Archeologia Terrestre, Anfibia o Subacquea?
di Dario Galassi

di Dario Galassi
Avendo ricevuto negli ultimi anni un insegnamento “tendente” (ma mai tangente) allo scientifico e al razionale, cercherò di non lasciare nulla al caso. Cercherò di spiegare cosa si intende oggi per “Archeologia Subacquea”, quando un reperto (mobile o immobile) può considerarsi subacqueo oppure no. Sembra un argomento scontato, poiché chiunque direbbe: “un reperto è subacqueo quando è sott’acqua”.
Ma non è così semplice. Vi è oggi, infatti, la moda in auge di annoverare tra i suddetti reperti anche quelli che apparentemente di sommerso non hanno nulla. Tale moda va di pari passo con una tendenza da parte di chi si ritiene Archeologo Subacqueo a ribadire con forza la sua differenziazione dal semplice Archeologo. In poche parole, ciò che riguarda l’Archeologia Subacquea è di competenza dell’Archeologo Subacqueo, il restante è di competenza dell’Archeologo, che però a questo punto, per coerenza, dovrebbe essere chiamato Archeologo Terrestre.
E qui nasce il problema. Di fatti, semplicemente sfogliando dei manuali di questa materia o dei dizionari di Archeologia alla voce “Archeologia Subacquea”, chiunque di voi potrà leggere che oltre ai reperti rinvenuti in ambienti propriamente sommersi (quindi a notevoli profondità, non importa se in mare, lago o fiume), vengono inclusi anche quei reperti trovati in “contesti umidi” o “parzialmente sommersi”. Per “contesti umidi” tuttavia si possono intendere, ad esempio, anche una latrina posizionata vicino a delle terme a loro volta posizionate su terraferma; oppure delle fogne di scolo di una domus in alta montagna; o ancora una cisterna in alta collina; o degli acquitrini, paludi, torbiere presenti in zone di entroterra.
Difficile trovare degli ambienti che non siano “umidi”, e di questo passo l’Archeologo Subacqueo potrebbe tranquillamente conquistare l’intero pianeta (archeologicamente parlando, fortunatamente), a parte forse qualche zona desertica (dove comunque scavando e scavando si può sempre trovare l’acqua). Il semplice Archeologo Terrestre sarebbe spacciato, poiché dopo la rimozione dell’humus e di pochi metri di terra asciutta arriverebbe ai livelli umidi (che talvolta trasudano acqua per la vicinanza della falda), e sarebbe costretto a dover chiamare l’Archeologo Subacqueo, a cedergli il piccone o il cazzuolino.
Ancora meno chiaro può risultare quel “parzialmente sommersi”. Faccio un esempio molto semplice: fin da piccolo ho avuto una mia spiaggia preferita dove andavo al mare e di cui ho visto, in quasi 30 anni, il cambiamento della sua linea di costa. C’erano degli scogli che proteggevano le fondazioni delle case più vicine al mare, da cui io mi tuffavo. L’acqua era poco profonda, forse 1,5 metri o 2 metri. Ebbene, l’acqua ora in quel punto non c’è più, gli scogli non proteggono più nulla e in questo lasso di tempo il mare lentamente si è ritirato di quasi 20 metri. Tra altri 30 anni la linea di costa potrebbe avanzare ancora di più a discapito del mare oppure re-indietreggiare fino al punto di consentirmi di fare nuovamente quei tuffi che facevo da piccolo.
Ora ponete che ci sia un muro antico o un “avanzo archeologico” su quel punto della spiaggia, capite da voi stessi che la differenza tra terminologie come “appena affiorante”, “parzialmente sommerso”, “appena sommerso”, “non sommerso”, diventa molto labile. Un muro è un muro, e non dovrebbe mai essere di competenza di un Archeologo Subacqueo se è sommerso per 40 cm, mentre di un Archeologo Terrestre se non lo è, soprattutto considerando il suddetto cambiamento continuo della linea di costa. Altrimenti c’è il rischio che nel giro di qualche anno qualcuno possa addirittura inventarsi l’Archeologia Anfibia (sempre che non lo si sia già fatto), per quei contesti che sono a volte sommersi a volte no, a volte bagnati a volte asciutti.
Fortunatamente non tutti sono così sprovveduti, e non tutti si arrogano il diritto di “possedere” una zona di studio esclusivamente sulla base di un epiteto accostato al nome “Archeologo”. Di questo pensiero è l’americano George Fletcher Bass, che per chi non lo conoscesse è uno dei pionieri dell’archeologia subacquea, essendo il primo archeologo nella storia ad essere sceso in ambiente sottomarino per partecipare attivamente alle ricerche (più precisamente nello scavo del relitto di Capo Chelidonia, Turchia, effettuato nel 1960), che qualche decennio fa diceva: “l’archeologia subacquea, naturalmente, deve essere chiamata semplicemente archeologia”.
Di Dario Galassi
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