio Caputo, dedichiamo ai nostri lettori una nuova disamina, questa volta dedicata alla navigazione, alla pianificazione della rotta e ai sistemi di navigazione elettronica.
DM - Professore, questa volta abbiamo deciso di parlare di un argomento (e di una disciplina) che vanta anni di storia e di progresso. Secondo lei a fronte di secoli di sviluppo ed utilizzo, quanto vale e come valuta, professionalmente e culturalmente, il bagaglio esperienziale attualmente utilizzato dai naviganti in questa disciplina?
AC – Non solo secoli di sviluppo ed utilizzo, sarebbe riduttivo pensarlo visto che la navigazione, la sua storia, coincide con quella dell’essere umano.
Oggi, è opinione comune che l’uomo del passato era molto ma molto arretrato rispetto al livello di conoscenze e di competenze attuali ma non è affatto vero.
Faccio un esempio, risalente al secondo millennio a.C. Nell’età media dell’età del bronzo, si sviluppò, nelle isole eolie la cultura del Milazzese. Gli scavi archeologici hanno evidenziato rapporti commerciali con le isole del mare Egeo che, anche se non ci sono le prove, avvenivano certamente via mare. Navigazione non facile, indubbiamente, i cui principali pericoli risiedevano nel passaggio dello stretto di Messina, con forti correnti di marea, che sono cicliche, e alla presenza nelle acque greche del Meltemi, un vento stagionale che può generare delle burrasche.
Non è detto che il navigatore dell’età del bronzo, una volta compreso che tali pericoli di carattere ambientale, potevano determinare il fallimento della navigazione da intraprendere, grazie all’osservazione dei fenomeni, riuscì a capire quando poter iniziare un viaggio che gli consentisse di ridurre gli effetti devastanti provocati da venti e correnti. Probabilmente è uno dei primi esempi di una pianificazione della traversata.
Altro esempio. Rimaniamo a cavallo fra l’Italia e la Grecia ed ecco che dai fondali marini di un’isola greca, l’attuale isola di Gerigotto, in un relitto di una nave romana viene rinvenuta la cosiddetta macchina di Antikytera, risalente al I-II secolo a.C. Il meccanismo, che ha del fantastico, dal punto di vista scientifico e della tecnica impiegata per realizzarlo, era un calcolatore costruito con delle semplici ruote ad ingranaggi le cui dimensioni sono state ricavate grazie all’osservazione dei corpi celesti visibili. La macchina consentiva di determinare dei dati astronomici, quelli che oggi possiamo leggere solo nelle Effemeridi Nautiche - Nautical Almanac, effemeridi calcolate, oramai, solo per mezzo del computer. Gli studi sul meccanismo, iniziati subito dopo il ritrovamento, avvenuto nel 1900, continuano ancora. Incerto è l’impiego di un tale meccanismo a bordo di una nave. Era impiegato allo stesso modo di quanto facciamo noi oggi con le Effemeridi Nautiche? vale a dire determiniamo il punto nave astronomico, non credo, oppure il meccanismo serviva come ausilio alla determinazione della latitudine, con un altro punto interrogativo, all’orientamento, accurato si, ma solo per stabilire la direzione della prora di quella nave romana? ma poteva essere un “gioiello” della scienza di allora portato a Roma per renderla ancora più Caput Mundi. Sono solo delle supposizioni. Di certo c’è che l’uomo di allora, grazie alla semplice osservazione dei corpi celesti, e questo già è affascinante, è stato in grado di riprodurre, con dei semplici ingranaggi, il complesso moto dei corpi celesti osservato.
La storia della navigazione ha molti punti di contatto con lo studio dell’astronomia, della trigonometria e della matematica senza dimenticare ciò che avvenne durante il periodo delle grandi scoperte geografiche e il seguente periodo del controllo dei mari di quelle terre per assicurarsene lo sfruttamento commerciale.
Da oltre duemila-tremila anni, senza ombra di dubbio, assistiamo, come consegenza degli interessi primari dettati dal commercio e dal potere marittimo, alla continua evoluzione delle scienze della navigazione senza tralasciare l’evoluzione continua che c’è stata nel campo delle costruzioni navali.
Quegli uomini, in tutti questi millenni, erano dotati di conoscenze, di competenze che l’uomo comune non aveva. Le conoscenze di Cristoforo Colombo non erano paragonabili a quelle dei membri dei suoi equipaggi come, poco più di tre secoli dopo, le competenze del Comandante William Bligh, anche lui ottimo navigatore e cartografo, non erano paragonabili alle competenze dei membri dell’equipaggio del Bounty. Le conoscenze della navigazione, nel passato, sono sempre state dominio di pochi, erano dovute alla tradizione orale e alle poche le scuole dove poterle imparare. Oggi, basta iscriversi al Nautico per fare in modo che le stesse conoscenze, celate gelosamente per secoli, diventino patrimonio comune di molti.
Nell’era dei satelliti tutti, mi riferisco, soprattutto, ai diportisti, tutti ci sentiamo dei “navigatori”: è corretto? È sufficiente avere quella preziosa scatoletta che riceve ed elabora i segnali radio dei satelliti per poter affermare che “so navigare”? no di certo.
Certamente, nel bene o nel male, il GPS ha favorito l’espansione nella nautica da diporto e di altri settori dei trasporti ed ha offerto servizi una volta inimmaginabili come è avvenuto al trasporto su gomma.
Sino agli anni ’70, le imbarcazioni da diporto avevano in dotazione una bussola magnetica, compensata? non sempre, ed un log. Lo stesso dicasi per tutti gli yachts da regata con qualche radiogoniometro come eccezione. Le grandi regate oceaniche, come la prima regata intorno al mondo, la Whitbread Round the World Race, del 1973, vedevano la partecipazione, molto spesso, di navigators professionisti ovvero provenienti dalle marine militari o mercantili. Non a caso, il Corsaro II, un bellissimo yawl, della Marina Militare impiegato come nave scuola e sul quale ho avuto l’onore di veleggiare durante il periodo trascorso in Accademia, vinse diverse regate oceaniche proprio perché aveva un comandante ed un equipaggio di veri professionisti.
