Subacquea protagonisti - Intervista ad Andrea Murdock Alpini
di Paolo Di Ruzza

di Paolo Di Ruzza
Chiacchierata con Andrea “Murdock” Alpini. Subacqueo ed istruttore tecnico TDI, CMAS, PTA e ADIP autore di DEEP BLUE Storie di relitti e luoghi sommersi, fondatore del progetto Wreck Knowledge Diving e del Comitato e Team di ricerca e studio del patrimonio subacqueo lariano (Museo della Barca Lariana), nonchè membro dell’Historical Diving Society Italy e creatore del brand Phy Diving Equipment.
Ciao Andrea, grazie di cuore per aver accettato di rilasciare un’intervista a Teoria subacquea. Nonostante i tuoi 35 anni hai un CV di tutto rispetto, ben documentato nel tuo libro DEEP BLUE Storie di relitti e luoghi sommersi, del quale parleremo dettagliatamente.
Andrea Murdock Alpini - PHY Diving Equipment FELICITAS Mine Germany
Domanda di rito: come e quando hai iniziato?
Anzitutto è doveroso da parte mia ringraziare Teoria Subacquea per avermi invitato a questa intervista.
Il primo brevetto subacqueo l’ho conseguito nel 1997, avevo dodici anni, ed essere abilitato a compiere immersioni fino a diciotto metri di profondità equivaleva a soddisfare i miei più grandi sogni. Il mio primo istruttore subacqueo è stato un profondista che, già allora, si immergeva oltre i cento metri. Faceva assistenza profonda durante i record di apnea di Pipin.
Parlare di profondità in quegli anni era molto diverso, le tabelle ARA usate anche nella didattica arrivavano a 90m, io rivivevo attraverso i racconti di mio papà, storie di immersioni ad aria che normalmente erano attorno ai sessanta metri. Quote abituali negli anni Ottanta e Novanta, se penso che oggi le insegno nei corsi di Deep Air, beh allora è proprio vero che il mondo è cambiato.
Tuttavia i miei primi respiri sott’acqua ho iniziato a farli intorno ai cinque anni di età, all’Isola dell’Elba, proprio di fronte al Centro Sub de Il Corsaro. Allora quel centro immersioni era una vera istituzione. Aspettavo in riva al mare mio papà che tornava, io ero lì in attesa di poter respirare gli ultimi venti bar dal suo bibo, rigorosamente con riserva! Era un gioco per me, non era certo subacquea ma ha contribuito ad alimentare il mio sogno.
Viminale Wreck - Murdock is getting inside the engine room - photo by Marco Mori
Sei laureato in Architettura e conosci bene il mercato delle opere d’Arte. Perché hai preferito la subacquea come professione? Già questo potrebbe giustificare il soprannome “Murdock”, no?
Murdock inizialmente era un soprannome e per certi versi rispecchia il mio temperamento. Il nomignolo ovviamente viene dalla serie di telefilm A-Team, lì il mio omonimo vestiva i panni del “pazzo”, ma alla fine sempre con la testa sulle spalle. Ho notato che lo avete scritto tra virgolette, giustamente, oggi però è diventato il mio nome e come tale ormai fa parte di me, mi riconosco nel significato che ha assunto.
Scherzando con allievi o compagni di spedizioni, spesso mi apostrofano dicendo facciamo una “murdockkata” per indicare un’avventura composta da pazzia, avventura e un certo numero di imprevisti goliardici.
Mi sono laureato in architettura al politecnico di Milano, lì ho poi insegnato Storia dell’Architettura Contemporanea, Pianificazioni Economiche e Macro Urbanistiche. Studiare architettura per me è significato avere uno sguardo ampio tra discipline umanistiche, tecniche e scientifiche: un modo di conoscere il mondo.
Successivamente ho frequentato un Master in Economia dell’Arte e dei Beni Culturali e così ho coniugato il mio interesse per fare impresa e creare economia partendo dalle proprie risorse e interessi. Ho fondato due gallerie di arte contemporanea, la prima a Lugano (Svizzera) e la seconda a Milano.
