Vita subacquea - Miniera Valvassera: esplorazione galleria ''Melanconia''
di Andrea "Murdock" Alpini

di Andrea "Murdock" Alpini
La gioia di preparare la sacca speleo è una pratica che unisce scelte e rinunce
Di fronte hai solo un sacco gommato vuoto, dentro può starci tutto o niente. Devi saper scegliere cosa portare, quando inizi a camminare percepisci il peso, quando arrivi al campo base ciò che hai dimenticato te lo ricordi, quando apri il sacco e trovi attrezzature inutili ti accorgi di aver compiuto un errore. Dopotutto, la vita non è la stessa cosa, chi porti o chi sacrifichi nel decidere come riempire il tuo sacco?
Il mio sacco speleo questa volta passa, senza ombra di dubbio, i trentacinque chili
Andrea Murdock Alpini - esplorazione Miniera Valvassera Varese - Phy Diving Equipment
È lì, a terra, immobile che mi guarda e aspetta che lo alzi, lui lo sa che l’entusiasmo della partenza ti porta ad avere una forza maggiore di quella che avrai lunga la via della discesa. Già, lui lo sa e anche tu, eppure dentro quel sacco hai messo solo l’indispensabile, o quasi. Corda, moschettoni, imbrago, erogatori, tenda, sacco a pelo, cappello di lana, PHY Calidarium, casco con luci video e primarie, guanti, bombole da 5l caricate a 260bar, la muta stagna e soprattutto tanto entusiasmo.
E così finalmente si parte
È un anno esatto che salgo e scendo dalla montagna della Val Castellera, sulle Prealpi varesine, alla ricerca di ciò che resta della miniera di Valvassera. Si tratta di un antichissimo insediamento minerario, già sfruttato dai Romani e poi in epoca Borromea, successivamente nel Seicento e poi ancora nell’Ottocento con le prime industrializzazioni fino ad arrivare al Novecento. Il Secolo Breve ha visto lo sfruttamento della Miniera fino agli anni Cinquanta con l’ultima società che l’ha gestita: la MI.RI.VA (Miniera Riunite Varese). Gran parte di questo insediamento minerario è stato già studiato da geologi e speleologi terrestri, tuttavia restano ancora alcune gallerie inesplorate, queste infatti sono parzialmente o completamente allagate. Da qui ha avuto inizio la mia ricerca che unisce storia, avventura, subacquea e passione per la trazione del territorio da cui provengo e a cui sono legato, storicamente e geograficamente.
La natura in Valvassera è sempre aspra
Non siamo ancora usciti dall’inverno, sebbene siamo a metà a aprile inoltrato. Ogni volta questa valle mi appare un posto dimenticato dal buon Dio. I castagni, caduti durate le nevicate invernali rivelano le loro nodose radici che si avvinghiano ai grandi blocchi di porfido disseminati lungo il sentiero.
Il primo tornante con il muretto a secco arriva piuttosto presto, da qui procediamo di buon passo verso il punto in cui il sentiero si biforca. A sinistra si trova un’antica costruzione ottocentesca, costruita con blocchi a secco e squadrati di pietra rossa. È posta esattamente in asse con la laveria del sottostante Livello Cesare.
A destra il sentiero sale in cresta verso la cima delle alture locali, procedendo sul sentiero di sinistra si va in direzione della miniera. Ora camminiamo a mezza costa della montagna, in modo piuttosto agevole per circa mezz’ora. Il sentiero si snoda tra noccioli, castagni e betulle finché si arriva all’ultima lieve salita dove si trova l’ultimo avamposto minerario ottocentesco della Miniera di Valvassera. Il torrente Castellera divide la valle, ora scorre alla nostra sinistra, lo si sente scrosciare più in basso di qualche centinaio di metri. Proseguendo dovremo attraversarlo per andare prima alla Galleria del Saggio e poi proseguire ai Livelli Superiori dove dovremo effettuare la prima esplorazione subacquea di questo ramo di Miniera.
L’arrugginito carrellino dell’antica decauville segna il punto di rottura di carico
Andrea Murdock Alpini - esplorazione Miniera Valvassera Varese - Phy Diving Equipment
Attraversiamo il torrente. Il primo obiettivo di giornata è quello di tornare alla Galleria del Saggio e far entrare i nostri due portatori di attrezzatura in miniera. La squadra si dirige cosi al luogo in cui, la volta precedente, avevo stabilito il campo base. Questa volta sarà unicamente il luogo di sosta per qualche ora.