Il sestante, in quegli anni, era considerato ancora il “segno del comando”. Le navi mercantili avevano a bordo solo sestante e radar, il radiogoniometro era obbligatorio averlo ma veniva usato solo in casi eccezionali. Quelle navi se ne andavano “tranquillamente” in giro per tutto il globo. Quando si doveva osservare la meridiana si assisteva ad una vera cerimonia a cui partecipavano tutti, dal Comandante all’ultimo Allievo e tutti con i loro sestanti personali in mano.
Tornando agli yachts, chi lo sapeva impiegare per determinare la sua posizione in mare non è detto che vinceva ma certamente giungeva al traguardo.
Una regata oceanica come la Whitbread citata ha bisogno di conoscenze che riguardano soprattutto la climatologia e la meteorologia oltre che di conoscenze e competenze di navigazione: i Roaring Forties non hanno mai reso la navigazione facile a nessuno: la pianificazione della navigazione è fondamentale.
Oggi, grazie allo sviluppo tecnologico, riceviamo di tutto tramite i satelliti meteorologici e per le telecomunicazioni ma in quegli anni non era così. Bisognava avere a bordo un radiotelegrafista per ricevere bollettini e carte sinottiche. Pensate che cosa fosse ricevere una carta di questo tipo visto che veniva trasmessa per punti. Ci voleva una pazienza di Giobbe ma ne valeva la pena e pensare che qualcuno è riuscito a vincere delle regate con questi metodi.
In quegli anni, per noi italiani, Cino Ricci a parte, era difficile vincere regate fuori dal Mediterraneo, fuori dagli Stretti, come quelle dell’Admiral’sCup, competizione a squadre che non si disputa più, è rimasta la sola Fastnet Race.
Il Solent, il Channel, l’IrishSea erano le acque dei campi di regata, acque con un comune denominatore: le correnti di marea … quando il tempo era bello.
La determinazione della corrente di marea non era operazione semplice. Una volta calcolata l’ora dello stabilimento della marea, alle spring o alle neap tides, con le effemeridi nautiche e le Tide Tables, dell’Admiralty, l’istituto idrografico britannico, si entrava in appositi manuali dell’Admirlaty, come quello del Solent o del Channel, e si aveva la distribuzione delle correnti di marea per le ore di transito in quel tratto di mare. Stessi dati si potevano e si possono leggere su apposite tabelle riportate sulle carte nautiche. Ma torniamo al passato per ricordare qualcuno, molto più importante, almeno dal punto di vista storico, di qualche regatante italiano rimasto preda delle forti correnti dei mari inglesi.
Quando l’Invincibile Armada stava risalendo la Manica con l’intenzione di sbarcare sulle coste del Regno della regina Elisabetta I, Francis Drake, corsaro, e non solo, al servizio di sua maestà, stava giocando a bocce e non si preoccupò di prendere il mare per mettersi al loro inseguimento. Disse che c’era tempo di finire la partita di bocce e così fu. Leggenda o no, è più che probabile che, conoscendo le correnti della Manica li lasciò passare per poi avere, più tardi, una corrente a suo favore che gli fece guadagnare il tempo perso a giocare bocce. L’Invincibile Armada fu “battuta” dalle correnti di marea della Manica così come, una volta messa in fuga dai vascelli inglesi, che l’obbligarono a circumnavigare l’isola di Albione, trovò un'altra corrente incognita lungo le coste occidentali che la rallentò notevolmente tanto da procurare un notevole errore di stima che portò molti dei galeoni spagnoli a naufragare lungo le coste occidentali dell’Irlanda. La corrente incognita agli Spagnoli, era la corrente del Golfo di cui oggi tutti ne conoscono l’esistenza.
È così è stato per molti degli yacht con a poppa il tricolore durante le prime regate dell’Admiral’sCup a cui hanno partecipato. In certi casi, con venti leggeri, raccontano le cronache dell’epoca, che alcuni yachts dovessero mettere lo spinnaker per rallentare l’effetto di una forte di marea contraria mentre gli equipaggi locali sapevano quale rotta percorrere.
La soluzione della navigazione a vela in presenza di vento e di corrente non è di semplice soluzione. Una soluzione che conosco si basa sulla conoscenza delle curve polari delle velocità dello yacht per le diverse andature e velocità del vento. Su queste curve si interviene graficamente mettendo a calcolo il vento risultante dall’effetto del vento vero e del “vento” creato dalla corrente.
La soluzione del problema dovrebbe essere richiesta agli esami per le patenti nautiche ma non mi sembra che sia mai stata richiesta. Si continua a parlare di velocità di propulsione e di correnti senza sapere che cosa si intenda con ciò per un’imbarcazione a vela.
Questi sono degli esempi di ieri, quando contava l’uomo, ma lo stesso si potrebbe dire dei tempi odierni, negli anni della tecnica, dell’elettronica, dell’ICT.
Oggi, in mare, in navigazione, l’elemento umano fa sempre la differenza anche se tutti hanno bisogno della tecnologia suddetta anzi, senza di questa, ne sono convinto, rivedremmo le stesse scene di allora, soprattutto nel diporto.
Le imbarcazioni, sia a motore sia a vela, sono piene di strumenti e sistemi elettronici. C’è chi li conosce e li impiega in maniera professionale, c’è chi li sa appena accendere e spegnere.
Vediamo molti radar a bordo delle unità da diporto ma poi l’effettivo impiego che ne fanno a bordo resta, in molti casi, un mistero. Meglio va sulle navi.
L’IMO, l’International Maritime Organization, ha reso obbligatori dei corsi di formazione per il personale navigante sull’impiego di determinati sistemi di navigazione e di telecomunicazione. Gli stessi corsi sono obbligatori per il personale iscritto alla Gente di Mare che è imbarcato sulle unità da diporto adibite a charter.
Per quale motivo ci siano questi corsi è facile intuirlo. Ho un radar a bordo, per la sicurezza (safety) lo devo saper impiegare al meglio che vuol dire, soprattutto, ne devo conoscere i limiti e le prestazioni. Lo stesso avviene da alcuni anni per l’ECDIS (Electronic Chart Display & Information System).