Sono state esperienze incredibili e piene di aneddoti, poi un giorno ho capito che stare chiuso tra i muri bianchi e perfetti del mio spazio espositivo o continuare a sorridere a sconosciuti ai cocktail delle aste non faceva più per me. Avevo bisogno di tornare a vivere in modo diverso, cercare nuovi valori e stimoli per impostare la mia vita.
Voi siete molti gentili a dire che a 35 anni il mio curriculum sia interessante, ma se guardo ai “grandi del passato” parafrasando una canzone di Franco Battiato, beh sono talmente in ritardo sul gruppo di testa che non colmerò mai il divario.
DEEP BLUE Andrea Murdock Alpini Ed. Magenes 2019
In questa pagina cerchiamo di dare una panoramica delle differenti didattiche evidenziandone le peculiarità. Ci spieghi i motivi che ti hanno portato alla TDI?
È doveroso direi che sono approdato a TDI durante il mio percorso subacqueo. Il primo brevetto che ho conseguito è stato con PADI, poi ho fatto in corsi in FIAS e quindi ho seguito la filosofia CMAS, successivamente ho continuato la formazione anche in SSI e in PTA.
La mia nomea di studente è sempre stata quella del “bastian contrario”, dai banchi di scuola in avanti, ovvero ho sempre chiesto il “perche?” di una regola da seguire. Non riesco ad accettare di seguire una qualsiasi norma come un dogma.
Mi hanno sempre affascinato le didattiche DIR, senza citare tutte le varie sigle del panorama didattico internazionale, posso dire che in ciascuna trovo degli ottimi punti di forza, soluzioni tecniche e pratiche eccellenti. Tuttavia non concordo su alcuni aspetti di impostazione, per il motivo che ho detto prima, preferisco avere sempre dei gradi di libertà in cui potermi muovere, sperimentare e prendere decisioni.
La storia di TDI è legata anche a IANTD, all’uso delle miscele e da una certa “avanguardia” nello sperimentare e cucirsi addosso le soluzioni che meglio servono nell’immersione. Da subacqueo tecnico ho seguito i corsi in miscela con Andrea Bada e poi la formazione finale da istruttore tecnico in TDI con Aldo Ferrucci.
Insegno TDI perché mi piace la filosofia che sta alla base dell’Agenzia didattica. Essendo un’agenzia americana utilizzo standard RSTC anche se recentemente si + uniformata anche secondo le normative UNI-ISO, che sono standard con cui insegno presso altre didattiche.
Credo che la motivazione per cui un istruttore scelga una o un’altra Agenzia dipenda unicamente dal suo modo di pensare e di voler trasmettere le sue conoscenze. Chiaramente sono tutte società commerciali e quindi ciascuna ha delle connotazioni che strizzano l’occhio al mercato, oggigiorno tutti gli aspetti vanno chiaramente valutati.
TDI offre molta libertà da molteplici punti di vista e quindi mi sono ritrovato in questa scelta.
Provo a fare un esempio: TDI non propone e impone una configurazione standardizza unica, questo ovviamente può essere un limite per certi versi ma anche un vantaggio. Tutto dipende da come si osserva la questione. Se mi chiedete quale configurazione prediligo rispondo quella hogartina. Quale sistema decompressivo? Quello che meglio si adatta alle necessità dell’immersione. La risposta a mio modo di vedere non può mai essere una.
Fin ora ho parlato pensando unicamente all’insegnamento.
Una cosa è insegnare, quindi giustamente ciascun istruttore deve attenersi agli standard della sua Agenzia Didattica, un’altra cosa è invece avere competenze per pianificare immersioni avanzate. Lì si attinge al meglio delle diverse didattiche, all’esperienze di subacquei riconosciuti e poi bisogna metterci sempre una buona dose personale di intuizione, di coraggio e di fattore umano soprattutto.
