Lo stereotipo del pirata si colloca prevalentemente nei mari caraibici al comando di torme variopinte di sanguinari assalitori di convogli con l’unico obiettivo lo smodato accaparramento di monete, gioielli e metalli preziosi, anche se erano pronti a mettersi al servizio di cause più nobili se solo ne fosse derivato altrettanto vantaggio.
Ma, come noto, il fenomeno ha interessato, attraverso i secoli, tutti i mari navigabili che presentassero una qualche occasione di arricchimento.
La lega anseatica aveva reso in poco tempo tutta l’area tra mare del Nord e Baltico e le relative coste assai attiva dal punto di vista economico. Intensi traffici movimentavano cospicue ricchezze tali da interessare quanti le ritenessero facili prede. Il nome di Klaus Stortebeker viene inizialmente assimilato all’assedio di Stoccolma (1392) da parte dei Danesi in lotta di successione e in quelle circostanze, insieme ad altri nobili tedeschi, provvide al rifornimento della città assediata con tale zelo al punto che venne loro attribuito il nome di “Vitalienbruder” ovvero fratelli delle vettovaglie.
Al termine, estinta la “lettera di corsa” che autorizzava ad operare in nome della Svezia, i nobili tedeschi si dedicarono alla pirateria più tradizionale. I vascelli anseatici venivano regolarmente depredati e gli ingenti bottini distribuiti equamente (likedeelers) tra di loro e tra i poveri delle coste germaniche, quasi novelli benefattori dei più diseredati. Questa loro attitudine contribuì ad alimentare leggende, iniziando dal suo nome o sopranome “Störtebeker”, “scolatore di enormi boccali” che ben rende l’idea della tempra di questo capo il cui motto da battaglia era “Amico di Dio e nemico dell’intero mondo”.
Le attività piratesche della sua banda durarono sino al 1401 quando vennero catturati e tradotti ad Amburgo per il processo, grazie al tradimento di uno di loro che sabotando il timone della nave ne impedì la fuga. Non valse l’offerta di una catena d’oro lunga quanto le mura della città a recuperare la libertà e l’esito del processo fu la decapitazione per tutti. In un ultimo slancio di generosità Stortebeker negoziò la possibilità di salvare la vita dei suoi compagni in numero pari ai passi che avrebbe compiuto ad esecuzione eseguita.
Una folla enorme vide il corpo senza testa del pirata compiere undici passi per poi tracollare a terra sgambettato dal boia, che su ordine dei giudici immemori della promessa tornò a compiere il suo dovere decollando tutti i pirati rimanenti. Le teste vennero impilate a monito come era in uso in quei tempi e fu un cranio impilato che venne ritrovato, alla fine del XIX secolo, sull’isola di Grasbrook nel centro del fiume Elba, dove erano avvenute nel corso dei secoli le esecuzioni capitali, a ipotizzare che proprio quella testa fosse del pirata anche se non se ne ebbe mai certezza.
Una ricostruzione venne eseguita sul teschio e Klaus Störtebeker riprese forma in tutta la sua ferocia espressiva e a lungo farà mostra di se quale pezzo forte del museo storico di Amburgo
Fabrizio Fattori
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