Il tempo di una pausa energetica e preparo prima i loro caschi, poi insieme a Luigi, uno zaino leggero con corda, imbrago fisso, imbrago subacqueo, muta, bombola ed erogatore ed è già giunta l’ora di dirigerci verso il buco nella montagna. Apro la strada e li aspetto, voglio vedere i loro volti quando vedranno ciò che li attende. È sempre entusiasmante leggere le emozioni altrui di fronte all’avventura. E così è, anche questa volta.
Tornati al luogo in cui abbiamo depositato gli zaini, sistemiamo le attrezzature e ricomponiamo i sacchi per rimetterci in marcia solo dopo esserci velocemente rifocillati. Il terreno che conduce al nostro campo base odierno è molto sconnesso. Ci imbattiamo nell’ultima costruzione eretta dall’uomo, ormai due secoli fa. Ha il fascino romantico ruskiniano dell’antico: l’edera selvaggia l’infesta, gli alberi vi crescono tutto attorno e all’interno. Il tetto è ormai un antico ricordo. Deve essere stato un edificio eretto su due livelli, si capisce da ciò che resta di alcune scalette esterne, crollate, ma soprattutto dal segno di conci di chiave e puntoni lignei, ora assenti, che creavano un impalcato interno. Attraversiamo l’edificio trasversalmente e scendiamo lungo il pendio un po’ scosceso che porta al torrente. È necessario gestire bene il peso dello zaino per evitare inutili scivolate a cinquanta metri dall’arrivo. Attraversato il torrente mi restano una manciata di passi e sono nuovamente di fronte all’antro allagato della Miniera. Aspettavo questo momento da un anno, da quando ho iniziato a fare le ricerche di questo luogo, poi i continui rinvii, gli stop forzati, ed ora finalmente: eccomi qui.
Posiamo i pesanti zaini e gli equipaggiamenti
È inutile negarlo, la prima cosa che facciamo è tirare un sospiro di sollievo
Andrea Murdock Alpini - esplorazione Miniera Valvassera Varese - Phy Diving Equipment
Uso un muretto a secco per fare il briefing. Darci un’organizzazione logica è più importante che assecondare l’entusiasmo. Mad Max è incaricato di seguire le eventuali procedure di emergenza, Federico sarà il responsabile del campo base e il Mangiafuoco ovviamente è il secondo speleo-subacqueo già pronto a immergersi, ma su questo punto torneremo più avanti.
Prendiamo del tempo per far riposare il fisico e la mente, senza parlare del ramo allagato: l’immersione non deve essere un’ossessione. È importante avere uno sguardo ampio su tutti gli aspetti che concorrono alla preparazione dell’immersione, sia nelle fasi asciutte che in quelle più proprie e tipiche della parte subacquea. Non bisogna avere fretta o indursi in situazioni stress, al contrario bisogna sgombrare la mente dai pensieri così che troveranno posto solo quei pochi elementi utili al concretizzarsi del pensiero costruttivo e proattivo all’immersione speleologica.
È fondamentale in questa fase il rilassamento fisico ancora prima che mentale. La mente non può essere distesa se il fisico è contratto. Ci distendiamo sulla paglia per qualche istante, giusto qualche attimo per chiacchierare e togliere il tarlo della tabella di marcia e del run-time da rispettare, siamo ampiamente nei tempi.
Le previsioni meteorologhe dicono che inizierà a piovere verso le ore sedici, ma il mio sesto senso da selvadec mi dice che l’aria non è ancora così umida da portare pioggia e possiamo aspettare a montare le tende per il campo base. Questo potrebbe essere un azzardo.
Aspettare significherebbe doverle montare sotto la pioggia, ma non farlo significa poter lavorare all’immersione con tutta l’area libera davanti all’ingresso del ramo allagato, ed è un bel vantaggio. Questo ramo è messo in collegamento con il Livello Superiore della miniera cui si accede dall’altro lato del promontorio, a circa cinquanta metri ortogonali a destra dal nostro campo base. Tuttavia abbiamo preferito lavorare ed entrare in acqua nel ramo attraverso la sua terminazione, o meglio il suo inizio, che sfocia verso l’esterno, all’aria aperta. Le schiene stanno dritte e ci si muove agilmente, le tende possono aspettare.
