A Stromboli l’origine di tre grandi tsunami di epoca medievale
di Andrea Piazza
di Andrea Piazza
«Non si può pingere con pennello, né scrivere con parole quella, ch’io vidi jeri, la qual vince ogni stile, cosa unica ed inaudita in tutte l’età del mondo (…)»
Era il 1343 e con queste parole Francesco Petrarca iniziava a raccontare la sconvolgente testimonianza di una tempesta che distrusse il porto di Napoli. In realtà non si trattava di un forte episodio di maltempo, ma di uno dei tre grandi tsunami provocati dal collasso di materiale vulcanico dello Stromboli come evidenziano i risultati di un recente studio a firma un team internazionale composto da vulcanologi e archeologi.
Stromboli come sorgente tsnuamigenica
La ricerca ha rivelato che gli tsunami furono prodotti da crolli improvvisi del fianco nord-occidentale del vulcano di Stromboli e che si abbatterono sulle coste campane fra la metà del Trecento e del Quattrocento come testimoniano le cronache dell’epoca. Il principale dei tre eventi, avvenuto nel 1343, è infatti quasi certamente riconducibile alla grave devastazione dei porti di Napoli ed Amalfi di cui fu testimone Francesco Petrarca che si trovava nella città partenopea come ambasciatore di Papa Clemente VI e che racconta in una lettera di una misteriosa quanto violenta tempesta che il 25 novembre provocò moltissime vittime e l’affondamento di numerose navi. Il lavoro interdisciplinare degli studiosi ha permesso di risalire all’isola di Stromboli quale sorgente delle onde di maremoto. «Nella primavera del 2016 – racconta Mauro Rosi – decisi di andare a Stromboli perché avevo in mente un’idea nata dall’aver letto una lettera di Petrarca che parlava di una strana tempesta accaduta a Napoli. Fatti i primi saggi, portammo subito alla luce dei depositi ‘sospetti’, caso volle poi che nella stessa occasione entrassi in contatto la professoressa Sara Levi dell’Università di Modena-Reggio Emilia che dal 2009 guida una campagna di scavi a Stromboli».
Il lavoro di ricerca ha comportato, per la parte vulcanologica, lo scavo di tre trincee stratigrafiche nella zona settentrionale dell’isola, lunghe circa ottanta metri e profonde due che hanno portato alla luce tre strati sabbiosi contenenti grossi ciottoli di spiaggia a testimonianza di quanto portato a terra dalle onde di tsunami. I campionamenti, le analisi chimiche dei materiali e le datazioni al carbonio 14 hanno quindi permesso di stabilire una inequivocabile relazione tra quegli strati e i ritrovamenti archeologici che testimoniano il rapido abbandono dell’isola a seguito degli tsunami.
La fuga da Stromboli tra Trecento e Seicento
«Nella prima metà del Trecento l’isola di Stromboli era abitata e rivestiva un ruolo importante come snodo del traffico navale dei crociati provenienti dalle coste italiane, spagnole e greche, fatto documentato sul pianoro di San Vincenzo da una chiesetta scoperta nel 2015 e che costituisce la prima testimonianza archeologica di occupazione medievale nell’isola – spiega Sara Levi – A seguito dei tre grandi crolli che generarono le onde di tsunami e della contemporanea e particolarmente forte ripresa dell’attività eruttiva del vulcano, l’isola, come testimoniano anche le sepolture rinvenute nell’area delle chiesetta, fu totalmente abbandonata a partire dalla metà del Trecento fino alla fine del Seicento, quando iniziò il suo ripopolamento moderno».
«Era già noto che l’isola di Stromboli fosse capace di produrre piccoli tsunami con ricorrenza pluridecennale, ma questo lavoro – conclude Rosi – rivela per la prima volta la capacità del vulcano di produrre anche eventi di dimensioni assai superiori a quelli fino ad oggi noti dalle cronache degli ultimi due secoli». Del resto, come ricordano gli autori, il contesto morfologico ed eruttivo del vulcano durante il Medioevo è del tutto simile a quello attuale, suggerendo come non sia possibile escludere del tutto il ripetersi di fenomeni con magnitudo simile anche ai giorni nostri.
Lo tsunami del 2002
Il 28 dicembre 2002 lo Stromboli diede inizio ad un’eruzione effusiva caratterizzata dalla formazione di diverse piccole colate di lava che raggiunsero il mare nel settore nordorientale della Sciara del Fuoco. Qualche giorno dopo, precisamente alle 12:15 del 30 dicembre, il collasso di un ampio settore della Sciara (~9.5 milioni di metri cubi di materiale) provocò onde di maremoto che in breve tempo si propagarono a tutte le isole Eolie e fino alle coste di Sicilia, Calabria e Campania. L’isola di Stromboli risultò parzialmente devastata, considerando che in alcune zone le onde penetrarono per oltre 130 metri nell’interno, raggiungendo un’altezza di circa 10 metri. L’evento del 2002 diede un notevole impulso alla rete di monitoraggio del vulcano che in breve tempo divenne uno dei meglio controllati al mondo. Sensori di tutti i tipi oggi monitorano costantemente ogni sussulto del vulcano, mentre rilevamenti da satellite e boe ondametriche sono situate al largo della Sciara per tenere d’occhio i movimenti del versante.
Lo studio appena pubblicato ci ricorda che fenomeni del genere devono essere considerati ordinari, alla scala geologica, su un’isola vulcanica attiva. Non resta che continuare a studiare il passato del vulcano per cercare di comprenderne meglio i fenomeni che lo plasmano, concentrandosi allo stesso tempo sulla mitigazione del rischio derivato da eventi per noi “straordinari” ma che sono in realtà di “ordinaria amministrazione geologica”.
Andrea Piazza
Tratto da rivistanatura.com
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