L’auto formazione, quella che incontriamo molto spesso nel diporto, o una “lacunosa” formazione, quella che “certifica” soprattutto, non sempre incrementano effettivamente la sicurezza della navigazione perché il sistema può essere o sovra valutato o sotto impiegato con riferimento all’elaborazione di dati effettuata dal singolo utilizzatore, elaborazione che darà le relative informazioni su cui si potranno basare le sue scelte. Se, le mie conoscenze e competenze sull’impiego del sistema sono complete e corrette, le informazioni che ne ricavo elaborando i dati che ho letto, saranno anch’esse corrette ma se le mie conoscenze sul sistema sono incomplete, frammentarie, le informazioni non saranno affatto corrette e metteranno a repentaglio la sicurezza della navigazione di quella imbarcazione o nave che sia, a causa delle scelte che si sono basate su delle informazioni errate, errate, molto spesso per una deficitaria lettura dei dati.
Tutti conoscono quei disegni dove si può vedere la vecchia o la giovane signora, per fare un esempio. Alcuni non vedono l’una o l’altra, o tutte e due, per un meccanismo particolare del nostro cervello. Lo stesso avviene, per esempio con un immagine dello schermo del radar. Non tutti, elaborando l’immagine del radar “vedono” la situazione di collisione che si è venuta a creare e che è sotto gli occhi di tutti come la giovane e l’anziana signora, c’è chi riesce a passare dall’una all’altra e viceversa e chi no così come un’errata formazione nautica sull’impiego del radar non consente il passaggio alle competenze di una corretta formazione anche se, in questo caso, non dobbiamo mai dimenticare le situazioni di stress psichico, di stanchezza a cui gli equipaggi sono sottoposti a bordo di una nave.
Nel diporto, l’esame per la patente nautica non verifica le competenze, il saper fare, sull’impiego di un radar, di un GPS e così si rimane in possesso della sola ignoranza, intesa che ignoro il giusto funzionamento dei sistemi di navigazione più complessi non facenti parte del programma ministeriale. Può accadere, altra situazione pericolosa, che si rimane in possesso di false verità, dovute all’auto apprendimento o alle solite ed immancabili voci di banchina, il che è peggio dato che se io so di ignorare, forse nemmeno esco dal porto, ma se sono convinto di sapere, ma in realtà non so, allora si che prenderò il largo.
Ripeto, oggi radar e chart plotter sono delle dotazioni oramai di serie delle imbarcazioni da diporto. In quanti a bordo li sanno utilizzare al meglio non si sa.
Del resto, nella nautica diporto chi può salvare una navigazione? Lo skipper che ti sa riparare i servizi igienici o quello che sa impiegare al meglio radar e chart plotter ma non sa niente di servizi igienici?
Le probabilità che il primo evento accada sono molto elevate mentre le probabilità che un’imbarcazione s’incagli per una cattiva pianificazione-monitoraggio della navigazione sono certamente inferiori alle prime.
Il problema magari risiede negli effetti che ne derivano e, soprattutto, sui costi per i dovuti interventi di ripristino.
È bene dire, per completare la risposta, che nel settore dei trasporti marittimi, nonostante l’ampia regolamentazione portata avanti dall’IMO non sono stati eliminati quegli eventi straordinari dovuti al cattivo impiego di un radar o di un ECDIS nonostante il personale che li stava impiegando era tutto certificato ovvero aveva frequentato i dovuti corsi di formazione. L’elemento umano è ancora protagonista.
La storia è sempre la stessa. Dopo la seconda guerra mondiale, che ha visto lo sviluppo delle tecniche radar per scopi militari, abbiamo assistito all’imbarco dei radar, delle novità per l’epoca, impiegati sulle navi mercantili per evitare collisioni tra navi…. ma le collisioni si sono verificate ed ancora avvengono a causa di un errato impiego del radar.
Sono stati resi obbligatori i corsi radar e quant’altro e le collisioni si sono verificate lo stesso.
Qualcuno ha poi pensato che era meglio avere un terzo radar a terra, in posizione di vantaggio, il sistema si chiama VTS (VesselTraffic Service ) ed è gestito dalla locale Guardia Costiera,ma le collisioni tra navi si sono avute lo stesso a causa, come sempre, dell’elemento umano.
Una unità di calcolo è stata asservita al radar, i cosiddetti radar ARPA (Automatic Radar Plotting Aid) per evitare di dover far determinare graficamente la manovra evasiva all’ufficiale di guardia e le collisioni si sono avute lo stesso per un insufficiente impiego di questo sofisticato sistema.
Con l’AIS ( Automatic Identification System) è accaduto lo stesso. Appena messo a bordo, perché obbligatorio, si è avuta la prima collisione causata da un errato impiego di questo nuovo sistema.
L’industria elettronica è stata capace di riportare il punto nave di un ricevitore GPS (Global Positioning System) su di uno apposito display per le carte elettroniche ove sono disponibili anche delle informazioni della zona in cui si sta navigando, l’ECDIS (Electronic Chart Display & Information System) e le navi si sono incagliate per un impiego deficitario del nuovo sistema.
Visto il pesante apporto fornito dall’elemento umano negli episodi citati, si può dire che nel confronto diretto macchina Vs uomo sembra che la macchina abbia vinto qualche battaglia.
Sull’uomo ci dobbiamo ancora lavorare per fargli vincere questa guerra in atto da millenni e con questo avrei risposto alla sua domanda ma si badi bene di non generalizzare, esistono le pecore nere, certamente, ma c’è dell’altro, c’è del buono, basta andare su siti specializzati, come marine traffic.com o vesselfinder.com, per vedere, in tempo reale quante navi, migliaia e miglia di navi, stanno navigando in quel momento sui sette mari di cui mai nessuno ne sentirà parlare perché, semplicemente, partono, arrivano, scaricano merci o passeggeri che siano e la loro storia ricomincia nell’anonimato più assoluto.
DM – Come sappiamo lo studio e l’utilizzo della navigazione c.d. tradizionale è ancora, ad oggi, utilizzata dagli ufficiali dei mercantili e dagli skipper. Pensa che sia possibile soppiantare, un giorno, tale sistema, tra l’altro ampiamente consolidato ed utilizzato, con sistemi di natura digitale ed elettronica?
AC – La navigazione tradizionale non potrà mai sparire dai programmi d’istruzione nautica. Non si può parlare di navigazione satellitare, radar ecc. senza conoscere le basi della navigazione che rappresentano la navigazione tradizionale.
È la condotta della navigazione che si è rinnovata nel tempo e che oggi possiamo definire “moderna”.
