Viaggio in Vietnam e Cambogia - Khmer, un impero sull'acqua
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
La disponibilità di risorse idriche ha da sempre condizionato lo sviluppo e l’affermarsi di civiltà, e posto il potere nelle mani di coloro che erano in grado di governare questa risorsa.
Nel clima monsonico del sud est asiatico, dove periodi di pioggia si alternano, ritmicamente, a lunghi periodi di siccità, si è sviluppata, tra il IX secolo ed il XV secolo d.c., una cultura composita ed articolata, che ha lasciato testimonianze di grande fascino, tutta basata sul controllo virtuoso delle risorse d’acqua presenti in natura o derivate dai cicli monsonici: la cultura Khmer.
Tale cultura ha raggiunto il massimo splendore con l’occupazione di aree a nord del lago Tonle Sap dove i monarchi-divinità che si susseguirono consolidarono in successivi insediamenti la loro presenza fino alla realizzazione di Angkor, (come oggi viene chiamata), quale capitale del regno Khmer.
Questo insieme di templi e palazzi reali permise l’aggregazione, al suo apice (XIII sec. d.c.) , fino ad un milione di persone ( quando le città europee nello stesso periodo contavano poche decine di migliaia di abitanti). La rete di canalizzazioni, i serbatoi d’acqua, alcuni vasti kilometri quadrati, le ampie cisterne all’interno dei templi l’uso delle acque fluviali e lacustri dell’area, consentivano fino a tre raccolti di riso l’anno che insieme ad attività agricole, alla pesca, all’allevamento ed ai commerci relativi consentirono lunghi periodi di diffuso benessere per ampi strati della popolazione.
Ma ai periodi di pace seguirono scontri territoriali o conflitti religiosi tra Buddisti ed Induisti che fortemente contribuirono alla definizione di una civiltà peculiare fusione di civiltà rappresentative di una vasta area geografica. La decadenza viene messa in relazione, nella prima metà del XV sec.d.c., con una più energica invasione Thai ma anche ad un deterioramento ambientale dovuto alla deforestazione e al conseguente interramento del sistema idrico che portò ad una drastica diminuzione dei raccolti e all’incapacità di gestire virtuosamente i periodi di siccità e di alluvione.
Quello che rimane oggi è un vasto insieme di costruzioni, prevalentemente religiose, in laterite, arenaria o mattoni dedicate al vasto pantheon induista e buddista, di varie dimensioni ed importanza, ricche di bassorilievi e statue, alcuni basamenti di palazzi reali e poche tracce di abitazioni, che essendo di legno sono sostanzialmente scomparse. Il tutto immerso in una lussureggiante vegetazione tropicale che in alcuni casi ha preso possesso delle stesse strutture inglobandole in un intricato insieme di radici e tronchi, che, paradossalmente, ha contribuito alla loro stabilità.
Un ulteriore affronto a queste vestigia è stato portato dai “Khmer rossi” che soggiornando nell’area per un lungo periodo hanno commercializzato quanto recuperabile dalle rovine sul mercato antiquario internazionale al solo scopo di reperire fondi per la loro guerriglia.
Commovente è vedere una gran quantità di statue acefale, sparse per le stanze ed i corridoi dei templi, ancora oggi oggetto della venerazione delle popolazioni locali. Questo immenso patrimonio dell’umanità è oggetto di costante opera di restauro e conservazione da parte di paesi, prevalentemente asiatici, ma anche europei, in particolare francesi a cui si deve nell’ottocento la riscoperta di questo straordinario sito archeologico.
Fabrizio Fattori
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