Bacicio do Tin: il corsaro di Portovenere. AD 1785
di Sailoraldo
di Sailoraldo
Oggi Portovenere è un’attrazione turistica di fama mondiale. Un paesino spezzino tipico della costa ligure caratterizzato dalla sua colorata cornice di case arroccate che si affacciano sull’alto Mar Tirreno, all’inizio delle Cinque Terre. Un angolo di storia affascinante, romantico, fatto di spiaggette, ristoranti, aperitivi e delicata vita notturna che rendono gradevole il soggiorno di chiunque abbia a cuore il verde, il mare, il cibo e le tradizioni locali.
Non tutti però sanno che lì, proprio dove oggi ormeggiano i traghetti per i turisti, lì, su quella costa affollata di gente in pantaloncini corti e giapponesi con i loro ombrellini parasole, si sono avvicendati viaggiatori erranti, mercanti, corsari e dove si sono combattute spietate battaglie con le flotte inglesi dell’ammiraglio Nelson.
Questo è quanto si racconta nell’affascinante libro di Alberto Cavanna che per la casa editrice Mursia ha scritto la storia del corsaro spezzino da cui ho tratto ispirazione e che spero possa esserlo altrettanto per voi.
E’ il 1785.
Bacicio- Foto tratta dal libro di Cavanna: Bacicio do Tin |
Nasce Giovan Battista Caviciòli, alias Baccan Giobatta Cavacciuoli, alias Son Excellence Jean Baptiste de Cavisiòl, premier Comte de l’Ille du Thin, universalmente noto come Bacicio do Tin. Grande marinaio, spericolato corsaro e nell’ultimo periodo della sua avventurosissima vita spietato assassino.
In Francia scoppia la Rivoluzione Francese, Napoleone è ufficiale di artiglieria nonché generale, che dieci anni dopo comanderà l’Armata d’Italia contro le potenze monarchiche europee dell’Antico regime. I Borboni governano il Regno delle Due Sicilie e la Lombardia è sotto il Governo austriaco.
La Spezia, Portovenere e Lerici non vivono periodi floridi sotto la Serenissima Repubblica di Genova ormai in decadimento ed i Savoia si occupano della questione francese, non fosse altro che per la vicinanza. Per le tre cittadine liguri quello che conta quindi è il mare e le sue storie, quelle che permettono loro di sopravvivere.
A quel tempo era notoriamente risaputo che le varie nazioni proteggessero o finanziassero più o meno apertamente il naviglio corsaro: i Francesi contro Inglesi e Savoia; i Savoia contro Genovesi e Francesi; i Genovesi contro chiunque purché pagassero; gli Inglesi contro tutti. Completavano il quadro algerini e tunisini.
Il golfo di Spezia alla fine del XVIII secolo è dunque un po’ la terra di nessuno, dove i piemontesi si contendono lo sbocco sul mare con i genovesi e dove inglesi e francesi se le danno di santa ragione. Fare il corsaro in questo momento dunque è un buon modo per fare cassa o per lo meno, lo è per chi è dotato di una certa “pelliccia” sullo stomaco, come li descrive lo scrittore.
Siamo a Portovenere di fine settecento, le ombre delle lanterne disegnano sui muri profili di personaggi bizzarri, spettinati e squattrinati, vestiti si fa per dire con abiti improvvisati, in un mondo in repentino cambiamento. Tra incredibili ricchezze e disastrosa povertà, tra le vie di città nate sulle rive di un mare sporco di sangue ma che offre loro l’unica speranza di sopravvivenza.
E’ in questo contesto storico che comincia la carriera navale del piccolo Giovan Battista, orfano di madre, cresciuto in una famiglia di marinai non propriamente dotati di fortune finanziarie ma che offre lui gli strumenti necessari per fare dell’arte marinaresca uno strumento di sussistenza anche se con il tempo, con uno stile non propriamente civile.
Il giovane marinaio ha un’aria un po’ goffa, introverso, scorbutico ma in fatto di navi e di mare fin dalla giovane età dimostra decisamente di saperne più di chiunque altro. Conosce ogni anfratto, refolo o rifiuto di vento delle coste del Mar Tirreno e con le barche si fa le ossa lavorando nei cantieri della zona.
Napoleone sta reclutando ovunque navi e marinai per contrastare l’azione delle flotte inglesi ed ovviamente, date le sue ormai famose doti marinare e di carpentiere, ci mette poco ad essere notato e coinvolto.
