Subacquea: il relitto della Draga di Gargnano nel Lago di Garda
di Andrea Murdock Alpini

di Andrea Murdock Alpini
Due rette parallele s’incontrano all'infinito, questo è l'assioma che si impara tra le prime nozioni di geometria piana, ma è anche l'impressione che ho avuto osservando l'interno dei due cassoni di galleggiamento della Draga che giace sul fondo di Gargnano a -45m.
Abbiamo lasciato la costa bresciana che il sole era già tramontato, un pallido crepuscolo lasciava sempre più rapidamente posto al calar della notte. La navigazione che separa il porto di Campione del Garda dal relitto è di circa quindici minuti. Arrivati sul punto siamo già pronti alla capovolta. Bibo in spalla e due stage da vestire in acqua. Un minuto di rilassamento sulla cima e poi giù verso il nostro ferro immerso in acqua dolce. Arrivato sul fondo scorgo a pochi metri dalla nostra linea di discesa la Draga che si confonde con il nero del lago.
Il relitto è affondato a causa di una tempesta lacuale improvvisa, giace oggi su una franata che varia dai -38m ai -45m dell'estremità più fonda. La Draga è coricata sul cassone destro di galleggiamento, il primo colpo d'occhio che si ha è quello della zona posteriore con motore, pignone, corona, cinghia di trasmissione e pulegge. L'occhio segue poi il traliccio di lavoro che si caratterizza per la presenza dei cestini raccoglitori atti a dragare il fondale su cui operava il mezzo meccanico.
Relitto Draga di Gargnano, Lago di Garda, still da video Fabrizio Pinna
Iniziamo l'esplorazione dal traliccio guadagnando la profondità di -42m, da qui scendiamo sul fondo per andare a ispezionare il cassone di destra, quello su cui poggia la draga stessa. Sono stato attirato da un piccolo oblò di vigilanza posto nel lato interno del cassone. Lo pulisco dal sedimento di fango e conchiglie, vi punto la torcia all'interno, vorrei capire cosa è conservato all'interno del relitto: purtroppo non sono fortunato, dovrò riprovare su altri oblò successivamente per raccogliere maggiori dettagli.
Mi dirigo ora verso la murata di sinistra, il vuoto lasciato tra i due galleggianti è molto pulito ed elegante. Un volume nero, stretto e affilato che permette alle nostre torce di illuminare le due linee parallele che sembrano convergere all'infinito. Lo spazio non è molto, 1m circa, piano piano mi incuneo all'interno, di fronte a me si apre una visione dionisiaca di argani e funi d'acciaio. Si notano ancora la cinghia di trasmissione color blu elettrico e poco oltre dei cavi arancioni avvolti su argani e ruote dentate. Il paesaggio meccanico è davvero affascinante. In questo punto dati gli spazi di manovra ridotti, anche per via delle nostre attrezzature, dobbiamo fare attenzione a muovere poco sedimento per poter osservare meglio e sopratutto vigilare su cavi liberi potenzialmente pericolosi.
Approcciata la murata di sinistra notiamo lunghe assi, simili alle traversine delle ferrovie, posizionate lungo tutta la murata. Sono i "parabordi" naturali che la Draga utilizzava durante le manovre di attracco o accostamento a chiatte e imbarcazioni di supporto. Una fitta coltre di conchiglie ricopre lo scafo lasciando intravedere qua e là l'originale tinta azzurro ghiaccio che caratterizzava la Draga.
Relitto Draga di Gargnano, Lago di Garda, still da video Fabrizio Pinna
Una lunga infilata di oblò punteggia il bordo superiore del govone, una bitta a Nord e una a Sud. Queste ultime sono gli unici elementi "marittimi" che connotano il macchinario estrattivo.
Passo in rassegna gli oblò, punto la torcia a contatto con il vetro ma non vedo che qualche barattolo di vernice. Torno indietro e scendo di qualche metro, trovo un passo d'uomo aperto! Finalmente. Non voglio entrarci, ovviamente, ma almeno ho la possibilità di infilarci ben bene la testa all'interno e vedere cosa è rimasto, ma soprattutto cerco le cause dell'affondamento della Draga. Una piccola scaletta giace accartocciata sotto grandi blocchi di gasbeton che fungevano da contrappeso dell'intera struttura. L'acqua è molto trasparente all'interno e permette di godere di tutto lo spettro cromatico di cui l'ossidazione del ferro è capace. Osservo lungamente l'esterno di questo ingresso. Nessuna porta, nulla messo a protezione del varco.
Probabilmente il giorno del naufragio le onde alzatesi per il vento hanno iniziato a spingere ingenti quantitativi d'acqua all'interno dei cassoni di galleggiamento rendendo la struttura instabile, il vento avrà poi giocato il suo ruolo fondamentale nel far oscillare la Draga nelle quattro direzioni tanto da far spostare i possenti e numerosi blocchi di contrappeso al punto tale da causarne l'affondamento.
I nostri quaranta minuti di fondo sono finiti, ora ce ne attendono altrettanti di decompressione tra lucci, persici reali e agoni che, qui nel bresciano, chiamano "sardine"... Le bitte dopotutto non sono state gli unici elementi marini dell'immersione
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