Sulla base di tutto quanto già espresso vorrei far presente che l’IMO, nella convenzione SOLAS ( Safety of Life at Sea ), che da sempre si occupa, dal dopo Titanic, di stabilire come devono essere costruite ed equipaggiate le navi, elencandone le dotazioni di sicurezza, la loro protezione attiva e passiva dagli incendi, i sistemi di radiocomunicazione, etc., ha introdotto, in un paragrafo del Capitolo V, la regola 34, Safe navigation and avoidance of dangerous situations. In tal modo, l’IMO ha voluto introdurre l’elemento umano, ponendo la navigazione, pianificata e gestita dall’uomo, e la costruzione delle navi sullo stesso piano ai fini della sicurezza della nave, vale a dire che è importante conoscere, ed applicare, la navigazione tradizionale, fatta di carte e pubblicazioni nautiche e rotte da tracciare così com’è importante avere una nave ben costruita ed equipaggiata.
A dire il vero, e per completezza della risposta, nella SOLAS si è iniziato a parlare anche di Ships’Manning, diSafe Manning e diresponsabilità della Compagnia, per poter allargare l’elemento umano, e le relative responsabilità, anche a terra in una vera dicotomia: la sicurezza della nave è data dalla somma della sicurezza di bordo, l’operato del comandante e del suo equipaggio, e di quanto si fa per la sicurezza della nave negli uffici della compagnia.
Ma torniamo alla pianificazione. Un voyage planning ben fatto già pone la nave in una situazione di sicurezza. In molti diranno: bella scoperta già si faceva. Non è proprio così. Il lavoro, dalla valutazione al monitoraggio, è eseguito dal Bridge Team, in prima analisi, tutto il personale che opera sul ponte di comando di una nave, ed avviene applicando le regole del Bridge Resourse Management che rappresentano un approccio al lavoro di squadra, quello del Bridge Team, in maniera che tutte le risorse, non solo umane, del Bridge Team siano impiegate per aumentare la sicurezza della navigazione.
Nel voyage planning si va ben oltre il tracciamento di una semplice rotta, infatti si cercano, si devono cercare, tutti i possibili particolari, ovvero i possibili rischi, che si potrebbero incontrare e le eventuali alternative, diciamo il piano B.
Le linee guida del voyage planning, sono descritte in dettaglio nei due annessi 24 e 25 del Capitolo V, Regola 34. Nell’annesso 24 si possono leggere le Guidance Notes della MCA (Maritime and Coastguard Agency), che, sinceramente, preferisco, mentre nell’annesso 25 si può leggere la Risoluzione dell’IMO, la A.893(21) del 1999. Pur essendo dedicate alle navi mercantili, queste regole dovrebbero essere applicate anche alle imbarcazioni da diporto come stato dell’arte, soprattutto quando queste si apprestano ad affrontare lunghe navigazioni. La loro conoscenza dovrebbe rappresentare un merito per chi naviga anche se su imbarcazioni da diporto.
Navigazione tradizionale, valutazione dei rischi e lavoro di squadra vanno d’accordo e ciò fa si che la pianificazione della navigazione non sia solo una rotta tracciata sulla carta nautica magari a penna.
Prima ho parlato di correnti e navigazione. Anche se il prezzo del bunker sta calando da qualche mese a questa parte dell’anno, una generosa spinta di una corrente superficiale non potrebbe che far bene durante lunghe traversate oceaniche. La conoscenza delle correnti superficiali, lette sulle Routeing Charts , in questo caso sono dati climatologici, o ricevute via satellite, per una situazione in tempo reale o di previsione, insieme alla conoscenza del vento, consente di pianificare una rotta che faccia risparmiare combustibile. Vento e corrente a favore sono un obbligo per quelle navi o rimorchiatori che sono in grado di sviluppare delle basse velocità di propulsione che, in questo caso, sono paragonabili a delle imbarcazioni a vela.
Altro aspetto del voyage planning riguarda l’equipaggio che deve essere competente, avere le giuste certificazioni, ed avere il relativo giusto riposo di tutti i componenti visto che a bordo non ci sono dei super uomini e la mancanza di sonno equivale all’assunzione di super alcolici. Sul fatto che l’equipaggio sia fresco e riposato, resto sempre dubbioso anche se si parla dell’equipaggio di un motor yacht di 24 metri.
Nel voyage planning devono essere impiegate tutte le pubblicazioni nautiche riguardanti la climatologia e la meteorologia e molto altro ancora. Solo così si potrà entrare in possesso delle giuste informazioni. Se non ho le pubblicazioni suddette, o non le impiego, rischio di non avere le dovute informazioni e perciò posso mettere a repentaglio la sicurezza della nave.
Il periodo di riposo, le carte e le pubblicazioni nautiche meritano un approfondimento per la nautica da diporto.
Molto spesso, soprattutto durante lunghe navigazioni per raggiungere la destinazione finale, le ore di navigazione sono parecchie ed una sola persona rimane di guardia per ore e ore anche 24 ore o più. Questo non deve accadere come già detto, spesso va tutto bene anche perché si naviga prevalentemente con il bel tempo ma non è detto che nel periodo estivo non possa arrivare il maltempo. In questo caso, freddo, stanchezza e mal di mare non possono che contribuire ulteriormente a debilitare la persona che è rimasta di guardia. Lunghe ore di guardia non sono una regola da seguire, è da evitare assolutamente anche perché, così facendo si metterebbe a repentaglio l’incolumità dei propri amici, dei propri familiari presenti a bordo … per diporto.
Le carte nautiche e le pubblicazioni nautiche non le vedo sempre presenti a bordo delle imbarcazioni da diporto ed impiegate al meglio. La cartografia elettronica, quella che di solito viene impiegata, va benissimo per pianificare una lunga traversata ma non va bene per navigare lungo costa a qualche decina di metri dalla linea di costa quando si naviga lungo costa per andare a fare un bagno in una caletta solitaria. In questi casi, vista l’insufficienza, a volte cronica, dei dati reperibili sulla carta elettronica, dovrebbe essere consultato il portolano ma, anche questa pubblicazione, molto spesso, rimane sugli scaffali del tavolo da carteggio.
