Kubilai Khan e il vento divino
di Tealdo Tealdi - Foto © Marco Merola/Prefettura di Nagasaki
di Tealdo Tealdi - Foto © Marco Merola/Prefettura di Nagasaki
Solo il D-Day, lo sbarco delle truppe alleate del 6 giugno 1944 sulle spiagge della Normandia coinvolse un maggior numero di navi e uomini.
Parliamo dell’invasione mongola che avrebbe dovuto permettere a 40 mila guerrieri, provenienti dalla Cina e dalla Corea, a bordo di 1000 imbarcazioni, di conquistare il Giappone nel 1281.
Khubilai Khan Lost Fleet D
Mentre il primo avvenimento storico fu basato su previsioni meteorologiche fortunatamente molto precise, il secondo fallì proprio per un kamikaze (vento divino), a 250 km/h, certamente non previsto, che le fece affondare tutte.
Rotte finali fusa
Cippo commemorativo battaglia 1281
MokoShuraiE-Kotoba
Di questo evento non si avevano notizie certe, ma una spedizione italiana diretta da Daniele Petrella, che viene dall’Università L’Orientale di Napoli e composta dall’International Research Institute for Archaeology and Ethnology, Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e Ariua giapponese, è riuscita a trovare nelle acque giapponesi i resti di questa flotta.
MokoShuraiE-Kotoba_III
Si è così risolto un cold case archeologico, citato, non senza errori, ne Il Milione da Marco Polo, che soggiornò per 17 anni presso la corte di Gengis Khan.
Emakimono
Bisogna purtroppo ammettere che, senza la determinazione del giovanissimo Petrella, questo non sarebbe stato possibile, in quanto gli ostacoli burocratici, finanziari, la disattenzione delle istituzioni, anche della propria Università, sia verso gli studenti più meritevoli, sia nei confronti di queste scoperte, hanno reso a lungo difficile un progetto i cui primi vagiti risalgono al 2006.
Daniele Petrella a destra nella foto
Si deve proprio al coraggio del suo ideatore, che ha finanziato in proprio i primi viaggi in Giappone e all’appoggio del prof. Kenzo Hayashida, docente dell’Ariua, Asian Research Institute of Underwater Archeology, che lo aveva invitato a recarsi sul posto per approfondire i propri studi, se la spedizione nippo-italiana ha potuto conseguire così importanti risultati.
Con l’aiuto, concesso nel 2010 dal Ministero degli Affari esteri e l’ulteriore sostanzioso contributo della Japan Foundation, della Prefettura di Nagasaki e del Comune di Matsuura, si è potuto così finanziare la missione.
Ancora di sette metri recuperata nel 1994 dal prof Hayashida
Restauratori al lavoro
Restauratori al lavoro
Restauratrice nella fase dei rilevamenti
Reperti al museo
Armatura stupenda che è stata ritrovata dopo ottocento anni chiusa in un contenitore di legno massello che era in mare. Una testimonianza inequivocabile della bontà del legno massello di varie essenze che immersi in acqua salata non si deteriorano conservandosi incredibilmente intatti. Nel caso di questa armatura, peraltro stupenda, era rinchiusa in una specie di scrigno di legno che l’ha matenuta intatta per ben ottocento anni
Bombe inesplose
Catapulta
Si segnano le aree d'indagine
I resti della flotta d’invasione voluta da Kubilai, nipote del più famoso Gensis, eletto Khan nel 1260 e che aveva già fatto un primo tentativo non riuscito nel 1274, sono stati così ritrovati nelle acque dell’isola di Takashima, regione del Kyushu, nel sud del Giappone.
Partita dai due porti di Quanzhou nella Cina meridionale e da Happo (l’odierna Pusan) in Corea, con una classica manovra a tenaglia, il troncone cinese arrivò, a causa della grande distanza da percorrere -1400 km- con sei mesi di ritardo, proprio in agosto, il mese dei tifoni. “La flotta era composta”, ci ha detto Petrella, “da navi fluviali, sottratte alla dinastia Song sbaragliata da Kubilai Kahn, non certamente adatte ai viaggi d’alto mare.
Rotte finali fusa
I Song erano i migliori ingegneri navali dell’antichità, avendo progettato scafi divisi in compartimenti stagni, che in Occidente abbiamo usato solo quattro secoli dopo con le navi in metallo, mentre loro lo facevano in legno.
Pur senza una grande chiglia sono riuscite a arrivare fino al Giappone ma, sorpresi da un tifone catalogabile 4 o 5 nella scala Saffir-Simpson, che ne comprende al massimo 5, dovettero mettere le vele a favore del vento, che le trascinò verso Takashima, dove affondarono. La nostra professionalità per ritrovarle è stata fondamentale, perché l’archeologia in Giappone si è sviluppata solo a partire dagli anni ‘70 e ‘80 e quella subacquea ancora meno.
Momenti di indagini della zavorra della nave di Yamami
L’Italia ha giocato un ruolo decisivo nell’importazione delle competenze acquisite in quasi un secolo, sia dal punto di vista della metodologia vera e propria, sia nell’applicazione di nuove tecnologie ai fini scientifici e della fruizione turistica”.
Momenti di indagini della zavorra della nave di Yamami
Dalla zavorra della nave di Yamami affiorano numerosissimi reperti
Presto sarà possibile visitare virtualmente i reperti in fondo al mare con telecamere a frizione remota, guardando le immagini dalla sala predisposta nel museo o dal proprio computer”. Per rafforzare l’importanza del sito archeologico di Takashima lo stesso è stato dichiarato nel 2011 Parco Archeologico Sommerso Patrimonio Nazionale, il primo in assoluto nell’arcipelago giapponese. Per saperne di più, il sito www.iriae.com è prodigo di notizie e filmati.
Note: L’area in cui sono stati effettuati la maggioranza dei ritrovamenti è stata nominata dalla prefettura di Nagasaki Underwater Archaeological Site – National Heritage. L’insieme dei risultati raggiunti è disponibile e descritto con informazioni più precise sul sito dell’International Research Institute for Archaeology and Ethnology. A questa ricerca è dedicato un articolo di Marco Merola, giornalista che ha personalmente seguito le varie spedizioni, uscito sul numero di BBC History.
Di Tealdo Tealdi - Tratto da www.altomareblu.com
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