Indubbiamente un materiale dai molti utilizzi che ha risolto problemi di trasporto, imballaggio e contenimento di merci che a sua volta sta causando danni incommensurabili all’ambiente di fronte ai quali non tutti i paesi hanno le capacità e la volontà di intervenire.
Una recente risoluzione dell’UNep (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) l'ha definita “Crisi planetaria”, attivando la soglia di estremo pericolo per l’intero ecosistema marino e non solo.
Per comprendere il fenomeno basti pensare che, giornalmente, vengono utilizzate nel mondo un miliardo e mezzo di bottiglie buona parte delle quali finiscono per raggiungere fiumi e successivamente mari ed oceani, dove alimentano, unitamente a buste, reti ed altri residui plastici, isole galleggianti in lentissimo degrado.
Recenti studi hanno evidenziato che l’origine di questi flussi è da ricollegarsi ai grandi fiumi asiatici (otto) ed africani (due) ma anche indonesiani e filippini, che contribuiscono con più di quattro milioni di tonnellate all’anno.
Lo Yangtze, in Cina, il Gange in India, l'Oyono al confine tra Camerun e Nigeria, il Brantas e il Solo in Indonesia, il rio delle Amazzoni in Brasile, il Pasig nelle Filippine e l'Irrawaddy in Birmania, sono responsabili di percentuali altissime (tra l’85% ed il 95%) di residui.
Le frontiere del controllo di questo fenomeno si stanno orientando, razionalmente, verso il contenimento dei flussi all’origine attraverso un programma di sensibilizzazione ambientale e di contributo tecnico rivolto ai paesi interessati che miri a contenere ed evitare ogni abbandono di materiale plastico al di fuori di un sistema di recupero/riciclo.
Grandi gruppi industriali, come Nestlè e Danone, si sono impegnati (entro il 2020) sul piano della biodegradabilità dei loro contenitori, altre imprese sono già in grado di farlo. Rimane da affrontare sul piano della sensibilizzazione culturale quel processo di crescita civile che condizioni i comportamenti e i consumi di grandi masse di popolazione, al momento non particolarmente coinvolte nella comprensione di tale fenomeno.
Il vertice UNep tenuto a Nairobi ai primi di dicembre ha approvato una risoluzione, peraltro non vincolante, che consenta ai vari paesi di intervenire in modo significativo al fine di monitorare, ridurre ed arginare il fenomeno, anche attraverso programmi di sensibilizzazione che permettano a vaste aree di costa e territorio di essere sottoposte a controlli diretti da parte degli stessi abitanti, (vedi ad.es. la campagna “Clean Seas” in Cile e Sri Lanka).
Solo interventi articolati su più fronti che vanno dalla sostituzione delle plastiche con materiali biodegradabili, alla raccolta del materiale presente negli oceani, e alla pulizia delle coste e delle spiagge, nonché allo sviluppo di produzione e consumo più responsabile, consentirà nel tempo di conservare un ambiente essenziale alla vita stessa del genere umano posto, già oggi, di fronte alla grande incognita della catena alimentare legata alle microplastiche della quale l’uomo risulta essere l’inevitabile terminale con tutte le conseguenze del caso.
Fabrizio Fattori
Immagine di copertina tratta da Focus
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