Ernest Henry Shackleton - ''Better a live donkey than a dead lion''
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
Che i britannici abbiano da sempre goduto di un’ottima fama quali esploratori ed avventurieri è testimoniato dai molteplici resoconti di viaggio, memorie e pubblicazioni redatte al ritorno di imprese divenute, nel tempo, epiche.
Ernest Henry Shackleton, di origine irlandese, è tra questi il più determinato a porre al centro della sua vita l’esplorazione e l’avventura. Abbandonati gli studi in medicina e votatosi alla marineria consolidò una invidiabile formazione in anni di navigazioni oceaniche che gli consentiranno di partecipare come luogotenente alla spedizione artica capitanata da Robert F. Scott con la nave “Discovery” organizzata dalla Royal Geographical Society (1901-1903).
La Discovery di Robert Falcon Scott - Foto da Historic UK
A questa prima spedizione ne seguì una seconda (1907-1909), la “British Antarctic Expedition” con la nave “Nimrod”, della quale aveva la totale responsabilità e che concluse con parziale successo che gli valse comunque ampi riconoscimenti.
Ma è con la terza spedizione a bordo dell’Endurance (1914-1916) l’“Imperial Trans-Antarctic Expedition” che Shackleton raggiunse, nel tempo, una fama pressoché planetaria.
L'Endurance intrapolata nei ghiacci - Foto da Peabody Essex Museum
Questa spedizione che come le altre aveva non solo scopi scientifici e di ampliamento delle conoscenze del continente, ma mirava a consolidare, in qualche modo, la presenza britannica al polo sud, ebbe un epilogo, che solo la determinazione e l’esperienza accumulata da Shackleton nelle precedenti spedizioni permise di non trasformare in tragedia.
L’Endurance rimase, infatti, incastrata tra i ghiacci ed in pochi mesi, distrutta completamente dalla morsa gelata (novembre 1915). L’equipaggio si sistemò precariamente su due campi ( Ocean Camp e successivamente Patience Camp) allestiti sulla banchisa e vi rimasero sino al suo scioglimento parziale (aprile 1916) che li costrinse a cercare un approdo sicuro sulla Elephant Island, raggiunta dopo una navigazione estremamente impegnativa.
La scialuppa usata per raggiungere l'arcipelago della Georgia del sud - Foto da Familypedia - Wikia
In questa precaria situazione e nella certezza di non ottenere soccorso, venne presa l’iniziativa di tentare di raggiungere l’arcipelago della Georgia del sud (a circa 1600km di distanza) per attivare i soccorsi. Venne utilizzata una scialuppa di salvataggio che dopo quindici giorni di terrificante mare aperto li condusse a terra.
L’approdo non fu dei più fortunati. Il punto più civilizzato dell’isola, la stazione baleniera di Stromness, si trovava al di là di circa cinquanta chilometri di cordigliera ghiacciata ed inesplorata. Servirono più di un giorno di cammino, in condizioni subumane, per permettere a Shackleton e a due dei suoi uomini di raggiungere la stazione e dare l’allarme (maggio 1916).
Shackleton e due membri dell'equipaggio piantano la bandiera - Foto da Encyclopedia Britannica
La parte dell’equipaggio dell’ “Endurance”, rimasto sull’Elephant Island venne tratto in salvo da un rimorchiatore cileno dopo diversi tentativi.
Anche se l’accaduto venne dettagliatamente descritto nel libro “South”, di questa impresa, ai limiti dell’umano, se ne comprese la straordinarietà solo successivamente, quando l’esplorazione di quelle aree rivelò le enormi difficoltà presenti e superate dalla spedizione di Shackleton.
La sepoltura di Ernest Henry Shacketon - Foto da www.submerged.co.uk
Come per ogni esploratore che abbia dedicato la sua vita ai viaggi e alla conoscenza, la morte migliore appare essere quella che accade nel pieno di un progetto e di una nuova avventura.
Shackleton riposa in un piccolo cimitero della Georgia del sud, stroncato da un infarto a soli quarantotto anni, all’inizio della sua quarta spedizione in terra antartica.
Fabrizio Fattori
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