Andrea Murdock Alpini - esplorazione Miniera Valvassera Varese - Phy Diving Equipment
Le indicazioni storiche che ho raccolto, le fonti giornalistiche dell’epoca citano tra il 1862 e il 1882 si avvicendarono di proprietà da Vinasco Baglioni a Pietro Barboglio che acquisto il complesso minerario nel 1870 ampliano i lavori e fece scavare notevolmente le gallerie. Egli fece anche costruire una piccola diga di rinforzo sul torrente Castellera per sfruttare al meglio la forza idrica nella lavorazione e pulizia del minerale a valle. Alla sua morte la miniera subisce diversi e rocamboleschi passaggi di proprietà che svalutano la qualità del lavoro svolto, fino a quando nel 1879 l’ingegnere Schmidt acquista l’intero complesso minerario della Valvassera, ammoderna i macchinari estrattivi, scavi Livelli che portano il suo nome e sviluppa nuovamente l’economia. Tutto si interrompe nel 1882 quando un’importante inondazione allaga completamente il giacimento e interrompe le attività estrattive. Il prezzo di del piombo in quegli anni cala drasticamente e così gli eredi valutano di non riaprire l’impianto e aspettare nuovi acquirenti.
Gli scavi mineralogici ai Livelli Superiori, di cui vengono ripresi anche gli antichi tracciati di epoca Tardo Medioevale o di età Romana, sono già citati nelle fonti datate 1514, quando il Duca di Milano rinnova lo sfruttamento della miniera a Ludovico Visconti. Mentre dell’età Medioevale vi è certezza storica documentata, del periodo romano sono state raccolte per lo più supposizioni tecnologiche. La miniera presente diverse lacune documentali, mancano infatti pezze storiche del Seicento e anche del tardo Settecento. In epoca tardo ottocentesca la storia è più completa, anche se a volte è comunque interrotta, mancano elementi chiari e netti che permettano di identificare con chiarezza tutti i lavori e ciascun livello. Sono citati alcuni scavi per lunghezze di 85m e 250m a profondità di ventuno metri sotto il livello antico, indicazioni che ho riscontrato anche in una sezione tecnica della MI.RI.VA, l’ultima Società proprietaria della Miniera di Valvassera. Questi materiali mi sono stati fornitori dal geologo Massimiliano Naressi, anche lui come me di Varese, così racconto al mio compagno di immersione Luigi Parolo mentre ci apprestiamo a preparare le attrezzature.
Storia dopo storia, controllo dopo controllo e passaggio dopo passaggio portiamo gli equipaggiamenti all’imbocco galleria, nel punto in cui acqua e terra si incontrano. Lì dove la luce inizia a non arrivare più. Prima le bombole, poi le pinne, seguono i caschetti, le luci e lo scafandro per fare le riprese subacquee.
Il porfido tutt’attorno è così rosso, oltre è così nero. Le foglie di castagno galleggiano in superficie. Lo svaso ha un po’ una forma di baccello. Una traversina in legno messa lì a puntellare la roccia centocinquanta anni fa è rimasta dove le mani di un qualche minatore l’anno l’hanno lasciata. Nessuno deve averla mai più toccata. L’acqua in superficie è ferma, chiara, lascia intravedere il primo metro e mezzo di fondo, lascia ben sperare.
I passaggi di tempo sono come i passaggi di memoria, assomigliano ai doppi colpi di verifica che fai sui D ring con la mano destra, poi con la mano sinistra, in alto, poi in basso, davanti e infine dietro per sentire che tutti i D-Ring siano al posto giusto, quando non vedi. Spesso in speleologia lavori per percezioni, soprattutto quando entri per la prima volta, quando ti giri e non vedi più la tua spalla e l’unica sicurezza è la sagola che stringi tra le tue dita.
La nostra immersione odierna si base su un’ipotesi, ovvero quella che il ramo allagato si estenda per circa novanta metri e la profondità media sia di circa quattro metri. Abbiamo calcolato i consumi di progressione ad una profondità di sicurezza di sei metri per un tempo di trenta minuti con ridondanza. Abbiamo con noi due bombole indipendenti, vestite lateralmente con configurazione all’inglese modificata alla “selvadec maniera” nella configurazione degli erogatori e della lunghezza delle fruste. Queste modifiche si sono rese necessarie in base alle esigenze nate all’imbrago che è stato configurato per questa esplorazione. Abbiamo pensato a un sistema che fosse in grado di soddisfare le nostre esigenze, coniugando leggerezza di trasporto e facilità di movimento in acqua.