(Photo Andrea Murdock Alpini - Immersione alla Miniera di Lavagna - PHY DIVING EQUIPMENT)
Parliamo di DEEP BLUE Storie di relitti e luoghi sommersi. È un libro che adoro: immersioni su relitti fantastici accompagnate da fotografie stupende (molte dell’ottimo Marco Mori). L’aspetto che più mi colpisce è la tua capacità di far rivivere legno e lamiere. Il dettaglio delle ricostruzioni storiche, la ricchezza dei particolari navali ma, soprattutto, un linguaggio più prossimo alla narrativa che alla manualistica. La tua è una subacquea che non rinuncia alla poesia ed al romanticismo degli esploratori. Quale idea di subacquea volevi raccontare nelle sue pagine? Quanto ti ha aiutato l’amore per l’Arte nel raccontare la bellezza?
Vi ringrazio per la domanda che ha centrato la mia finalità di scrivere quel libro.
Deep Blue, come dice il sottotitolo del libro, racconta di avventure subacquee e non di esplorazioni, non di scoperte o di tecniche di immersioni. Il libro è diviso per argomenti così da condurre il lettore a vivere avventure che hanno sempre una componete di subacquea, di storia, di tecnica e anche scoperta. Ho scritto le pagine di Deep Blue perché volevo che si palesasse lo spirto con cui mi immergo, ovvero l’avventura. Nessuna immersione raccontata nel libro è nata per mettere metaforicamente una “bandierina” in un luogo o fare lo “scalpo” a un relitto. Deep Blue racconta di avventure che partono dalla superficie e finiscono sott’acqua. Le ricerche storiche servono a far capire, in primis a me stesso, cosa sto guardando là sotto e a ricordarmi del valore del luogo in cui ho scelto di immergermi.
Un relitto, una miniera o una grotta sono degli ottimi pretesti per mettersi a studiare e costruire la trama di una storia da raccontare.
DEEP BLUE è suddiviso in tre parti: I relitti lacustri / I relitti marini / Le spedizioni subacquee.
Si va quindi dalla Gondola Lariana del Lago di Como, ai bellissimi relitti del Mar Ligure (come il sottomarino sommergibile tedesco U455 e la maestosa Haven) per poi finire nelle grotte di cristalli di gesso negli Urali, oppure nel gelido mare delle Orcadi scozzesi. Ci indicheresti per ogni sezione il tuo relitto preferito e perché? Lo so, non è facile scegliere.
Insomma mi chiedete di fare il gioco “Chi butteresti giù dalla torre” … vediamo un po’ come me la cavo!
È davvero difficile scegliere perché il librò è già il frutto di una selezione, tuttavia visto che mi invitate a scegliere solo trai i relitti, già restringiamo il cerchio e mi facilitate.
Nella sezione Relitti Lacustri sono assai combattuto tra scegliere il Piroscafo Plinio III e la Gondola Lariana, dovendo scegliere direi che il mio cuore è stato rapito dalla Gondola: ho passato tante notti a immergermi su quel relitto per completarne le ricerche. E poi è così affascinante pensare che la Gondola sia stata costruita dai maestri d’ascia a fine Ottocento e che abbia solcato il Lario grazie ai venti Breva e Tivano. Questo relitto per me ha un sapore unico.
Il capitolo Relitti Marini mi mette in difficoltà davvero…
Ogni storia è frutto di sacrifici, progetti e studi che alcune volte sono durati mesi. Tuttavia a livello affettivo sono legato al relitto della Bettolina Fluviale Armata AFP, in Liguria.
La terza risposta è quella che mi mette in ginocchio per davvero.
Se escludessi la grande avventura in Grecia sull’HMHS Britannic sarei disonesto, così come se non pensassi al pellegrinaggio fatto nel 2019 in occasione del centenario dell’affondamento della flotta tedesca a Scapa Flow o alla grande avventura vissuta in Oceano Atlantico a Malin Head, in Irlanda. Voi però mi avete chiesto di un relitto specifico e non di un viaggio. La mia risposta allora è la terza immersione svolta sulla prua del Britannic, un fiume di corrente, una visibilità strepitosa, un relitto che è un vero sogno ma soprattutto un’immersione condivisa con un compagno di viaggio speciale, Armando Frugatta.
