Islanda, una saga infinita
di Fabrizio Fattori

di Fabrizio Fattori
Spesso il termine colonizzare apre a scenari di usurpazioni territoriali, ad assimilazione o scomparsa di antiche culture, o a veri e propri genocidi più o meno programmati. Sono poche infatti quelle terre che apparivano vergini all’arrivo di nuovi insediamenti.
Sicuramente l’estrema posizione settentrionale nell’oceano Atlantico e conseguentemente l’estrema rigidità del clima ha permesso all’Islanda, “terra ghiacciata”, di rimanere incorrotta fino al IX secolo. La sua casuale scoperta da parte di un colono delle isole Fær Øer portato fuori rotta da una delle frequenti burrasche, cui seguirono altri sporadici contatti da parte di marinai guerrieri provenienti dal mare del Nord furono oggetto delle saghe che per secoli hanno caratterizzato la cultura islandese.
Così come la storia di Ingólfur Arnarson che fu il primo a creare un insediamento con il benestare divino. Le saghe narrano che egli in prossimità della costa gettò in mare i pilastri del suo seggio, finemente intagliati con le divinità della sua terra. Tali pilastri simboleggiavano l’autorità patriarcale e rappresentavano il legame con l’origine norrena. I pilastri toccarono terra in quella che divenne poi Reykjavik o “baia di fumo”, nebbiosità dovuta al vapore delle sue sorgenti termali.
Flateyjarbok Haraldr Halfdan - Re Harald riceve la Norvegia dalle mani del padre
Questo primo insediamento riuscì a sopravvivere alle difficoltà climatiche alla scarsità delle terre coltivabili o da destinare al pascolo di pecore, e alla fortuita e a volte casuale attività di pesca alle balene o ai trichechi e successivamente al commercio di zolfo, dei tessuti di lana pesante o degli apprezzati falconi da caccia, ma soprattutto grazie alla grande quantità di merci che gli “Knorr”, le loro capienti imbarcazioni, riuscivano a trasportare durante i seguenti ripetuti viaggi .
Ma quello che spinse queste popolazioni a rimanere sull’isola fu il desiderio di sottrarsi al duro regime del sovrano norvegese Harald Harfager e dare vita ad una comunità in piena autonomia pur riconoscendo una vaga autorità al re norvegese. Una proto repubblica con tanto di parlamento (alping) che in riunione periodica stabiliva leggi e regolamenti.
La comunità, che in breve raggiunse diverse migliaia di persone, aveva diverse origini, non solo norrene, ma anche vichinghe e celtiche, che in relativamente poco tempo lasciarono il paganesimo ed abbracciarono la cristianità (XI° sec.), per altro già presente sull’isola con i primi monaci eremiti irlandesi, anche se la transizione comportò un lungo periodo di ambiguità celebrativa. (Battesimo obbligatorio ma possibilità di adorare dei pagani)
Questo periodo non fu scevro di conflitti legati sia all’ambito religioso o alla conquista di posizioni di potere tra i vari “Gooar” (espressione di potentati locali) dove faide e violenze contribuirono ad alimentare e rinvigorire la tradizione narrativa di quella cultura.
Le saghe presero forma più o meno definitiva verso il XIII° secolo e molte ebbero per cardine il mare e tutto ciò che a esso veniva connesso dalla vita degli islandesi e agli impegnativi viaggi di scambio con la Norvegia. “La saga di Egill” (inizio XIII° secolo) è ricca di storie dove navigazioni avventurose imprese predatorie, scoperta di tesori, sovrani dispotici e nobili guerrieri si intrecciano in un insieme quanto mai fantastico ed affascinante.
Fabrizio Fattori
In copertina foto di David Mark da Pixabay
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