Le navi negriere
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
La schiavitù ha rappresentato nel corso dei secoli una realtà storica ritenuta a lungo una pratica strettamente connessa con le guerre e la sottomissione dei popoli.
Ma è solo dopo la scoperta di nuove terre e nuovi continenti che il fenomeno acquista una rilevanza epocale caratterizzando i secoli dalla metà del XV alla fine del XIX, di un commercio dedicato capace di trasferire milioni di persone (circa 12) da un continente all’altro, sotto l’egida delle potenti monarchie europee, con il beneplacito papale (Niccolò V con la bolla “Dum diversas” del 1452) e attraverso un’imprenditoria armatoriale avida e spietata.
Malgrado l’altissimo numero di perdite (11,9% sul lungo periodo) il commercio risultava particolarmente lucroso e spingeva gli armatori a strutturare imbarcazioni capaci di imbarcare un alto numero di persone, in alcuni casi anche fino ad ottocento esseri umani.
Lo stivaggio degli schiavi in un disegno - Da wikieffe.wikispaces.com
La scoperta di un relitto al largo delle coste danesi ha consentito di ipotizzare un modello di imbarcazione tipica, riscontrato essere simile a modelli in uso in altri paesi, anche se nel tempo ogni paese aveva messo a punto un tipo di imbarcazione massimamente efficiente in relazione al tipo di viaggio/destinazione. Per ridurre i costi al minimo era infatti, necessario abbreviare la durata del viaggio.
A tale scopo vennero destinate imbarcazioni sempre più veloci. Lo scafo era ricoperto di placche di rame per ridurre manutenzione e tempi di sosta e la portata raggiunse in media le 250 tonnellate con una percentuale di trasportati di 1/2 per tonnellata. La funzione doveva essere polivalente, consentire cioè il trasporto di persone ma, nel viaggio di ritorno, capace di imbarcare grandi quantità di merci. Doveva stivare, inoltre, cibo ed acqua a sufficienza.
Calcolando, ad esempio, un bisogno giornaliero di 2,8 litri d’acqua per un carico medio di 600 persone più l’equipaggio di 40/45 persone, occorrevano 140.000 litri di acqua, sufficienti a coprire una viaggio di 2/3 mesi. Acqua che veniva stivata in botti da 1.600 litri poste tra il dritto di prua e la paratia centrale, sotto l’albero maestro. Dietro la paratia veniva conservato anche il cibo.
Stivaggio degli schiavi in una nave negriera - Da www.tes.com
Circa 40 kg a persona sotto forma di biscotti, fave, fagioli, riso, igname, banane,….. Gli alloggi erano ricavati con una serie di interponti, con altezza minima di 1,40 metri dove trovavano sistemazione gli uomini e separatamente le donne e i bambini. La distribuzione migliore era il “testa-piedi” che consentiva di ottimizzare gli spazi. I posti erano larghi circa 45/50 cm e lunghi 1,50/2,00 metri.
I prigionieri venivano incatenati due a due e, dormendo nudi, erano soggetti ad escoriazioni anche se queste erano il danno minore che si poteva ricavare dalla navigazione (dissenteria, febbri e scorbuto minacciavano la vita stessa di tutti a bordo), risultavano visibili a lungo al punto da abbatterne il prezzo al momento della vendita. In caso di tempesta venivano stese delle reti nei sottoponti con lo scopo di limitare i bruschi spostamenti e i conseguenti danneggiamenti fisici. Reti venivano poste fuori bordo per prevenire disperati tentativi di fuga.
Una serie di tavole aguzze separava questi ambienti dal ponte superiore, con l’evidente scopo di difesa da eventuali ribellioni che erano rare e comunque drasticamente represse. L’igene era grossolanamente garantita con controllati, periodici accessi al ponte superiore, lavaggi con acqua di mare, rasature e tonsure.
Gli ambienti venivano disinfettati con aceto o fumi di polvere da sparo. Le condizioni risultavono assolutamente disumane e malgrado questo tale ignobile commercio continuò ad essere illegalmente praticato per molto tempo dopo la sua abolizione e ancora oggi non risulta completamente scomparso.
Immagine di copertina da: cedocsv.blogspot.com
Fabrizio fattori
Leggi anche: La tratta degli schiavi nell'800
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