Nella pianificazione della navigazione un discorso a parte meritano gli schemi di separazione del traffico, regola 10 del Regolamento internazionale per prevenire gli abbordi in mare, meglio noto come Colreg.
Lungo costa, all’entrata dei porti principali, come Livorno o Civitavecchia, per esempio, sono stati adottati questi schemi per regolarizzare, canalizzare e monitorare il traffico di navi in uscita ed in entrata dai porti e nelle relative zone di traffico costiero ( Inshore Traffic Zone ) e di ancoraggio. Ciò che deve essere noto a bordo è il regolamento stabilito dalla locale Autorità marittima in modo da individuare la posizione dello schema e della zona di traffico costiero se non fosse riportato sulla carta nautica non sempre aggiornata su diverse imbarcazioni da diporto. Attenzione al fatto che le regole locali possono differire da quanto espresso nella Colreg, rule 10, TSS, Traffic Separation Schemes . Nella regola 10, per esempio, una nave può attraversare lo schema di separazione mentre nel regolamento locale non può, questo perché la nave che sta impiegando lo schema, è in manovra per entrare o uscire dal porto ed un ulteriore manovra per evitare una collisione potrebbe essere difficile se non impossibile da realizzarsi.
Gli schemi di separazione del traffico oltre davanti ai principali porti si trovano in prossimità dei capi doppiati da intenso traffico navale, canali o estuari, lungo gli stretti come per lo Stretto di Messina e per tante altre zone costiere dov’è presente intenso traffico mercantile.
La pianificazione della rotta in prossimità di questi schemi deve essere eseguita con molta attenzione. Di solito le imbarcazioni da diporto navigano in vicinanza della costa al contrario delle navi che navigano a distanze superiori, dove c’è lo schema di separazione.
Da evitare in tutti i casi, l’impiego da parte di un’imbarcazione da diporto di uno schema di separazione del traffico perché sarebbe come andare in bicicletta in autostrada.
Gli schemi di separazione del traffico hanno canalizzato i flussi di traffico dov’è intensa la presenza di navi mercantili come avviene nell’Adriatico settentrionale, golfo di Trieste, dov’è attivo anche un VTS. Ogni nave segue la sua navigazione nell’apposita corsia ma, negli stretti, vedi stretto di Messina o canale della Manica, ci possono essere delle navi che lo attraversano, per esempio, da Villa S.Giovanni a Messina, da Dover a Calais e vice versa. Ciò è consentito dalla regola 10 ma è evidente che un’imbarcazione da diporto non dovrà mai ostacolare la navigazione delle navi. Il riferimento è alla Regola 2, paragrafo B delle COLREG.
Altri particolari da tenere in conto per pianificare la navigazione sono gli AVURNAV, Avvisi urgenti ai naviganti. Li leggiamo sul Navtex ( Navigational Telex) ma chi non l’avesse a bordo, leggi imbarcazioni da diporto, le informazioni sugli avvisi si possono avere via internet sul sito del Televideo della Rai, pag. 718.
Gli avvisi possono contenere informazioni su zone momentaneamente interdette alla navigazione, su zone dove vengono effettuate delle regate oppure informano che fari o boe sono spenti o hanno perso il loro ancoraggio nel caso delle boe.
Le zone interdette alla navigazione devono essere riportate sulle carte nautiche per evitare di passarci dentro o a distanza ravvicinata, creando delle situazioni di pericolo. Un faro spento momentaneamente o una boa che non c’è più potrebbero trarre in inganno, si chiama “perdita della consapevolezza della situazione”.
Quando non si esegue la pianificazione della navigazione, mi riferisco al diporto dato che per le navi è un obbligo, non solo si rischia una situazione di pericolo ma si può rischiare ben altro.
Tra i sinistri delle unità da diporto che ogni estate si verificano, l’urto con un basso fondale è sempre presente. Probabilmente le cause sono quelle su descritte quando si naviga senza aver fatto una buona pianificazione della rotta da seguire anche perché non si hanno a disposizione le giuste carte e pubblicazioni nautiche.
Nella migliore delle ipotesi, quando le velocità sono basse, due-tre nodi e mare calmo, ma molto dipende dal dislocamento dell’imbarcazione, pale dell’elica e dei timoni, dopo l’urto si piegano ma se le velocità aumentano i danni peggiorano. Un’imbarcazione a motore lanciata in velocità può arrivare a danneggiare tutta la linea d’asse, dall’elica al parastrappi dell’invertitore e potrebbe danneggiare lo stesso motore. Un bel danno e solo perché non si sono seguite quelle regole base della navigazione tradizionale: vale la pena rischiare? non credo proprio.
Nel caso di urto con il fondale roccioso non è detto che i danni siano solo di tipo meccanico, si possono verificare delle vie d’acqua e quando un’imbarcazione inizia ad imbarcare acqua bisogna sapere come intervenire e non farsi prendere dal panico.
Di solito non ci sono delle falle enormi, sono solo gli elementi di collegamento dei timoni o dei bracci reggi spinta al fasciame del fondo che non sono più stagni per allentamento delle sedi dei perni passanti o per piccole crepe che si possono generare nel fasciame del fondo a causa del cedimento della resina. In questi casi, occorrerebbe avere a bordo particolari stucchi che possono essere impiegati in acqua e abbastanza semplici da applicare.
Nel caso delle navi, l’incaglio avviene perché, il più delle volte, la nave ha lasciato la rotta pianificata o per un errore di pianificazione e nessuno si è accorto di nulla.
Ma torniamo alla navigazione da diporto.
Non avendo a bordo delle imbarcazioni da diporto personale di guardia competente sufficiente a garantire contemporaneamente la tenuta sottocontrollo dei sistemi di navigazione, il traffico in superficie e il governo stesso dell’imbarcazione, leggi imbarcazioni a vela, dove, molto spesso i sistemi di navigazione ed il tavolo da carteggio sono al chiuso, sotto coperta, un’alternativa potrebbe essere quella di regolare ed impostare gli allarmi come quelli del chart plotters e del radar. Gli allarmi potranno essere visti/uditi anche da personale non esperto lasciato a controllarli ed in tal modo, per esempio, l’unica persona esperta potrà continuare a controllare la navigazione dalla timoneria posizionata all’esterno nel pozzetto.