(Photo Andrea Murdock Alpini - Hirondelle (la campana) Lago Lemano, Svizzera - PHY DIVING EQUIPMENT)
Sull’Haven si può dire che sei di casa. È un relitto che conosci benissimo ed al quale dedichi foto e commento emozionanti. Quale la tua lettura della “Signora del Mediterraneo”?
Ho imparato che di “casa” non si è mai in nessun luogo per davvero.
Non voglio essere pignolo e rispondervi con una frecciatina, dico così nel senso che ogni volta che sento dire che un subacqueo sia di casa in qualche luogo o su qualche relitto, mi sembra poi che detenga segreti o magiche alchimie per vedere sempre qualcosa che agli altri sfuggirà sempre.
Il relitto dell’Haven è stato un luogo che per alcuni anni ho frequentato tanto, questo sì, sono arrivato a fare anche cinquanta immersioni ad aria in un anno su questo strepitoso relitto. Oggi lo frequento quasi esclusivamente per fare i corsi subacquei con allievi, dalle penetrazioni avanzate al trimix ipossico.
Ho iniziato a scendere sulla maxi petroliera perchè ero affascinato dalle sue dimensioni e dalle molteplici possibilità che offre. Quando ho approcciato l’Haven era un relitto già ampiamente conosciuto e documentato in tutte le sue parti, o quasi.
Le pagine che ho dedicato alla vecchia Signora del Mediterraneo sono un tributo di affetto per un relitto che mi ha accolto, mi ha fatto da palestra e continua a incantarmi ogni volta che torno. Se penso alla Haven mi piacerebbe tornarci con qualche buon amico di vecchia data, farci un giro e gustarmi l’atmosfera di stare in un luogo davvero magico. Ecco cosa mi manca, vorrei fare un’immersione sull’Haven per me stesso, vorrei ritrovare alcune sensazioni dei primordi.
(Photo Marco Mori - Murdock in decompressione sul relitto UJ2208 - PHY DIVING EQUIPMENT)
Nel libro si legge di fattori ambientali e profondità completamente diverse. Ci faresti qualche esempio di particolari soluzioni tecniche e decompressive che hai dovuto adottare?
Esiste la domanda di riserva? (Ahahahahaha!!)
Le soluzioni tecniche o decompressive, se ben interpreto al domanda, variano da luogo a luogo. Essere in Irlanda immersi tra onde oceaniche implica delle scelte diverse rispetto ad andare sulla Viminale, per esempio. Tutto dipende da cosa vai a fare sul fondo, quanto tempo starai, come si presenteranno le correnti, l’assistenza di superficie, il ruolo del safety diver oppure quello della linea decompressiva o non avere nulla del tutto.
A volte puoi avere questi “comfort”, altre volte è impensabile. Ogni immersione deve adattarsi alle specificità del luogo e del team nel suo complesso e non solo alle necessità di chi sta in acqua. Come regola generale adotto sempre la soluzione di avere addosso tutto quello che può servire, sia come bailout sul fondo sia per completare la decompressione in ogni scenario e condizione. Ho avuto esperienze di ogni genere in tal senso e come dice il mio amico toscano Gianni Cecchi è “meglio avere gas che soldi!”, eheheh!!
Le immersioni di allenamento che precedono immersioni importanti o trasferte impegnative servono proprio a verificare i diversi scenari e anche le problematiche. Saper decidere con fermezza è importante quando si affrontano immersioni in cui il fattore umano è altamente richiesto.
(Photo Andrea Bada - Andrea Murdock Alpini sul relitto MZ7006 - PHY DIVING EQUIPMENT)
L’Estate scorsa ho letto con interesse del tuo girovagare per laghi alpini. Sei anche un esperto di laghi prealpini, come il mio amato lago di Como. Quale il fascino dell’acqua dolce e quali le sue insidie?
