Mare responsabile: riciclare i gusci dei crostacei per la bioplastica
di Gian Basilio Nieddu

di Gian Basilio Nieddu
Non si butta nulla, non solo dal maiale, come dice il detto, ma pure dai crostacei dove il riciclo dei gusci e degli esoscheletri permette di produrre plastica biologica più salutare e meno inquinante per il mare.
Una ricetta ecologica, si evita anche il dispendio per lo smaltimento di questo materiale, ma anche economica perchè con gli scarti si crea materia prima per il packaging per l'industria alimentare. Involucri per conservare pomodori e piccoli frutti.
Aumenta la richiesta dei crostacei in epoca moderna, sempre presenti nella Grande e piccola distribuzione, aumentano gli scarti che diventano un problema ecologico. La scienza viene in aiuto e dai residui di lavorazione dei crostacei emerge la possibilità di estrarre in modo sostenibile la chitina da cui si ottiene il chitosano poi utilizzato come materia prima seconda, la materia prima che non diventa rifiuto ma viene reimmessa nel circuito produttivo, per il packaging alimentare.
I primi risultati si hanno in Asia, già nel 2013. Anche in Europa si è lavorato su questo fronte e ormai il chitosano è utilizzato abitualmente pure dalle aziende italiane.
Dai crostacei si butta anche l’80% del peso - si legge in una ricerca della Flinders Centre for Marine Bioproducts Development di Adelaide pubblicata su Marine Drugs - che genera forti costi per lo smaltimento. L'industria alimentare genera ogni anno da 6 a 8 milioni di tonnellate di rifiuti di granchi, gamberetti e aragoste. E una parte di questo materiale viene scaricato in mare, negli oceani o finisce nelle discariche.
La particolarità dei prodotti ottenuti dalla lavorazione degli scarti risiede soprattutto nel fatto che pur conservando le proprietà della plastica il processo di degradazione impiega pochi mesi. Non le centinaia di anni della plastica da petrolio e derivati.
In Italia questo giacimento è valorizzato dall’impresa Ilpa Group che da decenni si occupa di confezionare imballaggi per l'ortofrutta. Sempre più con una quota importante di materiale biodegradabile. E anche prodotti di packaging attivo, dedicato alla conservazione di merce delicata come i piccoli frutti. Uno studio è stato presentato alla manifestazione Italian Berry Day durante l'ultimo Macfrut (fiera dedicata all'agroalimentare) di Rimini.
Nella presentazione di Luigi Garavaglia, direttore ricerca e sviluppo dell’azienda si legge: “Si è impiegato un polisaccaride naturale estratto dall’esoscheletro dei crostacei, il chitosano e diversi estratti naturali di vegetali come flavonoidi e polifenoli. Il Chitosano è usato come molecola per rivestimenti edibili di frutta verdura e come integratore alimentare e nutraceutico. E’ presente anche nel catalogo dei novel food della Eu”. Si è recuperato uno scarto e ci sono anche le proprietà attiva del packaging finale: “Estende la shelf-life (la durata commestibile) dei piccoli frutti fino a 48 ore in più rispetto a quella di un packaging non attivo e mitigano gli effetti negativi delle oscillazioni della temperatura sulla loro qualità e sullo sviluppo di muffe su fragole, mirtilli, lamponi, uva”. E per gli amanti del mare significa che meno plastica indistruttibile finisce in acqua.
Gian Basilio Nieddu
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