Fluctuat nec mergitur
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
Questa locuzione latina, simbolo di Parigi, compare nello stemma cittadino insieme all’immagine di un’imbarcazione (Scilicet) che sbattuta dalle onde, resistendovi, raggiungerà, con certezza, un porto sicuro.
E’ quanto in queste ore il mondo intero si chiede e spera, di fronte alla tragedia del rogo di Notre Dame, che al di la del valore storico ed artistico è da secoli non solo un simbolo della città e della nazione francese ma un’icona dell’intero mondo cristiano. Sui lungosenna buona parte del mondo guarda attonito quanto accade, molti con le lacrime agli occhi, impotenti ed increduli.
La stessa impotenza ed incredulità che frustra il valore e l’abnegazione delle centinaia di vigili del fuoco che hanno fatto il possibile con i loro mezzi rivelatesi insufficienti per una tragedia così enorme.
Secoli di storia religiosa, artistica e politica carbonizzati da un rogo il cui divenire, in diretta mediatica, ha coinvolto milioni di persone in tutto il mondo, affratellandolo in uno schock emotivo che forse solo quanto accaduto a New York l’undici settembre del 2001 era riuscito a fare.
Quanta similitudine tra il crollo delle torri gemelle e il crollo della guglia centrale della cattedrale francese, nella speranza che la causa non sia la medesima, quell’oscurantismo ideologico-religioso che ha da sempre visto nelle torri il simbolismo di un potere da abbattere.
Al momento tra le varie cause, quest’ultimo sembra escluso, anche se questo evento ha suscitato, in recondite parti del mondo e dell’animo umano, entusiasmo.
Solo le successive indagini nella navata calcinata ed incenerita tenteranno di capirne la vera causa, per quel che possa servire, magari solo per dar luogo e dispute giudiziarie e a una definizione economica di un danno che non ha in assoluto un valore quantificabile.
Ore di lotta hanno riportato alla certezza che le strutture principali, se pur danneggiate, abbiano resistito al fuoco e si parla già di ricostruzione. Rifarla tale e quale a prima sembra un imperativo imprescindibile.
Ma forse avrebbe senso affidare il progetto ad un qualche “archistar”, come già si son visti all’opera nella città, che ne ricostruisca il ventre devastato con quella pietas architettonica che nello stridere estetico testimoni l’accaduto e denunci nel tempo la superficialità, l’incompetenza ed il pressappochismo di chi non ha avuto cura di un bene così prezioso per l’intera umanità.
Fabrizio Fattori
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