Ho imparato a immergermi al mare e ho approcciato il lago in età successiva. Vivo vicino al Lago Maggiore, luogo che mi affascina moltissimo, così come il Lago di Como. I laghi sono luoghi estremamente nostalgici. L’acqua dolce è intrigante nella misura in cui capisci l’animo della superficie e cerchi le medesime sensazioni di pacatezza, sott’acqua. L’insidia maggiore, a mio avviso, non è certamente la temperatura dell’acqua quanto l’attrazione della profondità che le sue pareti verticali suscitano.
(Photo Andrea Murdock Alpini - Attrezzatura speleo sub per ISVERNA CAVE - PHY DIVING EQUIPMENT)
Di recente hai partecipato in Toscana alla ricerca di un relitto inesplorato a circa 90m di profondità. Di cosa si trattava?
In Toscana sono stato invitato da Andrea Bada per effettuare l’esplorazione sul relitto che aveva già localizzato in precedenza insieme al Tech Dive Explorer team, dopo diverse ricerche con ecoscandaglio e side scan-sonar. Insieme abbiamo effettuato l’immersione scendendo lungo la traccia del grafico “ferroso” che risultava dallo schermo. Non sapevamo di cose si trattasse esattamente, abbiamo effettuato riprese per quasi trenta minuti sul fondo (27 per l’esattezza), poi una volta in superficie sono iniziate le prime ipotesi. Nei giorni successivi hanno avuto avvio le ricerche. Andrea Bada insieme al suo Team e al supporto dell’Istituto Idrografico e Storico della Marina Militare Italiana è arrivato all’identificazione del relitto. Si tratta di un mezzo da sbarco della Seconda Guerra Mondiale, seguiranno altre ricerche prossimamente.
Ho ricordi bellissimi di quei giorni.
(Photo Andrea Murdock Alpini - Mpaddata immersione con SCILAL DIVING CENTER - PHY DIVING EQUIPMENT)
Sei in grado di pianificare ed effettuare immersioni in OC di altissimo impegno tecnico e fisico. Perché utilizzi il circuito aperto? A parità di addestramento e di condizioni del mare, lo ritieni più o meno sicuro del Rebreather?
Rispondo per prima alla seconda domanda così provo ad articolare il mio pensiero in merito.
A parità di addestramento è sicuramente più sicuro un ECCR. Non contraddico ciò che faccio o ciò che insegno, ma sarebbe da miopi affermare il contrario. Bisogna sempre pensare al contesto a cui ci si riferisce e all’uso che si fanno di questi equipaggiamenti.
Durante le immersioni tecniche avanzate il sistema di immersione in OC è sicuramente più semplice, per certi versi “rudimentale” oserei direi, un sistema CC a parità di condizione d’uso e addestramento permette di avere margini di sicurezza impressionanti per risolvere un problema. Credo che il maggior vantaggio del sistema di immersione in CC rispetto all’OC sia proprio il fattore tempo, una risorsa che può essere gestita completamente in modo differente.
Il tempo di azione/reazione è sempre estremamente limitato durante un’immersione tecnica. Poter disporre di tempo in cui agire o pensare o respirare con apparente tranquillità è il vero vantaggio che mi porterebbe a compiere la scelta di cambiare il mio sistema di immersione. Ovviamente il sistema CCR apre a un modo di pensare completamente differente, nascono scenari e soluzioni decompressive incredibili, questo è uno degli aspetti che maggiormente mi intriga del mondo del silenzio.
Il circuito aperto lo pratico perché mi affascina nei suoi aspetti di pianificazione, di scelta e di limiti che ti impone portandoti a riflettere e a meditare qualsiasi mossa, sopra o sotto la superfice. Voglio continuare ad approfondire le conoscenze e il metodo decompressivo in immersione a tre cifre e con tempi di fondo prolungati. Voglio studiare la fisiologia e le possibilità di combinare miscele, tempi, gradienti, pressioni parziali e tutto ciò che concorre a sviluppare un sistema decompressivo che si appoggia anche alle tecniche e tecnologie di immersione. Quando avrò soddisfatto questa mia necessità, allora prenderò in considerazione di approcciare un nuovo sistema di immersione, guardando con occhi nuovi un mondo nuovo.