Assieme al Giastéma, un segantino spezzino che rimase suo fedele amico e compagno di ventura per il resto della vita, cominciarono la loro ascesa imbarcandosi su uno sciabecco di proprietà di facoltosi costruttori di navi dalle linee filanti ed aggressive, più di qualsiasi altra nave costruita a quel tempo. Uno in particolare, che venne battezzato Lanpo, proprio in virtù delle sue caratteristiche e che diverrà leggendario assieme al suo unico vero comandante: Bacicio. 48 metri fuori tutto, 2,55 metri di pescaggio, un baglio di poco più di 8 metri ed una superficie velica di quasi 700 metri quadri, con un albero maestro alto più di 22 metri.
Lanpo
Al comando di questa vera e propria nave da corsa, raccolsero i favori di alcuni nobili al servizio dell’Impero, lavorando più o meno coscientemente al servizio di una Francia in cerca di conquiste in qualità di corsari, tra micidiali cannonate in lungo e in largo nel Mare Nostrum, da Napoli alla Corsica, da Marsiglia alle Baleari e più in là, oltre le colonne d’Ercole, in Atlantico, combattendo le navi battenti la Union Jack e quelle portoghesi, depredando ogni nave a loro di supporto cariche di frutta, verdure, bestiame, baccalà ed ogni altro servisse per dare supporto alle fregate impegnate a largo, rendendole quindi inoffensive. Oltre ovviamente a danneggiare il commercio con il quale le flotte si garantivano la sussistenza bellica.
Di porto in porto, di locanda in locanda, tra storie d’amore e fantasia, guerre e viaggi alla scoperta della propria natura, Bacicio con il tempo si arricchisce a tal punto da acquisire il titolo nobiliare di Conte, divenendo proprietario del castello sull'isola del Tino nel quale si esilierà, allontanato però dalla vera nobiltà che ovviamente non lo gradiva. Ovviamente, perché le pratiche corsare erano riconosciute legalmente dal sistema ma che lui fece sue, divenendo Baciccia ou ladroun, per dirla alla genovese.
Sulla via del declino avrebbe potuto cedere le sue “glorie” mantenendo “l’onore al merito” ma non fu così. Chi avesse incontrato Bacicio nei suoi ultimi anni di vita difficilmente avrebbe riconosciuto in lui il ragazzo goffo, vivace e curioso dei tempi del gozzo genovese di famiglia. Un viso invece segnato dalle scelleratezze che commise per sfuggire alle autorità, per mantenere le sue ricchezze. Ingrassato, con un orribile aspetto, sciatto e trasandato: silenzioso e sornione, diffidente di tutti e sempre ubriaco. Ricercato dalla polizia di 6 nazioni.
Il Lanpo affondò a largo di Portovenere, di fronte le scogliere delle Nere e delle Rosse in un violento scontro con la fregata inglese del contrammiraglio Boldman. La notte del 18 gennaio 1817 Bacicio venne catturato dai Reali Carabinieri di Riccò del Golfo e incarcerato a Genova con innumerevoli condanne: dalla truffa all’omicidio plurimo, strage, pirateria e decine di altri capi di accusa, persino spargimento di feci non autorizzate.
Bacicio, un marinaio di nascita, corsaro per necessità e pirata per disperazione, reo di essere nato umile e semplice, vittima di un sistema o carnefice per natura?
Fu impiccato a Portovenere il 9 marzo del 1817. Aveva trentun anni. Il suo tesoro non fu mai ritrovato e da quel momento, iniziò la leggenda.
Una storia affascinante da leggere tutta d’un fiato, quella di un piccolo e apparentemente insignificante omino delle rive spezzine che sarà invece il più terribile e sanguinario corsaro della storia di Portovenere.
Se sia poi frutto della fantasia dello scrittore o che ponga al contrario le sue radici su documenti storici reali beh, lascio a voi la libertà di scoprirlo leggendo il libro di Alberto Cavanna: Bacicio do Tin, corsaro dell’Imperatore e pirata in Alto Tirreno.
Sailoraldo
Tratto da: saidisale.com
Nella foto in copertina, un disegno di Domenico Cambiaso, dalla Collezione del Comune di Genova. Tratto dal sito di Paolo Noceti.
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