Un allarme che vedo impiegare abbastanza spesso è quello del punto di fonda, si memorizzano le coordinate del punto di fonda, si imposta il raggio del cerchio di fonda e, se l’ancora dovesse arare l’allarme scatta. Questo allarme evita di avvicinarsi eccessivamente ai bassi fondali, con il rischio di toccare il fondale e procurare danni allo scafo o alle sue appendici, o di svegliarsi in mare aperto alla mattina, è accaduto a qualche imbarcazione da diporto, quando si è dato fondo con poco calumo in una cala per trascorrervi la notte e la brezza di terra ha fatto il resto.
Gli ECDIS delle navi hanno diversi allarmi da regolare grazie all’impiego di carte vettoriali (ENC, Electronic Navigational Chart).
Nel diporto, vista l’elevato numero dei chart plotter, che impiegano solo carte raster (RNC, Raster Navigational Chrts) sono poche le imbarcazioni che hanno la possibilità di impostare un allarme dopo aver regolato il valore della “shoreline distance”. In questo caso la regolazione deve essere portata a termine osservando con cura la batimetria della zona in cui si naviga altrimenti c’è il rischio di passare alla giusta distanza dalla costa ma senza avere il fondale sufficiente a meno che si sia impostato il valore della “safe depth”o della “safe height”, utile per le imbarcazioni a vela per far si che il loro alberi non tocchino sotto i ponti, qualcuno ci è riuscito perfettamente e parlo di navi (qualche sovrastruttura in meno) e di yachts, ma, ripeto, non tutti i plotter hanno questi allarmi visto che dipendono dalle carte impiegate e perciò sono attivi solo con determinate carte molto più sofisticate, le ENC, rispetto alle normali carte RNC che si impiegano oramai da decenni. Queste nuove carte, nuove per il diporto, visto che hanno i valori delle varie profondità, in formato digitale, permettono di tracciare automaticamente la rotta che passerà alla distanza impostata dai bassi fondali. È più che auspicabile che la rotta tracciata in automatico venga poi riesaminata ed approvata prima di essere seguita in automatico grazie alla presenza del GPS.
Ricordiamo che il voyage planning delle navi, deve essere redatto, riesaminato ed approvato da tre persone differenti, secondo ufficiale, primo ufficiale e comandante senza tralasciare il riesame del direttore di macchina. Ogni modifica, che non sia stata già pianificata, dovrà subire gli stessi passaggi prima di essere approvata.
Ma torniamo agli ECDIS e ai chart plotter, mentre nel radar al centro dello schermo, il PPI (PlanPosition Indicator ) c’è la propria unità, nei chart plotter/ECDIS c’è la posizione fornita dal GPS. In navigazione in acque ristrette bisognerà fare molta attenzione a causa dell’errore del GPS che pur essendo minimo, impone un controllo della navigazione suddetta.
L’impiego di carte nautiche, digitali o tradizionali, diciamo cartacee, di zone dove l’idrografia non è aggiornata da decenni o forse più, deve essere molto attento per il fatto che i dati delle profondità riportati su queste carte non vengono aggiornati da molto tempo, un tipico esempio sono le barriere coralline dei mari australiani, e l’accuratezza dei dati non è delle migliori con errori che possono essere superiori ai 500 metri.
Il mancato rispetto di questa riduzione dell’accuratezza dei dati riportati su di una carta, in un ECDIS, è evidenziato da un valore detto CATZOC (Category of Zone of Confidence ), può essere fatale anche se, è bene dirlo, non interessa i mari nazionali dove, non abbiamo le barriere coralline ma, in alcuni casi, banchi di sabbia che ostruiscono l’entrata nei porti, situazioni segnalate negli avvisi o nei portolani.
Torniamo alla CATZOC. Il sistema interroga la carta e su di essa, nelle zone di mare interessate da una bassa accuratezza delle profondità, compaiono degli appositi simboli per mettere in guardia chi impiegherà queste carte.
È inutile dire, purtroppo, che la mancata conoscenza di questa problematica ha già mietuto delle vittime, ovvero che qualche nave si è già incagliata su barriere coralline avendo avuto delle carte che non venivano aggiornate da decenni o forse più.
Gli allarmi del radar possono riguardare la distanza di massimo avvicinamento di un bersaglio fisso o i navigazione e, se il radar è dotato dell’ Auto Target Tracking, per i radar delle imbarcazioni o è unARPA, nel caso delle navi, l’allarme scatterà da solo quando un bersaglio, ma parliamo solo di quello che c’è sopra la superficie del mare, passerà a meno della distanza impostata o entra nella guard zone, una zona che si può impostare variando la distanza e il rilevamento dove qualsiasi bersaglio che vi entrasse attiverebbe un allarme. I radar hanno anche la funzione dell’arme del punto di fonda e, in questo caso, preferirei il radar al GPS per questo tipo di allarme, soprattutto quando ci si trova in prossimità di una costa rocciosa magari a picco sul mare.
Rimanendo in tema di radar, nella pianificazione si devono individuare i punti cospicui radarabili, differenti dai punti cospicui ottici, fari, torri, campanili, ecc., e indicare i dati per il parallel indexing, una tecnica radar che consente di riconoscere la presenza di un eventuale scarroccio o deriva, in maniera veloce e affidabile, a tutto vantaggio della sicurezza della navigazione.
Nella nautica da diporto, per le imbarcazioni a motore, nella pianificazione, dovrebbe svolgere un ruolo primario l’individuazione dei porti ove potersi rifornire di gasolio o rifugiarsi per evitare il cattivo tempo. Necessario anche il calcolo del consumo di combustibile nel caso di deviazioni dovute al maltempo in modo da evitare le situazioni di navigazione in zone di cattivo tempo. Questi dati dovrebbe essere noti dato che rappresentano la sicurezza della navigazione ma a volte, i dati non sono noti in alcune imbarcazioni da diporto o perché non sono stati calcolati o perché non se ne conosce il consumo orario, a tutto svantaggio della sicurezza. Spesso il consumo orario viene determinato con mare calmo ma in presenza di onde, anche di uno-due metri, magari di prora, il consumo aumenta perché l’imbarcazione è costretta a salire sulle creste e a scendere nei cavi il che comporta un aumento della resistenza all’avanzamento. Non è detto, in sintesi, che se il livello del combustibile può dare un dato sull’autonomia rimasta questa, per l’aumento del moto ondoso, sia sufficiente a raggiungere la meta programmata. La situazione migliora se l’impianto motore è dotato di sonde che misurano il flusso istantaneo o totale di combustibile ma, in questo caso, l’incognita rimane l’aumento del consumo dovuto al cattivo tempo a meno che, con la diligenza del buon padre di famiglia, sono state fatte delle prove a mare per determinare i valori del consumo.
