Ann Davison e la traversata del cuore: la donna che sfidò l’Atlantico da sola
Dalla perdita alla rinascita, la storia di una navigatrice che cambiò il racconto della vela con una traversata solitaria nel 1952 a bordo di Felicity Ann.
Dalla perdita alla rinascita, la storia di una navigatrice che cambiò il racconto della vela con una traversata solitaria nel 1952 a bordo di Felicity Ann.
Ci sono marinai che hanno scritto la storia della navigazione con imprese memorabili o con silenzio e determinazione. Ann Davison appartiene a questa seconda categoria: il suo nome non compare sulle tavole di bronzo dei monumenti, ma resta inciso nei diari di chi ama il mare e la libertà. Fu la prima donna nella storia a traversare da sola l’Oceano Atlantico, nel 1952, a bordo di una barca lunga circa sette metri, il Felicity Ann. La sua vicenda non fu soltanto una impresa nautica, ma una storia d’amore e di rinascita.
Un sogno spezzato
Ann Davison nacque nel 1914 nel nord dell’Inghilterra. Amava i cavalli e gli aeroplani e, da giovane, lavorò come pilota d’aviazione, un settore ancora dominato dagli uomini. Incontrò Frank Davison, ingegnere navale appassionato di mare, e insieme decisero di cambiare vita: abbandonare la terraferma per navigare.
Nel 1949 acquistarono una vecchia chiatta di 17 metri, la Reliance, che trasformarono in una casa galleggiante. Volevano salpare verso la Spagna e poi nei mari del Sud, ma la realtà del mare inglese fu spietata.
Nel dicembre di quell’anno, presero il largo dal porto di Plymouth. Le previsioni erano cattive, ma la coppia era determinata. Una tempesta improvvisa colpì la costa della Cornovaglia. La Reliance si incagliò sulle rocce di Perranporth e affondò. Ann riuscì a raggiungere la riva, ma Frank non tornò mai. Quel naufragio segnò la fine del loro sogno — e l’inizio della leggenda di Ann.
Il coraggio della solitudine
Per mesi, Ann visse in uno stato di sospensione. La perdita del marito e il senso di colpa la consumavano. Ma invece di allontanarsi dal mare, decise di affrontarlo di nuovo. Non per sfida, ma per riconciliazione. Dovevo capire se il mare era mio nemico o il mio destino, si scrisse nel diario postumo di quell’epoca.
Vendette tutto ciò che possedeva e acquistò una piccola barca a vela, il Felicity Ann. Era un sloop di 23 piedi (circa 7 metri), costruito nel 1939 in mogano, con una cabina spartana e un motore ausiliario da 6 cavalli. Nessuno credeva che una donna potesse attraversare l’Atlantico da sola su un guscio di noce. Ma Ann non cercava approvazione: cercava pace.
La traversata
Partì da Plymouth nel 1952. La prima tappa fu verso il sud-ovest dell’Inghilterra, poi giù fino alle Canarie, da dove si sarebbe lanciata nella lunga rotta per le Indie Occidentali. Il mare non fu clemente. Tempeste, guasti al motore, settimane di solitudine. La Felicity Ann rollava come una foglia tra le onde, e Ann scriveva nel suo logbook: la paura non è mai sparita, ma ho imparato a conviverci. Come si convive con un compagno difficile ma necessario.
Passò due mesi in mare aperto. La piccola cabina si trasformò in un microcosmo di legno e sale: il cielo era un confidente, la rotta una guida ferma. Ogni giorno calcolava la posizione con il sestante, riparava vele e cucinava zuppe di fagioli su un fornello a paraffina. Le mani le sanguinavano, ma non mollò mai la barra del timone.
Il 23 gennaio 1953, Ann Davison avvistò le coste di Dominica, nei Caraibi. Era viva, stremata e sorridente. Aveva attraversato da sola un oceano e, forse, anche il proprio dolore.
Un simbolo silenzioso
Il suo viaggio non ebbe la risonanza che meritava. I giornali inglesi dedicarono poche righe all’impresa, con un tono quasi di stupore paternalistico: una donna attraversa l’Atlantico da sola. Ann non cercava fama. Pubblicò il suo diario con il titolo My Ship Is So Small, testo delicato e pieno di verità marinaresca. Nelle sue parole non c’è eroismo, ma accettazione: il mare come maestro, non come nemico.
Dopo la traversata, Ann si trasferì negli Stati Uniti, dove continuò a navigare per anni, soprattutto lungo le coste del Golfo del Messico. Morì nel 1992, dimenticata dal grande pubblico ma venerata in silenzio da chi conosce il mare.
Il suo Felicity Ann esiste ancora: è stato restaurato nel 2018 dall’Northwest School of Wooden Boatbuilding a Port Hadlock, nello state of Washington, ed è oggi utilizzato per ispirare nuove generazioni di navigatrici e marinai. Il legno originale porta ancora i segni del sale e del tempo, ma anche la memoria di una donna che seppe guardare l’oceano negli occhi.
Scheda tecnica – Felicity Ann
Il significato di una rotta
Oggi, quando le traversate oceaniche sono pianificate da satelliti e software, la storia di Ann Davison appare quasi irreale. La sua impresa non è solo un record: è una storia d’amore, di lutto e di riconciliazione con il mare. Ann non cercò la gloria, cercò se stessa. E trovò, in mezzo all’oceano, la prova che il coraggio non è l’assenza di paura, ma la capacità di non esserne dominati.
Forse, in fondo, è questo che il mare insegna a chi lo ascolta davvero: la rotta più difficile non è quella tra due continenti, ma quella tra il dolore e la rinascita.
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