Non c’è bisogno, ma potrebbe essere una bella e indimenticabile trasferta, di prenotare un biglietto aereo o approdare in traghetto sull'isola in pieno inverno  per conoscere la millenaria convivenza della comunità sarda con le maschere.

La turistificazione, ha anche dei risvolti positivi, ha allargato le stagioni del carnevale anche se fa effetto danzare sotto pelli  e campanacci pesanti le maschere nella calda estate, anche nella brezza serale.

Le Maschre tradizionali di Sardegna - foto da DEPOSITPHOTOS

Negli anni settanta del secolo scorso si indossavano sopra le tutte da operai dei primi, e subito decaduti, centri industriali sorti nel nulla della logistica, della distribuzione, del mercato. Ora sono rinate nella loro estetica primordiale, sorrette da studi locali, etnografici, antropologici, sociologici.

Ma è un bel vedere queste espressioni che rimandano alla notte dei tempi, ingentilite, in alcuni casi, da scialli e costumi ben tagliati. Non solo pelli ma pure eleganza a rappresentare la dualità del naturale e del civile, ordine e disordine.

Le Maschre tradizionali di Sardegna - foto da DEPOSITPHOTOS

Bello vedere, bello ascoltare il passo cadenzato dalla sinfonia rurale dei campanacci. Tutto rimanda al mondo pastorale a cui la Sardegna è sempre legata come confermano tre milioni di pecore ancora al pascolo.

Per andare  per vedere, sentire e pure toccare - si può anche essere presi al lazo o avere il viso “imbrattato” di nero - bisogna prendere la rotta barbaricina. Scrigno di memorie ancestrali.  Anche fuori stagione -ovvero d’estate -  si può visitare Il Museo delle Maschere Mediterranee a Mamoiada. Immersione immersiva nella cultura delle maschere, non solo sarde.  Il carnevale invernale nello stesso Paese animato da vino rosso cannonau e Mamuthones e Issohadores.  A Ottana - capitale dell’industrializzazione andata persa  - si scoprono boes e merdules e la filonzana: il personaggio femminile interpretato da un uomo. 

Le Maschre tradizionali di Sardegna - foto da DEPOSITPHOTOS

Ma valgono una visita Fonni, Samugheo e soprattutto Ovodda dove le maschere prendono vita dopo la Quaresima in una jacquerie alimentata da un sentimento mai sopito contro il potere. Via al rogo del signorotto di Don Conte, poi fatto precipitare una rupe.

Da segnalare anche se hanno altro substrato, ma non meno  intrigante, i carnevali di Bosa (con rimandi sessuali ben evidenti) e di Tempio Pausania in Gallura.

Gian Basilio Nieddu