Norbert Casteret dalle vette alle grotte
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
Perlustrare cavità sotterrane, spesso allagate, è forse tra le attività di esplorazione la più impegnativa sul piano fisico e sul piano psichico. Nuotare nell’incognito della piena oscurità, in acque fredde e limacciose richiede un controllo totale delle proprie emozioni, avendo la propria vita legata ad una fragile corda.
Tra i “padri della moderna speleologia” viene ricordato Norbert Casteret tra i primi a varcare le soglie acquee che separano tra loro complessi sistemi di grotte e laghi sotterranei e a spingersi di grotta in grotta sempre più in profondità.
Esperto alpinista passò, forte della sua esperienza di scalatore delle vette pirenaiche, alla grotta di Montespan ai piedi degli stessi Pirenei francesi poco lontano da Tolosa.
Era il mattino del 19 agosto del 1922 e in piena, incosciente, solitudine effettuò una prima ricognizione della grotta, rivelatasi nel tempo un degli ipogei di maggior interesse sia naturalistico che archeologico. Coraggiosamente si immerse nel primo sifone, ignorandone l’ampiezza, a più di 50 metri dall’ingresso della grotta, e forte della sua notevole capacità respiratoria, lo percorse tutto affiorando nell’oscurità di un antro.
Questa prima ricognizione lo convinse a tornare nel pomeriggio meglio equipaggiato, con più candele e fiammiferi protetti dall’acqua. Superò il primo sifone sino ad una vasta sala con una piccola spiaggia e con flussi di aria fresca provenienti dall’alto.
Aveva percorso circa 180 metri dall’imbocco della grotta, in piena solitudine tra sconosciuti ambienti fatti di nere stalattiti gocciolanti, laghetti d’acqua scura, sabbia e rocce collassate. Affrontò un nuovo sifone superato il quale si ritrovò in un ambiente ancora più vasto. Era a 300 metri dall’ingresso.
Grotta di Tuc d’Audubert. Sculture di bisonti
Ne esplorò gli anfratti, arrampicandosi con difficoltà su grossi massi che si frapponevano al suo percorso. Incontrò girini e rami marcescenti indici di acque fluenti. Si spinse ancora avanti mosso da quell’insondabile desiderio di scoperta, fino all’estremo delle sue energie. Dopo cinque ore tornò allo scoperto nel buio della notte.
L’estate successiva vi ritornò con uno speleologo, Henri Godin, e si spinsero oltre la meta raggiunta l’anno prima. Casteret aveva raccolto scarse prove di presenza umana, tra cui, un dente di “ Bos primigenius” sicuramente portato in quei luoghi da mano umana. Lo spirito di questa seconda esplorazione era fortemente orientato a trovarne conferma.
Nuove e più ampie sale vennero esplorate, ricche di concrezioni calcaree, distese di argilla, lastroni di pietra levigata e stagni di acqua gelata. Fu nell’ultimo ambiente che i due speleologi ebbero la conferma che quello spazio misterioso aveva, millenni prima, rappresentato un luogo sacro per gli uomini preistorici.
Una rozza figura d’argilla evocava un orso, con le zampe protese in avanti a tra queste i resti del suo cranio, il corpo scalfito da colpi propiziatori. Poi alla tremolante luce delle candele comparvero, graffiti o modellati in creta, tigri o leoni, cavalli, bisonti, renne, iene, mammuth oltre a segni magici ed impronte di mani comprese ditate nelle zone di scavo dell’argilla.
Rastrellando a mani nude la sabbia trovarono pietre modellate dall’uomo ed un frammento di osso umano, oltre ad utensili e reperti vari che confermarono la presenza di uomini ed animali. Casteret continuò ad esplorare caverne per molti anni della sua vita narrando le sue esperienze in più di 40 libri, oltre a conferenze e numerosi articoli.
Fabrizio Fattori
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