Siamo sicuri che regionalizzare porti e logistica sia una buona idea ?
di Nicola Silenti
di Nicola Silenti
Una legge dai risvolti imprevedibili e dalle conseguenze indecifrabili per interi territori e settori cruciali della nostra economia come quello dei porti e della logistica.
La legge numero 86 del 26 giugno 2024 sulla cosiddetta “Autonomia differenziata” delle regioni a statuto ordinario (ai sensi del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione) non smette di far discutere.
L’ultimo a segnalare le possibili criticità del provvedimento è stato il Presidente di Federlogistica Luigi Merlo che proprio sul versante della logistica ha denunciato di recente quale problema principale «l’assenza di pianificazione e la trasformazione quasi generalizzata di intere aree industriali e agricole in poli logistici, senza valutare condizioni essenziali come i mercati di riferimento, il livello delle infrastrutture, le valutazioni del mercato, le esigenze della portualità e quelle dell’e-commerce».
Perplessità, quelle di Merlo, condivise dai tanti addetti ai lavori che lamentano le numerose occasioni mancate e il debole utilizzo delle enormi potenzialità del sistema portuale, specie nel Meridione, in un quadro finanziario e normativo di riferimento che vede il prossimo utilizzo delle risorse pubbliche sospeso in un limbo indefinito dall’autonomia differenziata.
Stessi identici dubbi agitano il comparto dei porti, minati dalla legge 86 proprio nel momento storico cruciale in cui diversi scali pugliesi, siciliani e calabresi si candidano a diventare importanti hub logistici per gli impianti a energia eolica.
Il grande timore di Merlo e tanti addetti ai lavori è che, davanti a processi e decisioni di portata globale che spingono in una direzione ben precisa i players mondiali, l’Italia finisca col soccombere a una concorrenza planetaria spietata per il ritorno alle vecchie e perdenti logiche dei piccoli localismi nostrani.
Di certo la spada di Damocle dell’autonomia differenziata solleva più di una perplessità alla vigilia della tanto attesa riforma della legge portuale, una riforma che avrebbe il dovere di garantire pari strumenti e pari risorse a porti, situati in territori diversi, per offrire servizi competitivi agli stessi mercati.
Analoghe incertezze poi agitano i sonni di chi si domanda come sarà possibile garantire criteri di omogeneità tra i piani regolatori portuali delle varie realtà regionali e financo cosa accadrà con i presidenti di Autorità di Sistema Portuale (al momento nominati da Governo e Regioni).
''In un mondo in continua e rapidissima trasformazione «i porti oggi sono luoghi di conoscenza, tecnologia e sicurezza» afferma Luigi Merlo: ''luoghi votati all’applicazione dell’intelligenza artificiale, della cybersicurezza, all’utilizzo dei droni subacquei a supporto delle attività di monitoraggio''.
Un universo di scienza e conoscenza che non può essere demandato alla programmazione delle singole realtà regionali, e che invece richiederebbe una programmazione portuale unica. Una programmazione unica che può garantire soltanto l’istituzione naturale preposta, quella che hanno indicato con chiarezza i cittadini alle ultime elezioni: il governo centrale.
Nicola Silenti
In copertina foto da DEPOSITPHOTOS
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