Le piene del Tevere a Roma
Fanno parte della storia della Città Eterna
Fanno parte della storia della Città Eterna
Le piene del Tevere hanno fatto parte della storia di Roma per oltre 2600 anni: dalla sua fondazione fino ad oggi.
Probabilmente fu una piena di 28 secoli fa che trascinò la cesta di Romolo e Remo fino al punto in cui vennero trovati dalla lupa e probabilmente il nome dei due eponimi di Roma deriva proprio da Rumon, nome etrusco del Tevere.
La cesta sul Tevere con Romolo e Relo
Soltanto il completamento dell’arginatura del tratto urbano del fiume e di alcuni sbarramenti a monte di esso, avvenuto nel corso del XIX e XX secolo, hanno permesso di controllare le piene del Tevere e di liberare Roma dalla costante minaccia di essere inondata.
Forse più di ogni altra città della sua importanza, Roma è sempre stata frequentemente soggetta ad allagamenti, inondazioni, e a vere e proprie alluvioni catastrofiche causate dal fiume che la attraversa. L’ineluttabilità e l’apparente inevitabilità delle piene, che per millenni hanno colpito e talvolta devastato l’Urbe, secondo Cesare D'Onofrio, hanno contribuito non poco a determinare uno dei caratteri fondamentali dei cittadini di Roma: il cinismo ed il fatalismo che contraddistinguono l’atteggiamento dei Romani nei confronti degli eventi della vita e della storia, piccoli o grandi che siano, e che si esemplifica nel famoso detto “morto un Papa se ne fa 'n'antro”.
Roma - Via Della Fiumara Allagata - Acquarello di Ettore Roesler Franz
I fattori che hanno reso Roma così vulnerabile nei confronti del Tevere sono molteplici, di natura sia idrologica che antropica e spesso sono stati esacerbati dall’evoluzione urbanistica e storica della città. Di seguito si elencano i principali.
Il regime fluviale del Tevere
Il Tevere ha una portata media di circa 240 m3/s, decisamente modesta rispetto ai principali fiumi europei, che però può decuplicarsi in occasione delle maggiori piene; si stima che nella piena del 24 dicembre 1598, la maggiore mai registrata, la portata del fiume abbia raggiunto i 4000 m3/s (la portata media del Nilo è di circa 3000m3/s). In ogni tempo, questa estrema variabilità ha posto le autorità civili di Roma davanti all’alternativa tra separarsi radicalmente dal fiume con muraglioni o vaste aree golenali e accettare il rischio di essere periodicamente inondata. In epoche diverse sono state fatte scelte diverse.
Il Tevere a Nazzano
Il percorso urbano del Tevere
Il Tevere nell’attraversare Roma forma due grandi anse: la prima è compresa tra Ponte Flaminio e Ponte Risorgimento, la seconda, tra Ponte Cavour e l’Isola Tiberina, delimita l’area del Campo Marzio una delle zone di Roma più densamente abitate fino dal termine del periodo repubblicano. La tendenza dei fiumi in piena di “tagliare le anse” ha naturalmente fatto sì che il Tevere in piena si cercasse un percorso attraverso il nucleo urbano della città.
L'ansa del Tevere tra ponte Flaminio e ponte Risorgimento
La pendenza dell’alveo
Il Tevere a Roma è ormai quasi giunto alla foce e la pendenza dell’alveo è ormai modestissima. Si pensi che i punti più bassi di Roma (Il Pantheon è uno di essi) si trovano a circa 12 metri sul livello del mare. Questo fattore, che non favorisce il deflusso delle acque, nel secoli si è aggravato a causa dell’avanzamento della linea di costa, che ha avuto la conseguenza di diminuire ulteriormente la già scarsa pendenza.
Allagamento del Pantheon nel 1937
I ponti
Fino dalle più remote epoche, due ponti in particolare hanno avuto un ruolo nefasto nei confronti delle piene del Tevere a Roma: Ponte Milvio e Ponte Sant'Angelo.
