I misteri di Rapa Nui
di Fabrizio Fattori

di Fabrizio Fattori
Tra gli innumerevoli luoghi dove le attività umane hanno lasciato nel corso dei secoli vestigia, tracce, o reperti che malgrado gli innumerevoli sforzi di volenterosi studiosi sono rimasti, a tutt’oggi, incompresi, lasciando, anzi, spazio alle più sfrenate fantasie a base di extraterrestri, giganti, o poteri sovrannaturali; si evidenzia per fascino e mistero l’isola di Pasqua.
Un triangolo vulcanico di poche migliaia di ettari posto al largo dell’oceano Pacifico a parecchie miglia nautiche dalle coste cilene (1.940), di chiara origine vulcanica stante i tre vulcani inattivi posti ai vertici del triangolo di terra. Una landa ventosa completamente priva di alberi, ricca di pecore e scarsa di umani.
Un paesaggio inquietamente caratterizzato dai “Moai” rozzi busti dalle teste con sembianze fortemente marcate, spesso con una sorta di misterioso copricapo (pukao) in precario equilibrio, realizzate secondo le indicazioni di datazione del C14 tra il mille ed il millecinquecento.
Foto di Marlene Hanssen da Pixabay
Circa 900 di queste sculture caratterizzano il profilo dell’isola quasi tutte con lo sguardo, portatore di benessere, rivolto all’interno, interrati parzialmente, o poggiati su basamenti di pietra, in prossimità di selciati stradali che giungono sino al mare, e poi grotte, resti di case e di statue abbozzate ancora nelle cave o volutamente abbattute o rovinate a terra.
Il mito racconta l’arrivo, da occidente, della popolazione originaria su piroghe provenienti da isole di lontani arcipelaghi polinesiani sottratti alla vita da sconvolgimenti naturali. Sconvolgimenti che con buona probabilità hanno interessato l’arcipelago di cui oggi l’isola di Pasqua è un residuo lacerto.
Verso occidente guardano le sole statue, oggi sommerse, con i volti rivolti verso l’esterno, quella antica provenienza marina a ricordo della terra di origine (Hiva). I “Moai” rappresentano un mistero non solo per il loro significato spirituale o tribale ma anche per le modalità di estrazione e di trasporto. Decine di tonnellate spostate per chilometri e posizionate su piattaforme.
Foto di Yerson Retamal da Pixabay
La scomparsa di alberi d’alto fusto è probabilmente da mettere in relazione alla necessità di trasporto delle sculture anche se altre ipotesi prevedevano il loro spostamento in verticale grazie ad abili spostamento del baricentro, ( da qui i molti spezzoni di statue sparsi lungo alcuni percorsi). Un contributo all’aurea mitica di questo luogo è dato da un significativo rituale che ha avuto luogo per secoli fino alla metà del XIX secolo ed ancora vivo nella memoria degli abitanti. Dal vulcano Rano-Kao la scogliera precipita in mare prospiciente l’isoletta di Moto-Nui.
Da qui, a primavera di ogni anno, i migliori giovani della comunità si impegnavano in una gara al limite della sopravvivenza legata al mito della rinascita rappresentata simbolicamente dall’uovo raccolto nella colonia di starne che nidificava sull’isoletta. Gli “uomini uccello” così identificati, sfidavano il braccio di oceano tra le due terre considerato tra i più infidi sia per le correnti sia per la presenza di squali, col solo ausilio di un galleggiante di legno.
Raggiungere l’isola non era da tutti, ed altri perivano in attesa dell’arrivo delle starne, avendo esaurito le poche scorte alimentari portate sull’isoletta inospitale. Il fortunato che reperiva, primo tra gli altri, l’uovo, dopo aver effettuato precisi rituali se lo fissava sulla fronte con una fascia vegetale e ripercorreva il tragitto inverso, affrontando i medesimi pericoli dell’andata. All’arrivo riceveva tributi regali e diveniva, lui stesso, effimero re riaffermando il potere della sua casta tribale.
Fabrizio fattori
In copertina Foto di SoniaJane da Pixabay
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