Il relitto di Uluburun: una storia mediterranea
di Fabrizio Fattori

di Fabrizio Fattori
Al largo delle coste turche, nell’estate del 1982, un pescatore di spugne segnalò all’Istituto Archeologico locale, come spesso accadeva, i resti di una imbarcazione e del suo strano carico.
La datazione effettuata con il metodo della dendrocronologia su un piccolo frammento ligneo la collocò intorno al 1350 a.C. nella tarda età del bronzo (XIV sec. a.C.).
Le campagne di scavo che si susseguirono per oltre dieci anni, per un totale di oltre ventimila immersioni, riportarono alla luce la storia di un naufragio tra i più antichi in assoluto riscontrati nell’area, con una ricchezza e varietà del carico ineguagliabili.
Il carico della nave Uluburun sul fondale turco. Foto da Institute of Nautical Archaeology
L’imbarcazione lunga oltre 15 metri con il suo eterogeneo carico di merci al suo interno testimoniarono la ricchezza e l’intensità degli scambi commerciali nell’area mediterranea intesa anche come terminale di più vaste aree sub africane, medio orientali e nord europee.
Tra le merci primeggiavano i metalli come il rame, fuso nella tipica forma a pelle di bue, che tra l’altro ne facilitava il trasporto a spalla, ma anche stagno, bronzo e metalli preziosi come oro ed argento, prevalentemente sotto forma di armi, utensili e gioielli; ceramiche di varie provenienza in forma di vasi ed anfore contenenti ancora tracce di resine, olio, fichi, melograni e cereali.
Tra gli oggetti in oro primeggiava uno scarabeo recante il nome di Nefertiti, insieme a bracciali e collane in ambra, quarzo, corniola e agata; strumenti musicali, carapaci di tartaruga destinati a divenire casse armoniche, zanne di elefante, denti di ippopotamo e uova di struzzo, una statuetta del dio Bes probabilmente protettore della nave, lingotti di vetro, oltre ad un numero considerevole di ancore dalle fogge estranee alle aree dell’Egeo.
Uno spaccato di ciò che poteva contenere la nave Uluburun completamente carica. Immagine da The Maritime History Podcast
Dall’analisi dei materiali recuperati e dal corredo dei naviganti è stata ipotizzata una probabile rotta che da Micene passando per Creta costeggiava le coste medio orientali per arrivare a Cipro o forse Rodi per proseguire poi con nuovo carico verso i porti dell’area.
Stante la grande quantità di metallo contenuto nella stiva, con buona probabilità destinato alla fusione di armi e conseguentemente ad armare un esercito, si ipotizza che quel viaggio fosse non solo di tipo squisitamente commerciale ma fosse destinato, in qualche modo, a confermare alleanze ed accordi diplomatici.
Ora gli oltre 18.000 reperti catalogati, nonché la ricostruzione dell’imbarcazione sono permanentemente esposti nel Museo Navale di Bodrum. Inoltre è stata posta in fondo al mare uma replica dell'imbarcazione per la curiosità dei subacquei.
Fabrizio Fattori
Foto di copertina da Ancient Origins la replica dell'Uluburun
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