La quasi totalità dei miei compagni di immersione usano rebreather da molti anni, sarei in netto ritardo se vedessi la questione come una corsa verso un obiettivo, ma per me non è così.
(Photo Andrea Murdock Alpini - La Montagna di Scilla con SCILAL DIVING CENTER - PHY DIVING EQUIPMENT)
Per le tue immersioni tecniche quale tipologia di algoritmi decompressivi preferisci e perché? Fluidi o a bolle, ossia Buhlmann o VPM/RGBM?
Come tanti subacquei ho iniziato a immergermi con le tabelle US Navy. Ho fatto tanti anni a calcolare la decompressione aria sua aria utilizzando quelle semplici tabelle. Successivamente ho iniziato a mettere in pratica tantissimi profili elaborati sia con le US NAVY, sia utilizzando le tabelle Buhlmann. Volevo verificare a parità di ambiente, gas (aria), tempo di fondo ed equipaggiamento come variassero le mie sensazioni fisiologiche durante e dopo la decompressione. Ho raccolto i dati di centinaia e centinaia di profili.
Finalmente ho poi frequentato i corsi per utilizzare miscele decompressive come l’EAN50 e successivamente l’ossigeno puro. Da qui sono ripartito con gli stessi “studi” pratici, così come facevo con la sola aria. Poi ho provato a ragionare sulle pressioni parziali dell’ossigeno sul fondo e quindi l’uso di Best Mix Nitrox e vedere come cambiavano i fattori in gioco. Insomma, ogni volta cha facevo un passo avanti, poi tornavo indietro per poter comparare tutto.
Quando ho iniziato a usare le miscele Trimix mi si è aperto un mondo di possibilità.
A dire il vero, all’inizio mi è sembrato un mondo fin troppo grande, capisco quindi le Agenzie che preferiscono utilizzare miscele standard e non proporre la Best Mix, almeno a uso didattico. Agli albori del mio percorso con miscele Trimix normossiche ho pianificato sia immersioni con Buhlmann + GF sia utilizzando VPM, sempre applicando diversi gradi di conservativismo (da +3 a 0).
Quando ho iniziato a immergermi con il Trimix ipossico sono passato al VPM +2 come standard, talvolta alternandolo con +1 e 0. Dopo aver raccolto diversi dati personali ho iniziato a ragionare su alcune specificità di calcolo del modello VPM, ponendo l’attenzione su parametri che il GF non presenta. Qui è tornato in spolvero il mio marcato interesse per le Best Mix e così ho iniziato una serie di ragionamenti in merito.
Quando ho avuto l’occasione di poter partecipare alla spedizione sull’HMHS Britannic ho iniziato a rivedere il mio modo di calcolare e affrontare la decompressione, di nuovo. A dire il vero, circa sei mesi prima della partenza, a causa di una PDD “immeritata” ho trascorso parecchio tempo in camera iperbarica. Tutti i giorni l’ossigeno arrivava al punto di “assuefarmi”, pensavo molto seduto dentro quel cilindro bianco. Facevo molti calcoli e la sera, dopo la terapia provavo a fare schemi di nuove pianificazioni, così un po’ per volta ho ripensato a come dovessi cambiare il mio modo di affrontare la subacquea.
La prima immersione che feci dopo la terapia è stata al lago Maggiore, insieme all’amico Renato Oliva. Avevo pianificato trenta minuti di fondo a 45m con miscela Helitrox e profilo decompressivo VPM +5, praticamente una cassaforte!
Nel tempo ho capito la centralità di miscele Helitrox nella mia decompressione, o meglio nelle decompressioni che avrei voluto fare in seguito. Cosi, tutti gli allenamenti che hanno poi portato al Britannic sono stati rivolti a questo obiettivo.
Le immersioni a Kea, in Grecia, sono state il momento di mettere di pratica tutti gli sforzi effettuati e di rendere possibili le immersioni che avrei voluto. Da allora molte cose sono cambiate, la mia decompressione si è voluta e ancora oggi continua ad aggiornarsi.
Negli ultimi due anni ho affrontato tutte le immersioni con un sistema decompressivo personale.
