Ritorno a Psarà e Antipsarà
di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
Lasciamo Ay Stratis e iniziamo la nostra veloce discesa verso sud. Perdiamo subito e facilmente terreno, spinti dal vento con una gentile sollecitudine. Dopo una bella navigazione in cui, se non fossimo stati pigri, avremmo potuto issare il gennaker, arriviamo in vista di Psara. Rinforza a 30 nodi e siamo lieti di non aver il gen a riva.
Psara e Antipsara. Le guardo e confermo a me stessa che sono due delle gemme più preziose dell'Egeo.
Arrivo a Antipsarà con 30 nodi
Se il ritorno in un luogo già visto ha il sapore dolce del ritrovare casa, pone nello stesso tempo un piccolo grande problema: cosa posso dirvi che io non vi abbia già raccontato? Il rischio di ripetersi - o peggio ancora di contraddirsi - è alto.
Di nuovo c'è che quest'anno abbiamo dato priorità alla piccola di casa, la selvaggia e ventosa Antipsara. Due giorni in rada nella splendida baia di Psili. E' il 30 luglio è non passa nessuno. La rada è sicura, il fondale è ottimo, si brandeggia un po' e il vento, che a Antipsara soffia con 5/6 nodi di più che a Psara, ti strilla bene nelle orecchie, ma davvero non so spiegarmi perché queste situazioni qui non le ami nessuno. Siamo in zona con un mese di anticipo rispetto allo scorso anno. "Ad agosto ci sarà gente" avevamo detto. E invece no, Psara, e ancor più Antipsara, restano una terra incontaminata, sospesa nel tempo, in attesa di essere scoperta.
L'isola di Psarà vista dal monte di Antipsarà
In porto a Psarà ci andiamo solo, dopo un periplo dell'isola e una nuova incetta di sassi special edition in un posto segreto, per ritrovare Luciano e Piazza Grande: le nostre strade tornano a incrociarsi a più di un mese dall'ultimo saluto. A bordo con Luciano, due amici. Lui, un altro Luciano, scopro dopo pochi minuti che è una mia vecchia conoscenza. Era un cliente della mia vita pregressa da pubblicitaria.
Fa impressione ritrovarlo qui, in the middle of nowhere, a distanza di 15 anni. Ricordo la sua voce, i suoi commenti gentili in riunione, il suo nome dopo "Alla cortese attenzione di" in testa ai fax che gli mandavo. Le mail erano ancora roba da amministrare con cautela, o forse non c'erano ancora. Una piacevole serata insieme, la promessa di una chiacchierata l'indomani e invece la nostra partenza in sordina poco dopo l'alba per cambiamento delle previsioni meteo.
La duna di sabbia sulla costa sud di Antipsarà
Non voglio dirvi altro di Psara. Perché la sensazione che ho provato a rivederla è la fotocopia sbiadita di quel che ho già vissuto. Per chi vuole, può rileggerla in questo flashback (link Psarà 2012)
Approfitto invece di questo spazio, per una piccola riflessione che da giorni si muoveva nelle stanze spoglie da incombenze del mio cervello.
Una riflessione che ha preso spunto da una conversazione virtuale tra Luigi e Stefano, due colleghi lungo-naviganti. Gli amici condividevano fra loro l'opportunità di privilegiare soste lunghe a quelle brevi per comprendere bene i posti e la gente, sentirsi uno del luogo e non farsi guardare come un turista ma come uno di loro. Premesso che condivido in parte tale spirito, ho sentito però un piccolo tarlo farsi strada dentro di me. Quella parola "turista" così implicitamente considerata in antitesi con la più nobile parola "viaggiatore".
Psili bay e l'isoletta di Kato Nisi
Di rado, quando un tarlo si muove in me, taccio. No, siamo onesti, ben più di rado che di rado. Diciamo che in famiglia possono paragonare il mio tacere a un evento sporadico come l'eclissi totale di sole. Ma tacqui, non intervenni. Segno non tanto della mia gentilezza, quanto del fatto che il tarlo dovevo metabolizzarlo e approfondirlo.