L’imbrago selvadec l’ho chiamato “Bramito”, perché “indossarlo è un atto d’amore” – esclamo - mentre mi preparo, pochi istanti prima di lasciare l’aria aperta per entrare nell’antro buio della Miniera di Valvassera. Lì, ad attendermi ci sono i ragazzi che, fanno luce.
Mi siedo sulla traversina
Andrea Murdock Alpini - esplorazione Miniera Valvassera Varese - Phy Diving Equipment
Infilo da prima la pinna sinistra, poi la pinna destra, ora le gambe sono in acqua. Per ridurre ulteriormente il peso dello zaino ho portato il primissimo prototipo di pantaloni termici che ho sviluppato per Phy Diving, sono sottilissimi e sotto il trilaminato della muta all’inizio senti la frescura dell’acqua, poi ti passa. Mi faccio passare la bombola sinistra, la clippo ai D-Ring dell’imbrago, passo il collare dell’erogatore intorno al collo, provo a respirare: tutto OK.
Proseguo nella vestizione con la bombola destra
La programmazione odierna prevede di stendere il primo segmento di sagola per la lunghezza massima di venti metri così da utilizzare l’immersione al solo scopo di raccogliere informazioni circa lo stato del tunnel. Ciò che mi interessa raccogliere è la tipologia di sedimento su tetto, pareti, fondale, eventuale materiale che ostruisce il passaggio, tempo impiegato dal sedimento per depositarsi, afferramenti vari, visibilità in andata e in ritorno. Coprire questa distanza ci permetterebbe di avere un campionamento abbastanza vario e dati piuttosto validi su cui impostare l’immersione dell’indomani. Inoltre, la distanza piuttosto contenuta consentirebbe di risparmiare gas per la possibile immersione del giorno seguente in cui anche le scorte di emergenza devono essere assai considerevoli.
Una volta a pelo d’acqua fisso l’estremità del mio spool all’estremità sinistra della traversina lignea, su cui ero seduto pocanzi, scendendo terrò la parete di roccia. Immergendo il volto sott’acqua la prima cosa che noto è la quantità di limo e foglie in decomposizione che popolano il fondo. Un grande legno è conficcato nel fondale, ma l’ostacolo peggiore è un semi-tronco che, come Excalibur, ha scelto questo luogo magico per narrare la sua storia. Bisogna passare radiale a esso per evitare strusci e lacerazioni inutili. Lo spazio, già di per sé angusto si stringe ancora di più.
I miei potenti fari video illuminano bene l’ambiente fintanto che la nuvola del Nulla Eterno non avanza da dietro, poi tuto scompare, per sempre. Procedo e arrivo alla quota massima di meno quattro metri. Il tunnel si interrompe bruscamente dopo dieci metri. Una colonia di batteri avvolge questo luogo oscuro: è l’ultima immagine che è ho.
Il Nulla è sopraggiunto e a questo punto i miei fari niente possono più. Giro su me stesso, avvolgo lo spool salgo di quota verso il soffitto del tunnel per evitare il tronco. Emergono prima i fari, poi seguo io.
Quando ho la testa fuori dall’acqua e lo spool in mano, il Mangiafuoco è pronto e vestito a saltare in acqua. Ha il volto preoccupato perché vede lo spool in mano e non legato a un qualche ancoraggio laggiù, mi chiede d’acchito: “Si va avanti?!”.
Vi dirò che quasi ha tentennato, quasi però, perché quando gli ho dato lo spool in mano e gli ho detto: “Vai, perché non sei secondo”, beh poi sono rimasto alla traversina a fargli sicurezza. Sentivo la sagola con la mano, davo piccoli colpi ogni tanto per sentire e comunicare, per percepire cosa stesse facendo là sotto, sapendo che non si vedeva nulla fuori dalla maschera.
Sette minuti più tardi Luigi Parolo è riemerso. È spuntato prima il suo caschetto giallo accompagnato dalla mano per essere sicuro che fosse libera la zona sopra la sua testa, poi è emersa la sua bocca che, una volta sputato l’erogatore, ha detto: “Spettacolo!”.