Mi piace molto ragionare su come interpolare tutti gli elementi che ogni subacqueo tecnico conosce e padroneggia. Semplicemente li riadatto al mio pensiero e agli studi che ho effettuato. Ricombino gli elementi per cercare nuove possibili soluzioni che escano dallo schema del conosciuto.
A livello didattico invece, spiego e faccio conoscere tutte le teorie di decompressione che oggi giorno sono conosciute e utilizzate. Non amo i paraocchi per cui non credo che VPM o un computer subacqueo o una tabella siano giusti a scapito di un qualsiasi altro sistema decompressivo. Nemmeno banalizzo tutto il discorso con “funziona ciò che funziona”, ciascuna TEORIA ha le sue logiche e le sue regole, bisogna conoscerle e rispettarle capendone pregi e difetti nelle diverse modalità applicative.
Ai miei allievi insegno a guardare, non a eseguire ciò che io penso.
(Photo Marco Mori - Murdock in decompressione sul relitto UJ2208 - PHY DIVING EQUIPMENT)
Anche a te chiedo indicazioni per il settaggio del Gradient Factor. Semplifichiamo le variabili coinvolte: tuffo tecnico (ad esempio 80m / 30’) a temperatura confortevole, senza corrente, con buona visibilità per un subacqueo in buona forma fisica, profilo quadro ecc.
Come bilanci il GF Low (Gradient Factor per le soste più profonde) ed il GF High (Gradient Factor per le soste più superficiali)?
Avendo risposto in modo in modo ampio e articolato prima cercherò ora di essere più sintetico. A livello didattico ritengo che dei buoni compromessi di GF possano essere 30/80 con le variabili 30/85 oppure 35/80 e 35/85. La scelta dipende da tutti i fattori canonici della decompressione, dal tipo di corso, di attitudine dell’allievo, dai gas utilizzati e così via. Personalmente non disdegno insegnare l’uso delle tabelle US Navy o Buhlmann, in alcuni corsi e in talune occasioni, sono ancora sistemi più che validi soprattutto per imparare ad avere elasticità mentale.
Parliamo dei tuoi allievi. Ormai insegni da tanti anni, come sono cambiati i subacquei che si rivolgono a te e cosa ne pensi della rapida crescita del numero di persone che si avvicinano alla subacquea tecnica? È una moda pericolosa o una reale esigenza formativa?
Insegnare è per me una passione perché trasmetto conoscenze e tecniche, ma a è anche un lavoro perché devo far sì che l’allievo comprenda e arrivi al risultato che mi aspetto.
Qui la questione è delicata, a volte capita che le persone cerchino un brevetto (come è normale che sia) e un nome a esso collegato. La stessa cosa accade per chi cerca un brevetto di un’Agenzia e non sceglie invece la filosofia di un istruttore.
Il rischio del lavoro di istruttore subacqueo è che formare un subacqueo possa diventare anti economico, formare è diverso da istruire. Soddisfare solo l’aspettativa dell’allievo significherebbe, a mio avviso, trasformarlo in un mero cliente con tutti i contro del caso. Tuttavia la logica commerciale di un operatore di settore, qualche che sia la sua posizione nel mercato della subacquea, è comprensibile.
La vostra domanda è molto puntuale ma la risposta è delicata perché si rischia di fare un discorso in cui ci si avvolge su sé stessi, il rischio è di stritolarsi da soli o di additare inutili responsabilità a persone o soggetti giuridici.
All’inizio di questa intervista ho fatto un esempio circa l profondità dei 60m. Oggi insegnare ad andare ad Aria a questa profondità è visto quasi come “politicamente scorretto” oltre che anacronistico. Certamente si possono raggiungere queste quote utilizzando Trimix o qualsiasi altra soluzione disponibile sul mercato.
Spesso vedo che si vendono tecnologie per soddisfare l’ego della cliente, non del subacqueo. L’Everest oggi è l’8.000 più commerciale e più “facile” da raggiungere, eppure era il tetto del mondo. Gli stessi alpinisti, per certi versi, hanno distrutto un sogno.