DM – Sicuramente lei è tra i soggetti più indicati per spiegare a nostri lettori quali sistemi di navigazione e di cartografia elettronica siano oggi disponibili per il navigante, sia esso un professionista del mare o un diportista. Potrebbe spiegare, anche per un neofita, sviluppo, affidabilità e prospettive per tali soluzioni tecnologicamente avanzate per il settore?
AC – Nelvoyage planningun discorso a parte merita l’individuazione del sistema primario e secondario per determinare il punto nave, dati richiesti e specificati dall’IMO e perciò obbligatori.
In navigazione costiera i due sistemi di navigazione sono il GPS ed il radar e durante una traversata oceanica? Il GPS e … i metodi della navigazione astronomica, il vecchio sestante, se l’unità non dispone di ricevitore GLONASS/GPS. Il sistema GLONASS è il sistema GNSS (Global Navigation Satellite System) russo messo a punto ai tempi dell’USSR.
La navigazione astronomica sembra esser stata messa nel dimenticatoio e perciò, il problema è vedere quanti comandanti fanno eseguire il punto nave astronomico ai loro ufficiali perché i turni di guardia, il lavoro a bordo è spesso più che massacrante e stressante e non mi stancherò mai di ripeterlo.
L’obbligo dei due metodi per la determinazione del punto nave, uno primario ed uno secondario, fa si che tra le competenze dell’ufficiale di navigazione stabilite dall’IMO nella STCW (Standard Training Certification and Training of Seafarers ) vi sia ancora la determinazione del punto nave astronomico dato che, come detto in precedenza, si impiegano il GPS ed il sestante per la determinazione delle due posizioni richieste in maniera che una controlla e verifica la bontà dell’altro metodo.
Il GPS, il GLONASS e il Galileo, la cui costellazione di satelliti deve essere ancora ultimata, sono dei GNSS. I sistemi GNSS stanno via via aumentando, oltre al Galileo avremo anche il cinese Beidou GNSS o BDS e, dal 2020, avremo le quattro costellazioni di satelliti con ricevitori in grado di elaborare i segnali trasmessi da tutte e quattro le costellazioni. Esistono altri sistemi satellitari ma non sono globali, che stanno mettendo a punto il Giappone e l’India. L’aumento dei satelliti darà l’opportunità di determinare un punto nave con un minimo errore con una continuità temporale maggiore rispetto a quella di oggi. La precisione del punto nave satellitare (DOP, Diluition Of Precision) dipende dalla posizione dei satelliti, dalla loro configurazione geometrica. Grazie all’aumento, notevole, del numero dei satelliti in orbita, la configurazione sarà sempre tra le migliori a tutto vantaggio dell’accuratezza di dati trasformati in latitudine e longitudine.
La STCW, che obbliga a studiare come effettuare il punto nave con il sestante è stata di recente rivisitata, con gli emendamenti di Manila del 2010, ma la competenza riguardante la navigazione astronomica è rimasta e ciò sembrerebbe in netto contrasto con l’evoluzione e l’aumento dei sistemi satellitari. Evidentemente l’IMO, giustamente, aggiungo, non se la sente di abbandonare ancora un sistema di navigazione più che tradizionale come quello della navigazione astronomica.
Negli anni a venire ci guideranno sempre di più i satelliti così come oramai avviene da decenni. La sicurezza che ci può fornire un sistema di navigazione satellitare grazie alla sua precisione nella determinazione della posizione dell’unità è indiscutibile.
Il tallone di Achille di un sistema radio è l’antenna se salta l’antenna, e può succedere, deve essere presente a bordo la possibilità di cambiarla almeno in termini di pezzi di rispetto visto non sempre si riescono ad avere dei pezzi di ricambio mentre è più facile trovare un tecnico che possa intervenire nel primo porto utile.
Nel futuro, oramai prossimo, nel settore dei chart plotter ma soprattutto nelle carte nautiche digitali, come abbiamo visto, ci saranno dei miglioramenti. La carte saranno sempre più vettoriali-DNC e sempre meno raster - RNC. Con le prime il chart plotter “legge” la profondità dai dati memorizzati mentre con le raster, essendo delle fotocopie digitalizzate delle carte nautiche stampate su supporto cartaceo, le profondità le può leggere solo l’occhio di chi è di guardia.
Sulle carte digitali, possiamo avere, si potrebbe dire per sovrapposizione, anche i dati di previsione del vento o delle correnti superficiali o di marea. Il tutto ha un costo ma il costo si potrebbe ridurre solo con il diffondersi della richiesta.
Esistono oggi dei files (grib files – grid in binary files) che contengono i dati meteo-marini che possono essere scaricati anche gratuitamente da internet in questo caso solo il vento, mentre gli altri dati sono a pagamento. I grib files del NOOA (National Oceanic and Atmospheric Administration) con le Numerical Weather Prediction prevision del vento a 10 metri di altezza, sono scaricabili gratuitamente dopo essersi dotati di un programma capace di leggerli (GRIB.US). Con questo programmino saranno già visibili, oltre al vento a 10 metri, le isobare e le precipitazioni ma non i fronti su carte digitali di bassa resa grafica non adatte per la navigazione ma impiegate solo per la visione dei suddetti dati.
Detto questo, possiamo asserire che in un prossimo futuro, i dati che si potranno leggere su di una carta elettronica aumenteranno sempre di più e, di conseguenza, aumenteranno le informazioni su cui il comandante si baserà per prendere le sue decisioni a tutto vantaggio della sicurezza.
DM – In una lettura in chiave squisitamente operativa e cercando di fornire al lettore una buona linea guida operativa in riferimento alla pianificazione della rotta ed alla navigazione, cosa si sentirebbe di approfondire e consigliare in merito?
