''Oceana'' un progetto per salvare il mondo dalla fame
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
La produzione responsabile di cibo per soddisfare una domanda crescente è una delle sfide che può rendere diverso il nostro futuro.
Ridurre la produzione di anidride carbonica, limitare l’uso di acquee per l’irrigazione, contenere l’espansione delle terre coltivabili e l’uso eccessivo di pesticidi e fertilizzanti chimici, e ottenere, comunque, proteine a costi sensibilmente inferiori rispetto alle proteine animali, è l’obiettivo posto dalla valorizzazione della biodiversità marina in termini di incremento del pescato selvatico.
Il progetto, basato su concrete rilevanze scientifiche, viene portato avanti da diversi anni da “Oceana” (2001) organizzazione internazionale in collaborazione con i governi di vari paesi e con specifiche istituzioni delle Nazioni Unite. Tale sfida risulta oltremodo impegnativa per il fatto che, al momento, la pesca sconsiderata ha ridotto i quantitativi a livelli preoccupanti. Molte ricerche ritengono che un’attenta politica di valorizzazione della bio massa marina possa far ottenere in tempi relativamente brevi il suo aumento (fino al 15%) in grado di sfamare in modo sano e a basso costo l’inesorabile incremento della popolazione, che, come da stime attendibili, toccherà i nove miliardi nel 2050.
Il risultato di questa ottimizzazione offre la possibilità concreta di nutrire milioni di persone che già oggi soffrono la fame ( circa 400 milioni nei soli paesi che hanno la pesca come maggiore attività economica). L’Europa ed altri 29 paesi producono il 90 percento di quanto viene pescato nel corso di un anno ed è prevalentemente a loro che sono indirizzati i programmi di conservazione delle specie maggiormente minacciate come sardine, merluzzi, aringhe e tonno, e le iniziative di regolamentazione delle attività di pesca.
Alcuni periodi di moratoria a tutela temporanea di alcune specie, come ad esempio quella attivata nel Golfo di Biscaglia nel 2004/2005 per le acciughe, hanno permesso di riportare i livelli della bio massa a quanto presente nelle stesse acque nel 2000. Così come quanto realizzato in Norvegia, negli ultimi anni, per le aringhe che in poco tempo hanno ricostituito i banchi come presenti nel 1950.
A questi confortanti risultati si devono aggiungere le normative adottate da altri paesi come Cile, Filippine, Brasile, Belize ed altri, con specifiche valenze di protezione e conservazione oltre che di razionalizzazione delle attività di pesca. Come, ad esempio, intervenire sul controllo degli scarti del pescato che in alcune circostante raggiungono il 78%, o garantire protezione alle specie non economicamente rilevanti che vengono accidentalmente catturate.
Le acquee oceaniche coprono circa il 70% della superficie terrestre e solo il 4% può considerarsi indenne da qualsiasi tipologia di attività umana. In questo contesto è necessario affrontare il problema in argomento anche alla luce di una energica politica di protezione ambientale che limiti gli impatti creati dalle variegate attività umane responsabili, tra l’altro, del cambiamento climatico in atto.
Plastiche e microplastiche, idrocarburi, sostanze chimiche, pregiudicano la qualità dell’ecosistema che è alla base dei regolari cicli di vita e riproduzione delle specie marine ed è quindi imprescindibile armonizzare le politiche di protezione e conservazione delle bio masse con le più rigide politiche di tutela ambientale, garantendo al tempo stesso l’esigenza economica di quanti vivono di pesca in equilibrio con chi guarda agli oceani come unico ed irrinunciabile ecosistema.
Fabrizio Fattori
Foto di copertina da oceana.org
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