I Genovesi ed una interessante forzatura dei profitti
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
I genovesi sono da sempre considerati abili finanzieri, negoziatori e commercianti. Qualità che in passato hanno determinato la fortuna e la sfortuna delle ricchezze delle loro famiglie più rappresentative e conseguentemente della stessa Repubblica.
Verso la metà del XVII secolo si creò una insperata occasione di guadagno completamente diversa dalle tradizionali leggi del commercio. La Francia di Luigi XIV aveva coniato, in quegli anni, una moneta d’argento i cui sottomultipli, denominati “Luigini”, monete d’argento di 2,5 grammi, suscitarono un inconsueto interesse nelle aree mediterranee ed in specie in Turchia.
La lucente bellezza dell’argento con cui erano realizzati determinò la richiesta di questa moneta da parte di un mercato affatto finanziario. Infatti le donne turche le utilizzavano per farsene gioielli e come d’uso la vanità femminile determinò in poco tempo una alterazione dell’usuale cambio. Questo insperato mercato aprì le porte dapprima ad una produzione francese via via sempre più alterata, per quanto ufficiale, ma successivamente chiunque avesse in qualche modo la legittimità di coniare moneta si inserì nel nuovo profittevole ambito producendo veri e propri falsi.
Era questo il caso di alcuni marchesati legati alla Repubblica Genovese ma al tempo stesso svincolati dalle restrizioni imposte da Genova e quindi completamente autonomi nella produzione illegittima di moneta. Questi privilegi feudali permisero di inondare la Turchia di milioni di pezzi finiti ad adornare le bellezze locali, scarsamente attente al valore monetario ma ampiamente soddisfatte dalla possibilità di ostentare gioielli divenuti un vero “status symbol”.
I Malaspina, i Cibo, i Grimaldi, gli Spinola e le altre famiglie detentrici dei diritti di conio si arricchirono ulteriormente da questa opportunità, alterando progressivamente e scandalosamente la percentuale d’argento presente nelle monete. Tutti volevano i “Luigini”, gli stessi soldati Turchi reclamavano la loro paga in quella ormai scadente moneta. La babele monetaria che ne derivò incominciò, in capo ad alcuni anni, a preoccupare la Francia di fatto l’unica legittimata al conio legale, che rese obbligatoria la verifica della percentuale d’argento in ogni porto di arrivo delle monete, garantendone così il valore e legittimandone la circolazione monetaria.
Questo per garantire, in particolar modo, i commerci internazionali ed in specie quelli inglesi che esportavano in Turchia più di quanto importassero e avevano, quindi, la necessità concreta di sapere con che cosa le loro merci venivano pagate. Lo scandalo scoppiò inevitabile nel momento in cui ci si rese conto che la quantità circolante di “Luigini” falsi era ancora enorme malgrado gli interventi della Francia, che venne comunque accusata, insieme alla Turchia di falsità.
Alla luce delle rilevanti tensioni internazionali Francia, Turchia e Genova intervennero rigidamente per contrastare con severità tale anomalo commercio. In Turchia ci furono amputazioni di mani e di gambe nonché impalamenti e altre esemplari condanne in Francia. Ma a Genova, o meglio nei marchesati indipendenti il fenomeno non si affievolì, anzi molti trafficanti, impossibilitati altrove, si unirono nell’attività incrementandone i flussi produttivi. Inevitabilmente Genova, suo malgrado si trovò al centro di una condanna internazionale dove Francia, Venezia e Firenze miravano a fiaccarne la fama e l’economia.
Ma la stessa consapevolezza, ormai diffusa nelle popolazioni, di inaffidabilità della moneta creò una grave crisi di liquidità e di iniqua inflazione in Turchia dove il Sultano intervenne rigidamente, non più con esemplari condanne dei trafficanti e dei possessori, ma con una campagna di legittimazione e tutela delle monete buone e una fusione inesorabile delle cattive, ristabilendo così ordine nella circolazione monetaria di tutta l’area mediterranea.
Fabrizio Fattori
In copertina Norbert Roëttiers (moneta)Carlomorino (scansione), CC BY-SA 3.0
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