La pianificazione del viaggio effettuata dal personale di bordo secondo quanto previsto dall’IMO, si traduce nella compilazione di una tabella riassuntiva dove vengono indicate le coordinate dei diversi way points e tanti altri dati utili alla condotta della navigazione. Più dati saranno stati raccolti e maggiore sarà la sicurezza nella fase di esecuzione e di monitoraggio della navigazione.
Appare evidente che, nel caso in cui la nave/imbarcazione dovesse seguire in maniera automatica la navigazione da waypoints awaypoints è di fondamentale importanza la scelta dei way points. Questi dovrebbero essere scelti in maniera tale che il loro raggiungimento possa essere verificato o con il radar o visivamente mediante l’impiego di rilevamenti ottici.
Una problematica che riguarda la scelta dei way poynts si ha quando si vuole determinare un way point abbastanza vicino alla linea di costa o alla batimetrica che delimita la “no go area”, diciamo ad una distanza inferiore alle tre miglia e non si hanno sufficienti dati cartografici. Nelle carte raster, avvicinandosi alla linea di costa si può avere a disposizione la carta a maggiore scala ma non sempre la si possiede oppure, può capitare che in quella zona di mare le carte a grande scala non ce ne sono, non sono state editate. Avvicinarsi alla costa, o alla batimetrica che delimita la no go area diventerebbe troppo pericoloso.
L’abbandono della rotta pianificata a causa di una manovra per evitare una collisione dovrebbe essere pianificato in maniera da stabilire, in sicurezza, di quanto ci si possa allontanare dalla rotta pianificata ovvero quanto ci si possa avvicinare alla batimetrica che delimita la no go area in navigazione costiera.
Spesso, nella navigazione tradizionale, si è parlato di navigazione ad una data distanza dalla linea di costa. È, oramai, un concetto sorpassato visto che navigare ad una certa distanza dalla linea di costa non sempre sottintende che la navigazione avvenga con la giusta acqua sotto la chiglia. Determinata quant’è l’ampiezza dell’acqua minima, la si somma al pescaggio massimo ed in tal modo si ottiene il valore della batimetrica che andrà a determinare e delimitare la no go area. Lo strato d’acqua o under keel clearance (UKC), dovrà tener conto di altri fattori come, per esempio, la presenza in zona di forti escursioni di marea o di cattivo tempo che potrebbe incrementare l’altezza dell’onda significativa presente in zona. Le navi dovranno poi mettere a calcolo il loro pescaggio e l’effetto dello squat , effetto che provoca una riduzione dello strato d’acqua posto sotto la chiglia. Il Safety Management System dovrebbe fornire dati sull’UKC minimo.
Le carte odierne, come quelle dell’Admiralty, evidenziano con diversi colori le zone della carta con le profondità minori in maniera da evidenziarne il pericolo. Le zone di mare evidenziate sono due ed hanno diversi colori, un celeste più o meno intenso all’aumentare della profondità. In certi casi, dipende dalla scala della carta, la no go area potrebbe coincidere con la zona già evidenziata che si trova sulla carta e questo va a vantaggio del riconoscimento della no go area.
Il controllo della navigazione sulla rotta pianificata, in una imbarcazione da diporto, è di difficile attuazione perché, spesso se non sempre, l’unico in grado di farlo deve rimanere al timone, perché c’è traffico, e non può abbandonare la timoneria per andare al tavolo da carteggio. La regolazione degli allarmi che ho descritto in precedenza, può essere l’unico modo per venir fuori da una situazione particolare dovuta alle acque ristrette ed all’intenso traffico. Non regolare gli allarmi vorrebbe dire che si mette a repentaglio la sicurezza della navigazione. Eventuali rilevamenti di sicurezza possono essere presi, in fase di pianificazione, ed a questi ci si dovrà attenere per navigare in sicurezza se si possono misurare dei rilevamenti mentre si è al timone.
Sui radar si possono fissare i valori dei rilevamenti di sicurezza come pure può essere pianificata la stessa rotta, da way point a way point.
Allontaniamoci adesso dalla costa, andiamo in alto mare. Qui le problematiche della condotta della navigazione sono differenti. I bollettini e le carte meteo faranno la differenza con la rotta pianificata.
Il radar può evidenziare la presenza di cumulonembi, la nube temporalesca per eccellenza, sia se ci troviamo nel mediterraneo sia se ci troviamo in oceano. In quest’ultimo caso, la rotta pianificata, se tagliasse la zona di convergenza intertropicale o ITCZ (Inter Tropical Convergence Zone) vedrebbe la presenza di grandi cumulonembi.
O in Mediterraneo o in oceano, evitare un temporale, a mio parere è fondamentale per la sicurezza della navigazione. Un fulmine che colpisce un’imbarcazione può avere effetti non sempre riparabili e può mettere a repentaglio la vita per elettrocuzione di chi è a bordo. In questi casi, si possono avere problemi a tutto l’impianto elettrico e alla bussola magnetica il cui equipaggiamento potrebbe smagnetizzarsi del tutto o presentare, quanto meno, delle deviazioni anomale.
Nei nostri mari imbarcazioni o navi, per esempio, devono fare i conti con quelle zone dove il fetch, la zona di mare aperto su cui spira un vento di direzione costante e intensità in aumento ma non è detto che debba essere per forza in aumento. Navigare in presenza di maestrale sulla costa settentrionale della Sicilia, il più delle volte, vuol dire avere delle onde di altezza significativa superiori ai tre metri. Lo stesso si può avere con il libeccio sulle coste della Toscana.
Vento, fetch e altezza dell’onda significativa, anche in un periodo estivo, possono essere tali da suggerire una variazione alla rotta pianificata facendo molta attenzione che, cercare a tutti i costi un riparo in un porto, specie se di piccole dimensioni, non sempre potrebbe essere la giusta scelta. Consultare il portolano per capire se quel porto/porticciolo possa o meno fornire un giusto riparo senza dimenticare che in molti, soprattutto d’estate, potrebbero aver fatto la stessa scelta.
Ricordarsi sempre che nel cattivo tempo sia la nave sia l’imbarcazione da diporto potrebbero avere dei cedimenti, piccoli o grandi che siano.
Il cambio di rotta e/o di velocità aiuta ad evitare situazioni di pericolo di questo tipo.
Non ci sono alternative se non quelle di mettersi alla cappa.
Daniele Motta
Perito e Consulente Navale
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