Ve l’ho detto, nella speleosubacquea spesso si percepisce più di quel che si vede
Siamo usciti dall’antro, felici di aver raggiunto l’obiettivo
Alcune ora più tardi, mentre preparavo la cena frugale, nello stesso posto dove avevamo pasteggiato la volta precedente e fuori imperversava il maltempo, ho ripetuto ciò che ho già scritto per i relitti: “Navi, montagne, miniere e grotte: sono loro che decidono fino a che punto puoi arrivare”.
Oggi la Miniera della Valvassera ha detto “Non oltre”
Tuttavia l’esplorazione del ramo allagato è stata comunque portata a termine
Andrea Murdock Alpini - esplorazione Miniera Valvassera Varese - Phy Diving Equipment
Incrociare fonti storiche, giornali dell’Ottocento, mappe e disegni ha dato dei risultati, ma mi ha indotto me anche ad una errata conclusione. Tuttavia la ricerca è fatta così, serve la verifica, e oggi ne abbiamo avuto la prova.
Sono uscito dall’antro felice per avercela fatta, questo sì, ma devo ammettere che quando ero là sotto, da solo, di fronte alla galleria che si concludeva in un drappo di batteri rossastri, simili al sipario di un teatro, il mio dispiacere è stato tanto. Negarlo sarebbe inumano.
Vado cercando storie da raccontare cariche di sentimenti e di risvolti introspettivi
La Miniera della Valvassera riveste per me significati importanti, esso è un capitolo di ricerca dedicato alla mia terra di origine. Legarsi ai propri luoghi. Cercare le tradizioni nel solco del piccone e nel suono sordo della polvere nera.
La tradizione mineraria prevede che ciascun proprietario del giacimento dia un nome al Livello che inizia a scavare per coltivare minerale sotto la propria attività imprenditoriale. La tradizione alpinistica prevede che colui che, per la prima volta apre una via su di una montagna, quella via prenda il suo nome, e tutti coloro che ripeteranno quella via la ripeteranno in suo nome. In speleologia chi scopre una grotta o un sifone ha l’onore di poter dare il proprio nome a quel ramo, dopo averlo mappato.
Il mio compito è stato quello di spolverare alcuni dattiloscritti ottocenteschi, di ritrovare alcuni fogli scritti a penna d’oca nel Cinquecento o in epoca dei Borromeo, di leggere rapporti geologici e guardare vecchie fotografie sbiadite, in bianco e nero, dei minatori di Varese. Volevo raccontare una storia che parlasse di me, attraverso il mio territorio. Ho infilato un paio di scarponi e ho iniziato a camminare il sentiero della Valvassera.
La sera stessa, dopo l’esplorazione del ramo allagato, distendendomi in tenda ho sentito un gran male al costato e ai muscoli dorsali. Le costole rotte che avevo rotto tre settimane prima speravo mi dolessero di meno. Il pesante zaino di trentacinque chili ha fatto peggiorare repentinamente la situazione.
Faticando ad addormentarmi, come di consueto, ho pensato che, tutto sommato avrei potuto chiamare questo ramo, ad oggi orfano, con il nome di MELANCONIA. È un tributo a quel capolavoro di stato mentale, di scelte interiori che Jeff Lowe ha compiuto per scalare la parete Nord dell’Eiger. Non è la montagna, è il pensiero.
Così la mia Melanconia si rifà ai quattro temperamenti delle patologie umorali degli antichi greci: una Galleria romantica e nostalgica, che scavata nella roccia ti avvolge come una “bile nera”. Stare in questo luogo freddo ti porta a essere introverso e riflessivo, soprattutto quando la natura esterna è secca, e il nostro campo base ha trovato posto tra gli alberi caduti e bruciati durate alcune tempeste di fulmini che hanno interessato la zona l’anno scorso.
Sono le cinque del mattino
Per l’ultima volta esco dal dormiveglia. Guardo fuori dalla tenda mentre aspetto che il sole sorga. Piove, la luce è fioca, oggi albumeggia.
Testo e ricerche storiche di Andrea Murdock Alpini
Fotografie subacquee Andrea Murdock Alpini
Team: Andrea Murdock Alpini. Luigi “Mangiafuoco” Parolo, Federico Fiocca, Massimiliano Piva
In copertina Andrea Murdock Alpini - esplorazione Miniera Valvassera Varese - Phy Diving Equipment
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