Che la ricerca e l’estrazione di combustibili fossili abbia devastato molti ambienti naturali in giro per il mondo, è cosa confermata, ulteriormente, dal globale, radicale cambiamento subito dal clima cui assistiamo, abbastanza impotenti, soverchiati dal potere e dal negazionismo delle lobbies petrolifere o del carbone.
I virtuosi proclami di ricerca alternativa, se portati a compimento, lasceranno cicatrici perenni sul volto della terra.
Una di queste riguarda quanto resta della prima piattaforma petrolifera marina, insediata nelle acque del Mar Caspio a circa cento chilometri da Baku dai tecnici sovietici. Era il 1949 e a quel primo impianto estrattivo off shore si sono sommate nel tempo una serie consistente di superfetazioni tecnologiche tutte orientate all’estrazione del petrolio e del gas naturale del Mar Caspio considerati di eccellente qualità.
Questo ha determinato in breve tempo lo strutturarsi di una vera e propria città sull’acqua. Isole d’acciaio connesse da una rete di centinaia di chilometri di improbabili strade e da migliaia di chilometri di tubazioni. Stazioni di pompaggio si alternano ad abitazioni per il personale, a luoghi di intrattenimento come cinema, teatri, giardini o aree sportive, e a strutture di servizio e sostegno alle numerose maestranze oscillanti, secondo i periodi di attività, dalle 2000 alle 5000 persone. Isolotti artificiali fatti di detriti, o dal fatiscente rudere di una delle prime petroliere, la “Zoroaster”, o da discariche di inevitabili rifiuti, sostengano questa alienante ragnatela.
Il tutto dominato da un immane dormitorio di nove piani con migliaia di stanze destinato a sopravvivere a se stesso stante la riduzione delle attività. Come si può immaginare il tratto di mare circostante è uno dei più inquinati al mondo; non solo le acque hanno acquisito il colore e la consistenza del fango petrolifero, ma dalla loro superficie esala il nauseabondo odore della putrefazione.
La produzione è stata da tempo ridotta e fornisce oggi percentuali minime al totale petrolifero dell’Azerbaigian. Ma smantellare il tutto costerebbe in modo eccessivo e per questi ultimi anni di vita del giacimento si è preferito fare questa scelta. Sarà il tempo, con tutta probabilità, a cancellare le strutture, già in parte fatiscenti, il salmastro e i venti delle limitrofe steppe daranno il proprio inesorabile contributo.
Fabrizio Fattori
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