Le radici africane
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
Veniamo tutti dall’Africa e ancor prima dalle scimmie antropomorfe di quelle regioni; “Purché non si sappia in giro” come affermò la moglie di Darwin alle prime certezze dello scienziato.
Forse questa diffidenza rende, ancora oggi, difficile riconoscere che le risorse e la forza lavoro di quel continente hanno contribuito enormemente allo sviluppo della modernità dell’occidente. Risorse e forza lavoro rimandano inevitabilmente all’aspetto più tragico e violento del colonialismo dove rapina e schiavitù ne hanno strutturato per secoli la fisionomia.
Le prime esplorazioni, del XV° secolo, fuori dal Mediterraneo hanno riguardato le coste dell’Africa occidentale, dove marinai iberici cercavano di ampliare i commerci spinti dalla ricerca delle favolose ricchezze ipotizzate a quelle latitudini. I primi avamposti, come Elmina, nell’odierno Ghana, hanno costituito il trampolino di lancio per le successive esplorazioni atlantiche ed asiatiche.
Le miniere d’oro di quelle regioni hanno finanziato i viaggi e le esplorazioni di Bartolomeo Diaz (1488) verso il sud del continente africano che hanno permesso a Vasco da Gama (1498) di raggiungere l’India e a Colombo (1492) di acquisire esperienze tali da spingerlo verso ovest e le Americhe.
I portoghesi divennero eminenti tra le nazioni grazie all’oro di Elmina e aprirono la strada ad altri in un forsennato susseguirsi di scoperte e conoscenze inimmaginabili. Certo l’arroganza dell’origine giudaico cristiana della cultura europea ha fortemente intriso le relazioni politiche ed economiche con l’Africa di ingiustizie inenarrabili dove il solo commercio degli schiavi ne sintetizza adeguatamente l’orrore.
Ma è indubbio che il contatto tra mondi ha generato un’accelerazione verso la modernità dove l’ampliarsi degli orizzonti ha implicato, inevitabilmente, una nuova apertura mentale, un nuovo modo di affrontare le molteplici complesse realtà superando provincialismi e retaggi medievali.
L’enorme ricchezza generata dalle risorse dei nuovi continenti e soprattutto l’economia delle piantagioni (canna da zucchero, cotone, tabacco, caffè..) innescarono il germe di un economia capitalista in senso moderno basata sull’industrializzazione delle produzioni e sull’ampliamento dei mercati di consumo.
Tutto questo al netto del riconoscimento dell’alto prezzo pagato dalle popolazioni subsahariane , deportate a milioni tra continenti e a milioni deceduti nelle condizioni peggiori. Fatto salvo alcuni episodi di “marronage” (fuga degli schiavi organizzati in comunità autonome) storicizzati in Brasile, Florida ed altri luoghi caraibici, l’energica opposizione al commercio da parte di alcune tribù del Benin o altre forme di resistenza passiva; il coinvolgimento forzoso delle masse di schiavi risultò essere sempre condotto sotto l’egida di una superiorità culturale ed organizzativa oltre che da soverchiante forza armata, e comunque avulsa totalmente da implicazioni morali.
Ci sono voluti secoli, l’apporto dell’illuminismo ed una sanguinosa guerra civile per ridare dignità umana a questi esseri che ancora, in molti luoghi del mondo, lottano perché vengano pienamente riconosciuti loro i meriti al progredire del mondo.
Fabrizio Fattori
In copertina foto da DEPOSITPHOTOS
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