Le terme romane: idrologia e termologia trionfanti
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
La vocazione all’ozio e al benessere psicofisico che ancora oggi caratterizza, nell’immaginario collettivo più desueto, i popoli mediterranei, si è, in passato, concretizzato materialmente nella realizzazione degli impianti termali che ancora si evidenziano, in rovina, in molte città romane sparpagliate all’interno dei confini dell’ex impero.
Roma naturalmente ne conserva i resti maggiormente monumentali, retaggio di un insieme diffuso che arrivò a contare nel I° secolo a.C. circa 170 impianti pubblici, senza menzionare quelli privati che ammontavano a decine, testimonianza di stutus symbol delle magioni più raffinate. Qualche secolo dopo se ne contavano centinaia come documentato dai “Cataloghi” dei monumenti romani del IV° secolo d.C.
Donne romane nel frigidarium delle terme, da un dipinto di Lawrence Alma-Tadema.
Sviluppatesi dai “balnea” greci divennero in breve tempo più raffinate ed articolate su sempre più vaste dimensioni, per toccare livelli superlativi nelle grandi terme imperiali (11) divenute strumento di prestigio ed ostentazione da parte di imperatori sempre attenti ad avere il massimo consenso popolare.
Anche il culto della fisicità e le pratiche salutari veicolate da medici presenti a Roma già dal I° secolo a.C., come Asclepiade di Prusa, fino a Galeno III° secolo d.C., contribuirono a fare di questi luoghi punto di necessaria frequentazione da parte di una buona parte della popolazione che spesso poteva accedervi a titolo completamente gratuito o pagare una modesta tariffa (“balneaticum”)
Col termine “Thermae” anch’esso derivato dal greco, si giunse ad identificare una classicità architettonica basata su strutture ed ambienti ben definiti, rimasti alquanto immutati nel tempo. Tale canone derivava principalmente dalle Thermae di Nerone del I° secolo d.C. e da successive migliorie del periodo Traianeo.
Di Ursus - Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8393049
Dopo l’ingresso si accedeva all’apodyterium ( spogliatoio), per liberarsi dei panni ed accedere agli ambienti termali del “calidarium” con diverse vasche dotate di acqua calda e fredda. Poi si accedeva al “tepidarium”, tenuto a temperature più miti, e successivamente al “frigidarium” ambiente molto ampio, di tipo basilicale, luogo di freschezza assoluta, dotato di grandi vasche ad acqua fredda e di una “natatio” un’ampia piscina, completamente all’aperto, che consentiva anche il nuoto. Dal “tepidarium” si poteva accedere anche al “laconicum” vera e propria sauna con pavimenti e pareti fortemente riscaldati da intercapedini a vespaio (hipocaustum) ed una umidità superiore al 50%.
Sempre all’aperto si trovava una palestra per i più determinati nella coltura del fisico, con sale massaggi, giardini e luoghi di relax. Altri ambienti completavano l’insieme, come biblioteche, sale riunioni, bagni privati, solarium, posti anche ad un piano elevato. Tutti gli ambienti costituivano un percorso anulare che aveva principio e fine nello spogliatoio, consentendo così di usufruire, in modo ordinato, di quanto presente nelle “Thernae” a più di mille e cinquecento persone alla volta.
Tutti questi ambienti erano suntuosamente decorati da marmi pregiati, statue, colonne, specchi, finestre, vetrate, mosaici e da acque scroscianti che rendevano l’atmosfera unica.
Matrona romana nel Tepidarium, da un dipinto di Lawrence Alma-Tadema.
Un insieme così articolato e frequentato richiedeva grandi quantità di acqua, di legna e di personale servile che garantisse l’efficienza del sistema. I grandi acquedotti che già approvvigionavano Roma d’acqua vennero asserviti, con apposite derivazioni, alle necessità termali e alle sue enormi cisterne e da qui, con apposite tubature in piombo agli ambienti di destinazione d’uso.
I forni posti in prossimità delle zone da riscaldare alimentavano enormi caldaie in bronzo e piombo connesse tra loro da sapienti tubazioni che miravano a garantire diverse temperature e a risparmiare tempo e combustibile. I forni a loro volta venivano alimentati da grandi quantità di legname ammassato in appositi magazzini capaci di un’ampia autonomia. A tutto questo supervedeva un gran numero di schiavi diviso in funzioni, squadre e turni di lavoro.
Aperte sin dal primo pomeriggio (per le donne al mattino) e chiuse al tramonto, le “Thermae” costituivano un importante ed insostituibile luogo di aggregazione aperte a tutti a prescindere dal censo. Dove oltre alla salutare pratica igienica si assolveva anche alla socialità più piacevole: incontrare gli amici, tessere accordi, fare affari ed in ultima istanza rimediare un invito a cena.
Fabrizio Fattori
In copertina le Terme di Caracalla a Roma - Foto di Gianni Crestani da Pixabay
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