Occhio e malocchio nel 'porto di Torlonia'
di Manuela Revello
di Manuela Revello
Il rilievo del cosiddetto "porto di Torlonia" (propriamente il Portus Augusti, voluto dall'imperatore Claudio per incrementare gli approvvigionamenti dell'Urbe), fu scoperto tra il 1862 e il 1864 da Alessandro Torlonia durante gli scavi nella tenuta di famiglia vicino al porto di Traiano, a Ostia.
Il rilievo, datato alla dinastia dei Severi, è in marmo e misura circa 122x75 cm. Si tratta di una scena incorniciata, raffigurante due navi che fiancheggiano Nettuno. Intorno alle navi, una serie di immagini associate al viaggio.
Rilievo marmoreo con veduta di Portus (Collezione Torlonia)
La nave alla sinistra del dio è all'ormeggio e viene scaricata da un gruppo di stivatori, mentre la nave alla sinistra di chi guarda sta entrando in porto con l'assistenza di un ormeggiatore: i membri dell'equipaggio festeggiano l'arrivo con opportuni sacrifici a poppa. Le vele di questa nave in approdo, decorate con i gemelli allattati dalla lupa, nascondono solo in parte l'imponente faro sulla cui fiamma si scorgono ancora tracce di colore. Secondo la maggior parte degli studiosi il rilievo sarebbe un'offerta di ringraziamento da parte di un commerciante di vino fatta a Dioniso per un'impresa di successo.
Un aspetto notevole è la rappresentazione di un grande occhio sospeso sopra la nave ormeggiata. Questo occhio può indicare una paura dell'invidia e del malocchio tra i marinai e dunque fungere da dispositivo apotropaico. Mostra, infatti, una delle caratteristiche più note di chi è posseduto dall'invidia e ha la capacità di scagliare il male: la doppia pupilla.
Plinio racconta di popolazioni africane e orientali presso cui sarebbero esistite persone, donne in particolare, in grado con il solo sguardo di inaridire prati, seccare alberi e uccidere bambini, e che queste donne, presso gli Sciti chiamate Bitiae, avevano due pupille per ciascun occhio e non potevano morire annegate neanche se appesantite da vestiti zuppi d'acqua.
Anche Ovidio parla della strega Dipsas come avente doppie pupille, e la sua descrizione include una serie di attributi che associano le doppie pupille allo sguardo 'lampeggiante' nonché alla magia. Delle donne con l'anomalia della doppia pupilla fanno menzione anche lo storico greco Filarco e, secondo Plinio, lo stesso Cicerone.
Non è escluso che la rappresentazione della doppia pupilla in questo rilievo dipenda più dalle convenzioni dell'arte romana che dal desiderio dell'artista di comunicare una credenza nell'invidia e nel malocchio. Tuttavia, l'occhio raffigurato è uno degli elementi dominanti di questo paesaggio portuale, ed è dunque difficile che si tratti di un mero elemento decorativo. Indizi della sua funzione possono essere trovati su un rilievo contemporaneo che oggi è conservato a Woburn Abbey, in Inghilterra.
Qui l'occhio, anch'esso con doppia pupilla, è raffigurato in grande sofferenza, quale ben noto dispositivo, durante il periodo imperiale romano, per allontanare l'invidia e il malocchio. Una modalità che appare su sigilli, mosaici, pitture murali e bassorilievi. La rappresentazione standard dell'occhio sofferente è composta da un unico grande occhio che viene attaccato, spesso da tutte le direzioni, da bestie e armi quali spade, pugnali, lance, tridenti, fulmini, leoni, pantere, scorpioni, gufi e altri volatili.
Rilievo da Woburn Abbey
Il significato di questi elementi era sempre lo stesso: dovevano contrastare il "malocchio" minacciando gli invidiosi con il ricordare loro il male che avevano già sofferto. Il dolore degli invidiosi è ben conosciuto nell'arte e nella letteratura greca e latina, e l'invidia era considerata una malattia che causava dimagrimento e processi di suppurazione. Non di rado le immagini erano accompagnate da una frase che ricordava all'invidioso quale avrebbe potuto essere la sua sorte, come ad esempio l'inquietante espressione "e anche tu".
Il breve confronto lascia ben pochi dubbi sul fatto che anche l'occhio di Torlonia avesse lo scopo di scongiurare il potere distruttivo dell'invidia per la quale, evidentemente, anche i naviganti romani nutrivano timore, al pari dei Greci le cui navi, com'è noto, avevano occhi dipinti sulle prue.
Manuela Revello
Bibliografia di base
R. Garland, The Eye of the Beholder: Deformity and Disability in the GraecoRoman World, Ithaca 1995
R. Meiggs, Roman Ostia, Oxford 1997
C. Maloney (Ed.), The Evil Eye, New York 1976
Plinio, Naturalis Historia 7.2.16-18, 11.52.142
Gellio, Noctes Atticae 9.4.7-9
Ovidio, Amores 1.8.15-16
Manuela Revello è dottore di ricerca in Filologia greca e archeologa specializzata in Archeologia Orientale. Insegna lingue classiche e ama il mare e la vela.
Di Manuela leggi anche:
- Samo, Delo, Samotracia e le navi dedicate agli dèi
- All’origine della regata: i Giochi Istmici a Corinto
- Faraoni, Persiani, Greci, Romani: l’antica sfida con il Canale di Suez
In copertina: affresco nella Galleria vaticana delle carte geografiche: Fiumicino e le rovine di Portus nel 1582
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