Ponte Milvio, forse il ponte in muratura più antico in assoluto, è stato per duemila anni un ponte extraurbano. È situato circa 3 km a nord di Porta del Popolo e dopo di esso la via Cassia si dirama dalla via Flaminia; in quanto punto d’accesso fondamentale a Roma dal nord ha sempre rivestito notevole importanza commerciale e militare, da Costantino a Garibaldi. Questo ponte venerando è stato però sempre caratterizzato da una luce estremamente scarsa, che in occasione delle piene lo ha trasformato in una vera e propria diga. Le acque del Tevere (da poco ingrossate da quelle dell’Aniene) trovando lo sbarramento rappresentato dal ponte straripavano e, dopo aver percorso la via Flaminia, entravano in Roma da porta del Popolo.
Piena del Tevere a Ponte Milvio
Ponte Sant’Angelo, anticamente ponte Elio, fatto costruire dall’imperatore Adriano come via d’accesso al proprio mausoleo (oggi Castel Sant'Angelo) nel 134, era originariamente dotato di lunghe rampe d’accesso fornite di numerosi archi, che nel corso del medioevo vennero ostruiti dalla costruzione di edifici fin sulla riva del fiume. Un ulteriore peggioramento del ponte dal punto di vista idraulico si ebbe con un restauro rinascimentale, quando furono soppressi gli archi di sfogo originariamente presenti nei due piloni in alveo. Da allora anche Ponte Sant’Angelo, funzionando come diga, ebbe l’effetto di accentuare gli straripamenti a danno del Campo Marzio, che in ogni epoca è stata la zona di Roma più colpita dalle inondazioni.
Piena del Tevere a Ponte Sant'Angelo
Il sistema fognario
Fin dall’epoca dei re tarquini, Roma dispone di un’efficiente rete fognaria. Costruita inizialmente con lo scopo di drenare le vaste zone malariche che circondavano i sette colli, è sempre stata una delle opere emblematiche della civiltà romana. Purtroppo per la città, la caratteristica (rimasta immutata fino alla fine dell’800) delle cloache romane di sboccare direttamente nel fiume le ha rese anche uno dei principali veicoli sfruttati dal Tevere in piena per allagare capillarmente ogni zona del centro, anche senza un vero e proprio straripamento. Una delle zone più colpite dal rigurgito delle fogne è stata quella circostante il Pantheon. Ancora oggi su un lato della chiesa di Santa Maria sopra Minerva si concentra una serie di lapidi in ricordo del livello raggiunto dalle maggiori inondazioni.
Santa maria Sopra Minerva - Le lapidi dei livelli raggiunti dal Tevere nei secoli
Ostacoli al deflusso
Degli 8 ponti presenti al tempo di Costantino (Milvio, Elio, Neroniano, di Valentiniano, Fabricio, Cestio, Senatorio e Sublicio), alla fine del XIV secolo ne rimanevano in piedi solo 5 (Milvio, Elio, Fabricio, Cestio e Senatorio). Le rovine degli altri 3, abbattuti dalle piene o per ragioni difensive, giacevano nel letto del fiume e nel caso del Ponte Neroniano sono ancora visibili un poco a valle di Ponte Vittorio Emanuele II.
Queste rovine, come quelle di centinaia di edifici crollati nel fiume, battelli affondati, molini distrutti e semplici immondizie hanno contribuito nel corso della storia a ostacolare il deflusso delle acque, rendendo sempre più facile lo straripamento del fiume. Bisogna inoltre ricordare i numerosi molini, che fin quasi alla breccia di Porta Pia hanno garantito il fabbisogno di farina di Roma, e che in occasione delle piene tendevano a rompere gli ancoraggi e ad ostruire i fornici dei ponti.
13 dicembre 2008: i battelli disancorati dalla piena ostruiscono la seconda e la quarta arcata del Ponte Sant'Angelo.
Convivenza con le piene
Come si diceva più in alto, Roma ha sempre dovuto convivere con le “intemperanze” del suo fiume, adottando di volta in volta soluzioni completamente diverse.
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