La grande avventura del San Giorgio. Un episodio poco noto della storia della Marina
di Enrico Cernuschi

di Enrico Cernuschi
Le navi hanno un nome e un’anima. Spesso le tre cose (nave, nome e anima) coincidono. Un celebre caso è quello del San Giorgio, veterano di tutte le guerre italiane dall’epoca dell’entrata in servizio, nel 1910, alla difesa di Tobruk nel 1940-1941. Libri, articoli e documentari furono dedicati a quella nave, da allora fino a oggi. In teoria, quindi, si sa tutto sul San Giorgio. Manca però un tassello. Un piccolo dettaglio di appena 364 tonnellate di stazza.
Il nome San Giorgio fu infatti portato, in quegli anni, anche da un piroscafetto della Società Anonima di Navigazione a vapore Istria varato nel 1914 e iscritto, dal 12 maggio 1940, nei ruoli del Naviglio Ausiliario dello Stato con la caratteristica F. 95. Ma con un nome e un patrono del genere non ci si poteva mica limitare ai pur dignitosissimi compiti del pilotaggio.
E infatti, ecco che nell’aprile 1941, data la mancanza, o quasi, di navi da guerra italiane in Alto Adriatico al momento della guerra con la Jugoslavia, la nostra vedetta passa in prima linea col proprio cannone prodiero da 57/43 (era un pezzo del 1887, un’annata evidentemente ottima per i cannoni). Imbarcato, da buon vaporetto, un plotone da sbarco di marinai, il nostro andò a occupare, sparacchiando qua e là quando era necessario, più di un’isola in Dalmazia per due settimane di fila. Nel 1942 diventò poi un posamine, imbarcando una dozzina di armi per volta da posare, tra un pattugliamento e l’altro, nei canali dell’arcipelago. Mestiere pericoloso, certamente, ma non più di quello di tante altre navi e dei loro uomini di quei tempi o nel corso di ogni guerra. Questo almeno, fino alle ore 17.25 del 18 febbraio 1943.
In quel momento, come registra il Diario di Supermarina, qualcuno nella Sala operativa (il progenitore dell’attuale CINCNAV, a Santa Rosa) credette di aver capito male. Il messaggio, trasmesso in chiaro, diceva “Avvistato e attaccato il nemico, nave San Giorgio combatte”. Il vecchio incrociatore era affondato più di due anni prima. Seguì, pochi minuti dopo, un altro marconigramma, trasmesso precedentemente in codice e appena decifrato: “45° 02N 13° 35 E (a sud di Capo Promontore, in Istria, n.d.a.) attaccato da Smg. con lancio di un siluro che passa sotto lo scafo senza esplodere. Lancio bombe di profondità”. Le bombe disponibili erano solo 4, ma la reazione della nave italiana lanciata a tutta velocità (in verità, 10 nodi) risalendo la scia del siluro era stata rapida e precisa. Avvistato il pur sottile periscopio d’attacco, il San Giorgio tirò contro quel bersaglio 3 colpi col pezzo di prora. Poco dopo il battello avversario, l’inglese Thunderbolt, emerse. Nel rapporto di missione del comandante britannico si afferma di aver lanciato, da meno di 500 metri, contro una corvetta.
Come promozione su campo non c’era male per quel piroscafetto. Le notizie inglesi affermano poi che il sommergibile, sottoposto alla caccia antisom avversaria, emerse per “attaccare” la nave italiana. Peccato che la distanza iniziale tra le due navi fosse di 5.500 yard per poi salire, nel corso di un quarto d’ora, a oltre 8.000 tra il battello che filava a 17 nodi e il vaporetto che lo incalzava a, sì e no, 11 producendo un gran fumo nero con la propria vecchia macchina a triplice espansione alimentata a carbone e i fochisti che spalavano e sudavano come dannati. Le proporzioni tra il battello inglese, da 1.326 tonnellate e lungo 84 metri fuori tutto, e i 38 metri del San Giorgio erano le stesse della lancia del comandante Achab contro Moby Dick.
Il duello tra il cannone da 102 mm inglese, il quale tirò 66 granate in risposta al fuoco del 57 italiano (32 proietti sparati in quella fase) non produsse danni reciproci, come rilevò subito, e onestamente, il rapporto di missione italiano. I britannici scrissero, invece, di aver messo a segno diversi colpi sul bersaglio, probabilmente ingannati dalla densa nuvola di fumo che usciva dal fumaiolo della nave. Alla fine, riparate le avarie minori riportate quando era in immersione, il Thunderbolt, visto che la luce stava calando (due to the failing light) ed essendo ormai in una zona di fondali sufficienti, pensò bene di immergersi e allontanarsi. Probabilmente lo spirito di San Giorgio, patrono di Genova, non volle infierire.
Il Thunderbolt fu poi affondato, il 12 marzo 1943, davanti a Capo San Vito, in Sicilia, dalla corvetta italiana Cicogna. Il San Giorgio continuò la propria guerra in Adriatico. Naufragò, nel corso di una violenta mareggiata, il 12 febbraio 1944 alle foci del Po. Recuperato dopo la fine del conflitto riprese a navigare sotto le consuete vesti civili di onesta nave da carico misto dal passato insospettabile. Il santo, come sempre marinaio in pectore, passò poi la mano a un bel caccia conduttore entrato in servizio nel 1955 e, nel 1987, all’attuale nave d’assalto anfibio. C’è poco da fare: il motto Arremba San Zorzo è una questione di anima, di nave e di santo guerriero, tutti insieme in ogni tempo e in ogni età, senza questioni di taglia.
Enrico Cernuschi
Tratto dal Notiziario della Marina
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