Il problema non è nel termine "turista", né tantomeno nel suo significato originario che è estremamente vicino a quello di "viaggiatore". Il guaio, come sempre, lo ha compiuto l'uomo contemporaneo conferendo a "turista" un'accezione denigratoria da cui prendere le distanze.
Perché, prima ancora del bisogno di esprimere noi stessi, viene l'esigenza di distinguerci dagli altri. Una sciocca attitudine che rivela tutta la nostra fragilità. Creiamo dei cliché e ci rassicuriamo l'un l'altro che - eccezionalmente - noi non ne facciamo parte. Sia chiaro che non voglio esimermi da questa umana debolezza. L'ho fatto anche io, più volte e per semplificazione, di descrivere qualcosa come turistico prendendone, più o meno esplicitamente, le distanze.
Credo solo che sia giusto essere spietatamente sinceri.
Per cui, amici naviganti o viaggiatori in genere: smettiamola di illuderci di non essere turisti agli occhi degli aborigeni. È così che ci vedono e hanno ragione. Siamo turisti per due principali motivi. Non è quello il nostro luogo di nascita e la nostra permanenza in quel luogo significa portare, anche in piccolo, benessere alla comunità locale senza togliere loro risorse. Spendiamo poco, è vero, ma spendiamo. E non siamo solo turisti ma potenziale volano di ulteriore turismo. Non siete d'accordo? Ne volete una dimostrazione? Provate a dire ai vostri amici autoctoni che intendete avviare a casa loro un'attività professionale in diretta concorrenza. Vedrete che vi vorranno un po' meno bene. Ed è sacrosantamente giusto che sia così. Possiamo fermarci un giorno, 10, un mese o un anno in un luogo ma saremo sempre stranieri.
Consoliamoci: l'essenza stessa del viaggiatore e quella di uscire dal noto e dal quotidiano. Di aver sempre voglia di ripartire. Se facciamo diventare casa un luogo straniero, perdiamo la capacità di stupirci e siamo meno in grado di cogliere le peculiarità.
Ma tant'è, il cliché esiste e tanto vale cercare di capirlo e circostanziarlo. Dubito che alla domanda "Sei un turista o un viaggiatore?" qualcuno propenda per la prima. La verita è che ognuno di noi si costruisce le definizioni a propria immagine e somiglianza. Lo faccio anche io, guardate: La differenza tra turista e viaggiatore? Il primo ha un programma, una meta, dei tempi, una rotta. Il secondo lascia che sia la strada a suggerirgli il proseguimento del viaggio. Il primo ha delle aspettative e un metro di giudizio con cui poi, una volta terminato il viaggio, stila una classifica e esprime giudizi in grado di distruggere luoghi. (Quanti ingiusti fallimenti sono figli di quella mostruosità di trip advisor?)
Il secondo non si aspetta nulla, al posto del giudizio, porta nello zaino la curiosità. E quasi sempre dà il merito del bello alle persone e ai luoghi che incontra e le colpe del brutto al proprio stato d'animo.
Visto? Mi sono costruita l'alibi per definirmi un viaggiatore.
P'acá y p'allá incastonata tra Antipsarà, Kato Nisi e Mesiako
Dovremmo invece, secondo me, smetterla con lo snobistico atteggiamento - morettiana memoria - di gloriarci di far parte di una minoranza. Ma, soprattutto, smettiamo di cercare la nostra individualità negli occhi con cui ci guardano gli altri, impariamo a conoscerci da soli senza paura di scoprire in noi tratti comuni e non originali. E, se possibile, mettiamo semplicemente gentilezza e generosità nel nostro sguardo. Innamoriamoci dei luoghi che visitiamo e raccontiamoli con spudorata faziosità.
Ché, diciamocelo, l'obiettività al giorno d'oggi è un valore decisamente sopravvalutato.
Di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
Tratto dal blog di Francesca Carignani P'aca' y P'alla'
Francesca è autrice del libro: ROTTA VERSO L'EGEO Edizioni Il Frangente
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