Nel corso del suo viaggio attorno al mondo a bordo del brigantino HMS Beagle, il giovane Charles Darwin, più di vent’anni prima di dare alle stampe L’origine delle specie, era solo un giovane e promettente naturalista impegnato a raccogliere dati e osservazioni scientifiche sulla natura delle terre visitate durante la spedizione.
Nel corso di un soggiorno in Polinesia, a Tahiti, Darwin si avventurò fino alla cima della vetta più alta dell’isola. Da qui, poté osservare dall’alto la vicina isola di Moorea, circondata lungo tutto il suo perimetro da una barriera corallina.
Descrisse la regolarità con cui questa seguiva alla perfezione le coste dell’isola, che era “come una foto dentro a una cornice”. Proseguendo nel suo viaggio, Darwin si imbatté nuovamente nelle barriere coralline e in particolare sulle isole Cocos (Keeling), a sud dell’Indonesia, osservò come in certi casi queste strutture, costruite in migliaia di anni dal paziente lavoro dei polipi del corallo, assumessero spesso forme ad anello: simili in tutto e per tutto a quella osservata a Moorea, ma senza l’isola nel mezzo.
Come ben sappiamo, tutto quello che Darwin osservò nelle sue giovanili esplorazioni venne poi elaborato nel tempo dal giovane scienziato, soprattutto negli anni successivi al suo ritorno a casa. La genesi della stessa Origine delle specie fu tutt’altro che immediata ma lunga e complessa, e in parte accelerata dall’arrivo di una famosa lettera di Alfred Russel Wallace, di cui abbiamo già parlato.
Sugli atolli corallini, di cui ai suoi tempi si ignoravano le origini, la storia fu simile. Darwin fu uno dei primi a descrivere quelle che, secondo lui, erano le cause che avevano causato la loro comparsa. Come a Moorea, i polipi del corallo avevano sfruttato le zone a bassa profondità intorno all’isola, dove c’erano le condizioni di illuminazione e temperatura ottimali per la formazione dei coralli. Così tutto intorno alla terra si era formato l’anello.
Poi, per subduzione, le isole che si trovavano al centro erano lentamente sprofondate sott’acqua, lasciando però intatto l’anello di corallo tutt’intorno. I lunghi tempi richiesti dallo sprofondamento dell’isola avrebbero garantito ai coralli la possibilità di crescere verso l’alto e di mantenersi alla profondità ottimale per la sopravvivenza. Oggi si parla di “Darwin point” per indicare i luoghi in cui le temperature dell’acqua sono sufficientemente calde per consentire la crescita della barriera corallina verso l’alto, al punto da tenere il passo con il tasso di subsidenza dell’isola. In altre parole, delle condizioni ottimali per la formazione di un atollo corallino.
Quando, nel 1842, Darwin diede alle stampe Sulla struttura e distribuzione dei banchi di corallo, per la prima volta presentò questa teoria al grande pubblico. A grandi linee, questa visione sulla formazione degli atolli è valida ancora oggi e dimostra quanto geniale e poliedrico fosse il padre dell’evoluzione. Darwin, infatti, non è solo colui che ha spiegato quali sono i meccanismi all’origine della incredibile diversità di forme di vita che popola il nostro pianeta: si è anche occupato di orchidee e cirripedi, di animali domestici e di insetti, di lombrichi e, come abbiamo visto, di atolli corallini, riuscendo sempre ad essere un passo avanti ai suoi tempi.
Per i più curiosi, il testo integrale di Sulla struttura e distribuzione dei banchi di corallo e delle isole madreporiche scritto da Darwin nel 1842 e da lui revisionato nel 1874, tradotto nell’affascinante italiano ottocentesco di Giovanni Canestrini, è scaricabile a questo indirizzo.
Alfonso Lucifredi
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