L’idrarchia dal basso: la felice stagione della pirateria
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
Verso la fine del XVII secolo l’espandersi del colonialismo nelle nuove terre e l’incremento dell’economia di piantagione, connessa inesorabilmente con il commercio degli schiavi, aveva spinto i maggior paesi, Inghilterra tra questi ma anche Olanda, Spagna e Francia, ad incrementare lo sviluppo della marineria sia nelle attività mercantili sia in campo militare ( Royal Navy) finalizzato alla tutela dei commerci minacciati dagli altri paesi con pari mire imperialistiche.
L’inghilterra incrementò la produzione di navigli atti ai commerci, solidi e capienti su cui venivano imbarcati a forza gli strati di popolazione più povera oltre a criminali, prostitute, dissidenti politici e religiosi.
Le difficoltà di reclutamento costrinsero, nel tempo, gli armatori ad ammettere equipaggi eterogenei per etnia, esperienza e provenienza e questo contrubuì a fare di ogni singola nave un mondo a se stante connesso solo grazie ad un linguaggio comune (Pidgin) partecipato da ogni singolo navigante con l’obiettivo di comunicare l’essenziale di una vita in comune.
Questa nuova realtà legata ai commerci marittimi diede luogo allo sviluppo di uno “stato marittimo” come realtà autonoma, con le sue regole e le sue leggi ( come ad esempio il “Navigation Act” del 1651) che vedeva negli oceani l’ambiente ideale per l’esercizio di un potere assoluto al limite tra malgoverno ed anarchia.
Queste realtà ricreavano su ogni singola nave un microcosmo soggetto a regole specifiche ed ad esasperanti abusi. Le condizioni di vita rese precarie dai pericoli della navigazione, dalle malattie, dalla durezza del lavoro, ma anche dalla scarsità di cibo e dalle vessazioni di violente gerarchie assolutisticamente dominanti e dalla loro corruzione, unite agli scarsi compensi e ai loro ritardi (attesa del salario anche di dieci anni), spingevano questa gran quantità di disperati ad atti di diserzione, ammutinamento e ribellione che non sempre venivano repressi efficacemente.
Era inevitabile che nel corso del tempo questa massa oppressa tentasse di rendersi autonoma andando a configurarsi come “idrarchia dal basso”: uno stato marittimo di natura totalmente illegale, la vera pirateria.
Le regole adottate erano all’opposto di quanto in atto nella marineria commerciale, militare e anche corsara: assenza di gerarchie, con eccezione di alcune democraticamente elette da tutti, differenze sociali livellate, abbondanza di cibo e di alcool, tutela della salute e della vita soccessiva al servizio, divisione del bottino in parti uguali o scarsamente differenziate per le figure apicali (capitani o quartermasti), coinvolgimento nelle decisioni e collettiva gestione della giustizia anche nei confronti delle gerarchie presenti sulle navi catturate con evidente spirito di vendetta.
Questa democratica realtà, vissuta con spirito gioioso e spensierato nella se pur non remota consapevolezza della morte in battaglia o per mano della giustizia ufficiale, attraeva quanti si trovavano in sofferenza nel loro stato: marinai, ex schiavi, fuggitivi…che contribuirono ad un significativo sviluppo del fenomeno piratesco tale da impensierire i governi che arrivarono ad ipotizzare un’estensione terrestre per tale preoccupante fenomeno.
Già nel 1698 venne elaborato l’ Act for the More Effectual Suppression of Piracy” che contribuì a contenere la pirateria nell’area caraibica e determinò il suo spostamento sulle coste dell’Africa occidentale dove il fiorente commercio degli schiavi rischiava di essere compromesso totalmente.
Venne approntata una squadra navale al comando di Challoner Ogle che alla fine del 1722 iniziò una sevara repressione in tutta l’area riportando vittorie tali da ricondurre il fenomeno della pirateria a livelli fisiologici e permise all’Inghilterra di ottenere il deprecabile risultato di divenire, fino al 1807 data di abolizione della schiavitù, la massima nazione schiavista del mondo.
Fabrizio Fattori
In copertina foto da DEPOSITPHOTOS
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