Credo che si dovrebbe trasmettere ai subacquei il fascino dell’immersione, le peculiarità che ciascun grado ha dai 18m ai 100m, dove finiscono le certificazioni sportive. Se al contrario si continuerà a vendere un obiettivo, beh allora l’erba del subacqueo “vicino” sarà sempre la più verde e l’obiettivo che si vorrà raggiungere sarà sempre un po’ più profondo di dove si è arrivati fin ora.
Bisognerebbe far tornare la subacquea a uno sport che permette di conoscersi interiormente e di visitare luoghi bellissimi, le tecniche e le tecnologie seguiranno l’addestramento di ciascuno. Oppure vi è la possibilità che la subacquea moderna diventi sempre più un gioco al ribasso, nella ricerca improbabile, di eguagliare chissà quali aspettative personali.
Concludo con una frase che potrebbe sembrare polemica, ma a mio avviso non lo è se legata alle risposte precedenti. Bisogna sradicare il dualismo OC versus CCR, bisogna dire agli allievi che per andare fondi e starci del tempo, servono qualità diverse con ciascuno dei due sistemi utilizzati, indipendentemente da quale sia la scelta del sistema di immersione.
Bisogna puntare sulla qualità del capitale umano e soprattutto, sapersi accontentare.
Andrea Murdock Alpini - PHY Diving Equipment FELICITAS Mine Germany
Ritieni esaustiva la manualistica sulle immersioni profonde con miscele ipossiche? Quali le tue fonti di aggiornamento? Pensi che un domani potrai pubblicare un testo squisitamente tecnico?
Credo di aver parlato troppo e non vorrei tediare i vostri lettori con fiumi di parole. Credo che la manualistica oggi esistente in larga parte sia ampiamente superata, non voglio attaccare colleghi istruttori che si sono spesi (anni fa) in questo difficile compito. In via generale, oggi servirebbero materiali nuovi e aggiornati, non parlo di digitale o cartaceo ma piuttosto di contenuti. Ci sono però didattiche, anche italiane, che su questo puntano e investono molto.
Da ricercatore posso confermarvi che purtroppo la “ricerca”, come è ben noto costa, si tratta di un vero investimento in tempo e risorse umane. Fare dei bei manuali sarebbe utile a far accrescere la comunità subacquea. La dialettica e la formazione avanzata sono assai rilevanti nel nostro settore sportivo.
Le fonti che utilizzo per continuare a formarmi, come detto in precedenza, sono trasversali. Elaboro i dati e i concetti per poi metterli all’interno della mia equazione. Lì arriva il bello poiché è il momento della verifica. Bisogna praticarla la subacquea, e tanto. Bisogna sperimentarla e raccogliere sempre più informazioni possibili.
Mi chiedete se pubblicherò dei manuali squisitamente tecnici? Sì, quando ci saranno le condizioni e quando ci sarà realmente qualcosa da aggiungere, di nuovo, senza rinunciare al mio stile narrativo però.
L’immersione che sogni?
Si dice che se racconti i sogni poi non si avverano….
Guarda ho più sogni che cassetti e quest’ultimi provo a non tenerli chiusi. Cerco “l’onda perfetta” in cui unire tecnica, teoria della decompressione, avventura, ricerche storiche e una manciata di amici con cui condividere il sogno. Mi piacerebbe che il sogno divenisse occasione di far nascere la voglia di immergersi a chi ancora non ha iniziato.
Ti anticipo una novità!
Prossimamente lancerò insieme a un amico, detto “Il Mangiafuoco”, il SELVADEC SCUBA TEAM.
Sarà un club di condivisione di intenti, entreranno a far parte solo i SELVADEC che nel dialetto nord lombardo significa appunto “Selvatico”. Chi sono i “Selvadec”? Tutti coloro che vivono la subacquea attraverso grandi avventure, ma soprattutto in libertà.
Grazie Andrea, per la disponibilità e per le emozioni che sai trasmettere nei tuoi racconti.
A presto.
Paolo Di Ruzza
In copertina Viminale Wreck - Murdock on top deck - photo by Marco Mori
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